Stefano Righi per “l’Economia del Corriere della Sera”
Sono iniziate le grandi manovre in Unicredit. La prossima primavera i soci della seconda banca italiana saranno chiamati a rinnovare il consiglio di amministrazione, un passaggio delicato in un momento di grande discontinuità per tutta l' industria del credito.
Mustier
Al centro dell' attenzione le candidature alla presidenza, a cui viene dedicata in questa fase grande attenzione. È stato dato mandato alla branch milanese dell' americana Spencer & Stuart di individuare le figure che maggiormente potrebbero rappresentare la banca, sia sul fronte delle competenze, che dell' agenda e delle relazioni internazionali. È un passaggio critico. Nell' agosto 2019 l' allora presidente Fabrizio Saccomanni scomparve improvvisamente, dopo aver licenziato la semestrale, durante il suo primo giorno di vacanza. Fu uno choc. La presidenza venne affidata a Cesare Bisoni, la cui presenza fu provvidenziale in un momento di difficoltà, ma fin dal primo istante Bisoni chiarì che il suo mandato si sarebbe concluso nell' aprile 2021. Mancano poco più di sette mesi. Così è iniziata la ricerca del sostituto.
A oggi, sono quattro i possibili candidati che sono stati selezionati: Claudio Costamagna, Vittorio Grilli, Stefano Micossi, Domenico Siniscalco. Solo Micossi è attualmente coinvolto nella gestione di Unicredit, con un posto in consiglio di amministrazione. Gli altri vengono dagli impegni più vari, sia nel pubblico che nel privato. Tutti offrono credibilità, competenze e un' agenda ricca di connessioni.
FABRIZIO SACCOMANNI MUSTIER
La figura del presidente è fondamentale nello sviluppo futuro dei piani della banca di piazza Gae Aulenti. Saccomanni, già alto dirigente della Banca d' Italia e ministro dell' Economia, nei sedici mesi del suo incarico seppe imprimere una decisa direzione a Unicredit, confrontandosi quotidianamente con l' amministratore delegato Jean Pierre Mustier. Una dialettica di cui la banca avrebbe ancora bisogno, tanto che la figura del nuovo presidente potrebbe anche influenzare la conferma, non scontata, del manager francese.
Mustier regge il volante di Unicredit dal 12 luglio 2016. Al suo arrivo si segnalò per la rapidità di decisione e la chiarezza di idee. In pochi mesi, con alcuni blitz da vero paracadutista, Mustier mise in sicurezza la banca firmando un aumento di capitale da 13 miliardi di euro cash, la maggiore operazione di questo genere mai realizzata in Europa.
saccomanni ciampi draghi
All' aumento di capitale fece seguito una serie di cessioni. La più importante tra queste fu la vendita al gruppo Crédit Agricole di tutto il settore del risparmio gestito, raccolto sotto il marchio Pioneer. Il controvalore fu superiore ai 5 miliardi cash. A ciò Mustier affiancò il ridisegno del consiglio di amministrazione, che dopo l' aumento di capitale vide l' uscita dei due vice presidente Luca Cordero di Montezemolo e Fabrizio Palenzona.
Infine, lo scorso anno, con due operazioni sorprendenti, dopo aver ceduto attività in Polonia e in Turchia, Mustier vendette sul mercato Finecobank. Un vero gioiello, pensato e voluto dall' amministratore delegato Alessandro Foti, che per anni ha garantito a Unicredit un regolare flusso cedolare. Una scelta meno comprensibile di altre, che ha comunque permesso di mettere in cassa altri 2 miliardi di euro, portando il totale delle entrate, tra aumento di capitale e cessioni, a superare i 20 miliardi. Oggi, in Borsa, Unicredit vale «solo» 15,4 miliardi.
Unicredit è una banca solida, ben capitalizzata e con una importante dote di liquidità. Al punto che è stato varato un piano di riacquisto delle proprie azioni. Ma sembra sia venuta meno la forza dei primi 18 mesi della gestione Mustier, la baldanza di un manager che nel momento più difficile trovò anche il coraggio di ridursi autonomamente lo stipendio, rinunciando a diversi milioni di euro.
VITTORIO GRILLI
Soprattutto pesa il confronto con Intesa Sanpaolo. Quattro anni fa le attività italiane dei due gruppi erano sostanzialmente sovrapponibili, oggi non più. Il distacco tra le due è sintetizzato dalla capitalizzazione di Borsa, che si è percentualmente ampliata nel tempo. Da una parte ha pesato l' eredità di crediti antichi, addirittura quelli generati dall' allora Banco di Roma.
Dall' altra è risultata premiante la capacità di tesorizzare l' esigenza di mettere in sicurezza il sistema, ricavandone importanti benefici fiscali. Unicredit, con il Banco Popolare, protagonista però della prima pesantissima fusione sotto l' egida Bce, è l' istituto italiano che dall' inizio del 2016 è stato più penalizzato sui listini.
Non occorre andare al 2007 per capire che qualcosa è cambiato. Allora, la banca nata dalla fusione di Unicredito e Capitalia valeva in Borsa 100 miliardi di euro. Ma era un altro mondo, non paragonabile.
Basta però guardare i dati di bilancio per vedere che Unicredit nel primo semestre 2016 realizzò, in Italia, utili netti per 666 milioni, con ricavi per 2 miliardi nel solo secondo trimestre di quell' anno. La semestrale al 30 giugno 2020, funestata dal Covid, presenta un risultato netto contabile negativo per 611 milioni, un risultato netto sottostante positivo per 131 milioni e ricavi pari a 3.246 milioni. La strategia di diversificazione sui mercati esteri di Unicredit (Germania, Austria, Polonia, Turchia) non ha pagato quanto l' accorta presenza sul territorio domestico di Intesa.
DOMENICO SINISCALCO
I recenti black-out all' accesso informatico non hanno fatto altro che aumentare il nervosismo. Come pure il continuo invito a partecipare al risiko bancario italiano, che viene regolarmente respinto. Anche se adesso, la risoluta volontà del direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, di portare a matrimonio il Monte dei Paschi di Siena potrebbe scalfire il «muro del no». Una dote fiscale da 3,6 miliardi di euro e un trattamento simile a quello ottenuto da Intesa nel 2015 nell' affare con le banche venete potrebbe indurre al ripensamento. Un esercizio diffuso ai piani alti della banca.