Gaia Piccardi per corriere.it
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L’insostenibile leggerezza dell’essere Filippo Tortu è una brezza nell’afa del Qatar. Lo scopone scientifico prima della finale dei 100 (nel riquadro, «Una scaramanzia dal 2016, quando mi ero ritrovato le carte nello zaino»), l’ironia sul traguardo («Ero incerto se correre veloce per puntare al podio o lento per godermi il panorama»), le scarpe bianche come l’idolo Berruti («Livio ha dimostrato che la differenza con gli atleti di colore che hanno qualità fisiche superiori si può colmare»), il gesto del telefono all’orecchio per festeggiare, un’idea del cugino.
A Doha il mondo dell’atletica ha scoperto che il settimo sprinter più veloce dell’orbe terracqueo è un bravo figlio della Brianza operosa, orgoglioso di «rappresentare l’Italia in mezzo agli americani», in totale simbiosi con il papà-coach Salvino con cui divide la passione per la Juventus e il calcio (confermato il blitz a Baires per Boca-River di Copa Libertadores), affettuoso con mamma Paola e nonna Titta, così generosa da cedergli la casa con piscina nei weekend, riconoscente al fratello Giacomo, abile e arruolato nel team Tortu. E pure studioso: «Dare l’esame di diritto pubblico prima di partire per il Qatar mi ha portato fortuna». Trenta. La lode qui, in pista.
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L’atletica italiana aspettava come manna un protagonista così, spontaneo e capace di piacere a tutti, giovane (21 anni) e positivo. La gestione famigliare garantisce la qualità, il futuro è tutto da scoprire. Solo 100 o anche 200, alla Mennea? «Ai Giochi di Tokyo sarà impossibile doppiare: dovremo fare una scelta. Ma gli obiettivi non cambiano e nemmeno io cambio: adesso gli avversari mi guardano con occhi diversi però il mio modo scanzonato di vivere l’atletica rimarrà lo stesso».
Piè Veloce è il viso pallido della Next Gen orfana di Bolt e lanciata verso l’Olimpiade, Gatlin è vecchio, Coleman torbido, Hughes l’unico europeo (con sangue caraibico) che gli è stato davanti qui al Mondiale: lo sprint ha una corsia riservata per Filippo, bisognerà solo fare i passi giusti.
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Salvino Tortu è fedele alla filosofia che applica con il figlio da quando aveva 8 anni: «Filippo è in costruzione, l’obiettivo è portare a maturazione il suo processo di crescita ai Giochi di Parigi 2024, quando avrà 26 anni. Tokyo, Europei e Mondiali sono tappe sulla strada. Si ragiona per step. Andare in giro a prendere schiaffoni è servito: da certi avversari non si è fatto battere due volte. 10”20, 10”11, 10”07: a Doha, batteria a parte, ha fatto tutto giusto. Tranquillo papà, vado in finale, mi ha detto quando siamo arrivati. Di lui, mi fido».
Bisognerà imparare a gestire popolarità e pressione, onori e oneri. Ma il ragazzo, pur senza un pelo di barba («Mi dite tutti che sono diventato grande, stamattina mi sono guardato allo specchio: niente, non cresce!»), ha le spalle larghe. Da Salvini a Bebe Vio, dalla Goggia ai calciatori juventini, su Filippo sono piovuti complimenti a dirotto e lunedì, qui a Doha, l’aspirante stregone verrà introdotto alla presenza del figlio del vento, Carl Lewis, che su Tortu ha già avuto modo di esprimere apprezzamento per la crescita graduale, lontana da certe fughe in avanti sospette.
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Appuntamento a pranzo. In attesa delle batterie della 4x100 (obiettivo la finale contro le superpotenze Usa e Giamaica), c’è il tempo perché si renda conto — dopo essere stato il primo italiano sotto i 10 secondi nei 100 metri (9”99 battendo il primato di Mennea) — di cosa ha combinato. «Non mi monto la testa, non ho ancora vinto niente. Continuo a lavorare. All’Olimpiade sarà tutto più difficile, ma ci arrivo più consapevole».
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Adelante, ma con giudizio. Alla Tortu.
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