GUARDA QUI LO SCHERZO A PAOLO BROSIO DI FRANK MATANO
Renato Franco per il “Corriere della Sera”
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«Mi sono sempre sentito straniero. A Carinola mi chiamavano tutti «“o 'mericano”; negli Usa ero soprannominato Totti perché il mio vero nome è Francesco e l'Italia aveva appena vinto i Mondiali». Comico di nuova generazione, quelli digitali nati tra i bit di YouTube, non quelli analogici cresciuti sulle assi dei teatri, Frank Matano - «sono incensurato» tiene a sottolineare - ha costruito una carriera eclettica, che tocca la tv e il cinema. Preceduto dalla sua risata sgangherata, la sua è una comicità di pancia, slapstick, con un personaggio che a volte sconfina nel finto goffo, altre assomiglia a un Peter Pan da fumetto. Eterno ragazzo a 33 anni.
Padre italiano e madre statunitense, lei è cresciuto in provincia di Caserta ma dai 15 ai 18 anni ha vissuto negli Stati Uniti.
FRANK MATANO YOUTUBE
«Sono arrivato in America nel 2006 e la vittoria dell'Italia ai Mondiali fu fondamentale per integrarmi. Cercavo un lavoretto da fare per guadagnare qualcosa e il fatto che fossi italiano me l'ha fatto trovare subito. La mia tattica era di partire dal ristorante migliore della città per andare giù giù verso il peggior fast food. Mi presento subito nel posto più figo e all'ingresso c'è un signore messicano, uno dei manager, che indossa la maglietta di Luca Toni. I' m looking for a job. Ok, inizi domani, sei italiano, l'Italia ai Mondiali mi ha fatto impazzire».
La scuola com' era?
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«Non andavo né bene né male ma avevo l'obbligo di studiare una lingua straniera. Io sono cittadino americano e ovviamente scelsi italiano. Mi sentivo Rain Man perché i compiti in classe erano tipo: completa la frase aggiungendo l'articolo determinativo, tutti mettevano "il" radio, io scrivevo "la" radio ed ero considerato un genio. Ho partecipato a un concorso interstatale, ho vinto 300 dollari arrivando primo nel Rhode Island e secondo in tutti gli Stati Uniti».
L'ironia per lei funzionava da acceleratore per l'integrazione o da compensazione per l'esclusione?
«Chi decide di fare il comico lo fa perché non si sente completamente a suo agio nelle situazioni sociali e quindi deve sviluppare un radar, una specie di termometro che misura la conversazione a cui sta partecipando. La comicità è una risposta alla paura, può essere anche terapeutica, ti obbliga a pensare alla realtà che ti circonda e a cercare un punto di vista diverso».
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Si sentiva inadeguato?
«Da adolescente non ho mai avuto il coraggio né di ammettere di voler fare questo mestiere, né di partecipare a provini o live. Ma ho avuto la fortuna di essere un ragazzo di 18 anni che cresceva insieme a YouTube, così a casa, da solo, per quanto mi sentissi inadeguato potevo fare i miei esperimenti comici».
Ha iniziato con gli scherzi telefonici postati su YouTube. Uno scherzo di cui si è vergognato?
«A un centro di assistenza per computer. Facevo finta di essere un anziano, dicevo che stava per arrivare mia moglie e che non riuscivo a bloccare dei video che mi si aprivano automaticamente. In sottofondo si sentivano suoni pornografici, era divertente, ma ho fatto perdere una marea di tempo a quel poveraccio che stava lavorando».
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Per «Le Iene» fece credere al devotissimo Paolo Brosio di aver parlato al telefono con Papa Francesco. Non si è sentito da schifo?
«Sì, mi sono sentito una merda, mi è dispiaciuto. Ma c'è stato il lieto fine perché il Papa ha visto lo scherzo e l'ha incontrato davvero».
La faccia tosta da dove le viene?
«Sono molto timido e da ragazzo lo ero ancora di più. Ma se sei molto appassionato a qualcosa è più facile che tu esca dalla tua comfort zone, quindi mi diverte sempre moltissimo l'idea di quello che sto per fare, ma non è detto che mi senta completamente a mio agio nel farlo, soprattutto nel caso delle candid camera. Il divertimento però supera la vergogna».
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Non è credibile come timido...
«Nel mio lavoro ho imparato a gestirmi, ma soprattutto nelle relazioni sociali sono timido, giuro».
Tutti si aspettano sempre qualcosa da un comico: far ridere sempre è una condanna?
«Il ruolo del comico è quello di una persona che ti aspetti che ti faccia ridere. Non penso che ci sia premessa peggiore per un comico, e nonostante questo esistono persone che vogliono farlo. La chiave del comico è essere imprevedibile, sorprendere ma questo crea un cortocircuito nella sua stessa definizione.
Sentirsi addosso il pregiudizio di essere sicuramente divertente è tosto, anche perché far ridere è difficilissimo».
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Le visualizzazioni, i like sui social, non rischiano di diventare un'ossessione?
«Per me no, perché questo è il mio lavoro: la misura della risposta del pubblico dice se sono stato bravo o meno nel mio lavoro. Ma se non lo fai di mestiere quest' ossessione può entrare nella tua intimità e ferirti. Se mettiamo in mano i social a qualunque persona di qualunque periodo storico credo che li userebbero così, esattamente come li usiamo noi: la mania dell'ego, il costante bisogno di approvazione da parte di sconosciuti sono quasi naturali. Oggi per come usiamo i social siamo nell'epoca delle sigarette sugli aerei, un giorno qualcuno dirà: ma voi eravate fuori di testa ».
Gli incontri della sua vita da incorniciare?
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«Mi sento fortunato a fare questo mestiere perché mi ha dato la possibilità di poter andare a cena con alcune delle persone più divertenti della nazione: Bisio, Abatantuono, Lillo, Maccio, Elio... Ma un incontro che mi ha emozionato tanto è stato quello con Spielberg. Prima dell'intervista siamo rimasti da soli in una stanza per 20 minuti, non sapevo cosa dirgli e ho preso spunto dai poster dei film che erano appesi sul muro. Come prima domanda gli ho chiesto di Shining di Kubrick... Non il massimo. Mi è andata bene perché anche se non era un film suo era andato sul quel set».
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Il lusso che si è concesso?
«Mio nonno aveva una Mustang del '65 che mi piaceva tantissimo e così me la sono comprata anche io, arriva dal Sud America. Ce l'ho ancora, ogni tanto la uso ma è davvero sgarrupata».
Il Paradiso e l'Inferno come li immagina? «Il Paradiso è un karaoke con Totò, Troisi e un mio antenato. L'inferno è un karaoke dove canta solo quella signora che non molla mai il microfono».
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La sua risata è esagerata, sguaiata, sembra finta. È un format? «Ho la stessa risata di mio padre, identica. Mi chiedo se sia ereditaria... Da giovane mi ha dato parecchi problemi: in chiesa, a scuola... oggi invece si è rivelata un'interessante fonte di reddito».
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