RENZI OBAMA
Marcello Mancini per “La Verità-laverita.info”
In principio fu la battaglia di Gavinana, dove mori Francesco Ferrucci (quello a cui la leggenda fa dire «vile, tu uccidi un uomo morto»), che la Storia e la geografia collocano sulla montagna pistoiese, ma che Renzi pensava si fosse combattuta nella piazza omonima alla periferia di Firenze, sulla strada per andare a casa sua, a Pontassieve. E lo scrisse nel suo libro Stil novo, la rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter.
Ma allora i confini del mondo per il premier erano piuttosto limitati, essendo ancora solo sindaco. Poi lo spazio si è aperto e deve essersi ridotto quello per studiare, perché le gaffe si sono moltiplicate. Complice l' audacia dell' uomo, che però non è stato adeguatamente aiutato dalla fortuna. La quale, evidentemente, si distrae di fronte a chi ne approfitta.
Sennò non si spiegherebbe il motivo per cui le performance si verifichino su palcoscenici che amplificano gli strafalcioni ed espongono Renzi al pubblico perculismo.
RENZI OBAMA
LINGUE INVENTATE Che cosa ieri sera, a cena alla Casa Bianca, Renzi avrà detto a Obama, nella sua esagerata e incerta lingua inglese, non lo sapremo. «Matteow» ha già dato esilaranti prove del suo rapporto complicato con le lingue straniere (per non fare torto a nessuno si è esibito anche con francese e spagnolo). Però nessuno può toglierci, ormai, l' epico «Devid of Maichelangelo» con il quale cercò di spiegare al premier israeliano Benjamin Netanyahu le bellezze di Firenze.
Qualcuno lo ha definito: poliglotta alla Leonardo Pieraccioni. Diciamo che ci prova.
Ma il suo conflitto con la cultura è un conto aperto. Lunedì mattina a Firenze, prima di partire per Washington, energizzato da dosi di adrenalina sopra il livello di guardia, Renzi ha parlato agli Stati generali della lingua italiana, dunque davanti a professori piuttosto schifiltosi.
Ebbene, il Nostro si è avventurato in una citazione di Baudelaire convinto di fare bella figura con cotanta platea. Ma, ahi ahi ahiai, non gliene va bene una: come la celebre signora Longari da Mike Bongiorno a Rischiatutto, è caduto sull' uccello. Si, perché ha citato «l' airone di Baudelaire», una poesia contenuta nella raccolta I fiori del male, ma in realtà era l' albatros, la cui condizione di vita il poeta paragona alla sua.
RENZI OBAMA
L' airone, anzi, l' albatros, che fa fatica come l' Italia: ha grandi ali per volare da terra, ma le stesse ali sono anche il grande inciampo.
Ai dotti professori in sala, colpiti da un accademico sconcerto, è stato per lo meno risparmiato l' incidente grammaticale, di cui Renzi era già stato protagonista, per l' appunto proprio mentre illustrava la riforma della scuola e gli scappò di scrivere sulla lavagna la «cultura umanista», scambiando l' aggettivo con il sostantivo e, in quel caso, avrebbe dovuto dire «cultura umanistica». Perfino la moglie Agnese, che è noto, fa l' insegnante, gli tirò le orecchie.
C' è poco da fare, l' azzardo è più forte di lui. Le gaffe e le figuracce dovrebbero consigliargli un po' di prudenza, prima di avventurarsi in citazioni di cui non è sicuro. Invece niente. Durante un discorso, in Argentina, ha recitato alcuni versi di Jorge Luis Borges sull' amicizia. Solo che i versi non erano di Borges, ma di un anonimo: una veloce, troppo superficiale scorribanda sul web deve aver provocato la clamorosa mutazione, che si è trasformata in un' altra trappola.
Penso che Renzi sottovaluti le conseguenze di tante gaffe. Che gli prendono la mano.
Come quando scrive «leaders» anziché leader, ignorando che le parole importate dall' inglese al plurale non vogliono la «s» finale. Infatti, su twitter non gli hanno perdonato quest' altra esibizione muscolare di anglofilia: «Hai portato i leaders a prendere dei caffes nei bars».
matteo renzi e barack obama 8
Nemmeno la conoscenza del latino lo conforta. Davanti a Juncker si lanciò senza rete su un «Hic manebimus opti mus» («Qui staremo benissimo», da Tito Livio) e, mentre dietro di lui il presidente della commissione Ue sghignazzava, si riprese in extremis con il corretto «optime», non sottraendosi però alle ironie in rete: «Dopo aver massacrato l' inglese e il francese ora se la prende con il latino, che essendo morto non si può difendere» .
Abusi grammaticali, errori di storia. A un certo punto della disperante galleria, però, finisce il sorriso e subentra l' angoscia del cittadini. Quali danni può provocare tanta superficialità allo sbaraglio e un uso così leggero di parole e fatti, in sedi più essenziali di un salotto tv, di un convegno o di un cinguettio?
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STORIA DI FANTASIA Sullo strafalcione della battaglia di Gavinana, sbeffeggiato dai giovani del Pdl, se la cavò rigirando la frittata: «È stato un errore di confusione, ma sono contento che i giovani abbiano letto il libro». Preso da raptus oratorio - come spesso gli capita - a Porta a Porta parlò di invasioni italiane di Istria, Nizza e la Savoia nel 700, 800 e 900. E fece sobbalzare telespettatori e storici, sorpresi e mortificati di dover aggiungere alle comuni conoscenze, una nuova pagina di storia a loro ignota. A Vespa, che provò a correggerlo, fece spallucce: «Ora non stiamo a fare i precisini...».
Ma attenzione, dopo questo florilegio da matita rossa, vi sembrerà strano: Renzi non ha il monopolio delle gaffe. E riesce perfino a rimediarle. Al convegno sugli Stati generali dell' italiano, in Palazzo Vecchio, il viceministro Mario Giro, in un eccesso di zelo referendario, si è lasciato sfuggire questa incauta frase: «Noi siamo la lingua del sì, basta con i no pessimisti e rassegnati». Renzi, per evitare polemiche, lo ha corretto con una citazione.
RENZI NETANYAHU
Questa volta giusta. «Quella di Giro era un dotto riferimento al 33 esimo canto dell' Inferno dantesco, in cui si parla degli italiani come delle "genti del bel paese, là dove 'l sì suona"». Un autogol salvato da Dante, nel quale Renzi si rifugia spesso, anche perché lo considera di sinistra e dotato di una sufficiente dose di autostima. Un modello da seguire. Al netto delle gaffe.
RENZI NETANYAHU