NORD STREAM
Lorenzo Vita per “il Giornale”
Le falle del gasdotto Nord Stream incendiano le già bollenti acque del Mar Baltico, con il rimpallo di accuse tra Occidente e Mosca. Le indagini proseguono, ma quello che ormai sembra certo è che non si possa parlare di incidenti: l'ipotesi più accreditata è quella del sabotaggio. Un attacco che, come spiega Göran Swistek, esperto di sicurezza marittima del German Institute for International and Security Affairs, può essere stato non solo complesso ma anche altamente tecnologico.
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«Poiché i sismografi hanno rilevato delle vibrazioni, è probabile che siano avvenute delle esplosioni - spiega Swistek a Il Giornale - e possiamo supporre che sia stata utilizzata una discreta quantità di esplosivi». Per l'esperto tedesco, è impossibile compiere questo tipo di operazioni senza un mezzo adeguato. Ma sull'ipotesi che sia stato utilizzato un sottomarino «tradizionale» capace di dispiegare cariche esplosive e condurre lavori (anche di sabotaggio) in profondità, Swistek è scettico.
gasdotto nord stream danneggiato 4
«Non molti Paesi hanno questo tipo di capacità e un sottomarino non passerebbe inosservato. La Russia, inoltre, non ha ufficialmente sottomarini nel Mar Baltico, a parte uno formalmente utilizzato per scopi di ricerca - spiega l'analista - ma i movimenti dei mezzi militari sono generalmente ben noti». L'ipotesi di Swistek è che dietro questo attacco possa esserci l'utilizzo non di un classico sottomarino, ma di un mezzo a pilotaggio remoto, un drone subacqueo possibilmente lanciato da una nave-madre.
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«Senza puntare il dito, abbiamo osservato che la Russia ha lavorato molto negli ultimi anni per sfruttare il dominio sottomarino, che comprendeva anche lo sviluppo di diversi droni in grado di svolgere lavori in profondità e trasportare ordigni», dice l'esperto. Secondo gli analisti del governo la deflagrazione è paragonabile all'uso di 500 kg di Tnt.
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Ma com' è stato possibile bucare le reti di intelligence in un periodo come questo e in un'area al confine tra Nato e Russia? Per Swistek, questo confermerebbe l'ipotesi di un drone. Tuttavia, sottolinea, «nessuna delle infrastrutture nel Mar Baltico, ma anche nel Mare del Nord, nel Nord Atlantico e nel cosiddetto High North è costantemente sorvegliata dai militari. Questa è un'enorme vulnerabilità. Il modo migliore per proteggerle, almeno quelle ad alta priorità, potrebbe essere una combinazione di forze europee sotto l'ombrello dell'Unione europea o con un altro tipo di coordinamento».
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Una prospettiva che coinvolge anche il Mediterraneo, tanto più in una fase di sganciamento dell'Europa dalla dipendenza energetica con la Russia, ma che ora interessa soprattutto il Baltico. In questi ultimi anni, Nato, Russia e Cina, si stanno interessando a tutta la parte settentrionale dell'Europa fino all'Artico, non solo per il gas, ma anche per le future rotte polari. E in questa fase della guerra in Ucraina, il mare dove sorgono due basi fondamentali della flotta russa può diventare il fronte di una futura escalation. «Ulteriori attività ibride o destabilizzanti sono quindi molto probabili nel prossimo futuro» conclude Swistek.
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