Paolo Baldini per “Sette – Corriere della Sera”
DANIELA RAMBALDI
Che ne dici, Daniela? Il test cominciò con questa domanda. «Mi trovai davanti 35 centimetri d’alieno, con il fondoschiena di Paperino, la testa quadrata e gli occhioni di un cerbiatto». Daniela è una bambina di 11 anni piuttosto sorpresa: «L’esserino mi incuriosiva. Tirai fuori un commento diplomatico: hummm, bruttino ma simpatico. Calcai sull’aggettivo simpatico e papà capì che aveva centrato il bersaglio».
Il padre-creativo è Carlo Rambaldi, artigiano, artista, inventore di effetti speciali, due Oscar (Alien, E.T. - L’extraterrestre). Un pioniere della meccatronica applicata all’audiovisivo. Il piccolo extraterrestre invece è proprio lui, E.T., protagonista del celebre film di Steven Spielberg, una delle creature di fantasia più amate della storia del cinema, l’amico immaginario che ogni bambino vorrebbe. La ragazzina stupita è la figlia del maestro, Daniela Rambaldi, che vide il prototipo prima di Spielberg e, da quel momento, diventò «la sorellina di E.T.».
CARLO RAMBALDI CON ET
Il film fu prodotto dalla Universal. Le riprese si svolsero in gran segreto da settembre a dicembre 1981 con un budget di poco più di 10 milioni di dollari. E.T. - L’extraterrestre uscì nei cinema americani l’11 giugno 1982 e divenne il maggior incasso di sempre. Spodestò Guerre stellari e fu a sua volta superato da Jurassic Park, un altro film di Spielberg. Quarant’anni dopo è stato l’evento di apertura della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro 2022, che in questo weekend si prepara al gran finale con Mario Martone e la sua intera filmografia.
«La sua forza dopo tanto tempo resta intatta», spiega Daniela. Carlo Rambaldi si è spento dieci anni fa, il 10 agosto 2012. E.T., quarant’anni dopo la prima, è un punto fermo del cinema mondiale. Daniela racconta le origini: «Il telefono squillò poco prima di mezzanotte nella nostra casa di Encino, in California. Dall’altra parte del filo, la voce implorante di Spielberg, con cui papà aveva già lavorato per Incontri ravvicinati del Terzo Tipo. Diceva: Carlo, dobbiamo vederci, I have a big problem. Steven non era contento del team americano: il personaggio non era empatico, non suscitava tenerezza.
CARLO RAMBALDI CON ET
Aggiunse: so che ti sto chiedendo la Luna, amico mio, ma devi aiutarmi. Papà buttò giù due schizzi e in un amen creò il prototipo che poi mi sottopose. Non c’era tempo da perdere. La produzione cominciava a storcere la bocca. Papà non dormì più per sei mesi. Lavorava 18 ore al giorno, weekend compresi. Quando, un anno dopo, ci fu l’anteprima e gli spettatori uscivano con le lacrime agli occhi un giornalista chiese: Carlo, hai pianto anche tu? La risposta fu: no, io avrei pianto solo se il film non fosse riuscito a emozionare il pubblico».
Rambaldi era affascinato dal movimento, racconta Daniela: «Spesso ci chiedeva cose come: pensa se quel candelabro improvvisamente si mettesse a ballare. Quando ero bambina, prendeva le mie bambole e le smontava. Il suo atelier di Roma, a Monteverde, sulla Gianicolense, era un open space in un seminterrato con una porticina e una saracinesca. Aspettavo mamma in auto, impaurita. Quella, per me, era la fabbrica dei mostri.
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Papà portava sempre con sé un grosso bloc notes. Disegnava, prendeva appunti, fissava idee. Era l’epoca di Profondo rosso. Poco prima c’era stata la grande delusione del Pinocchio di Luigi Comencini: la produzione aveva chiesto un burattino meccanizzato che poi fu utilizzato all’insaputa dell’autore. Seguì una lunga causa. Ho sempre pensato che E.T. sia stata la sua rivincita».
Carlo, il geometra di Ferrara laureato all’Accademia delle Belle Arti di Bologna, aveva già lavorato con Monicelli, Ferreri, Pasolini e Pupi Avati quando fu chiamato a Los Angeles da Dino De Laurentiis per creare King Kong. «Praticamente, non lo vedemmo più per un anno. De Laurentiis gli consegnò un intero padiglione degli studios. I tecnici americani lo guardavano con sospetto. Papà aveva un modus operandi rinascimentale, senza orari e ruoli definiti. E non parlava inglese. Per farsi capire usava il dialetto ferrarese».
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Un anno dopo la famiglia si riunì in California. Aggiunge Daniela: «Mio padre colse al volo le possibilità che un Paese come gli Stati Uniti poteva dargli. La sua energia creativa compensava le molte assenze. Quando era a casa, dopo una giornata in laboratorio, si sedeva al grande tavolo da pranzo, metteva la musica classica, Beethoven soprattutto, e disegnava. Spesso ci coinvolgeva, chiedeva pareri ai miei fratelli e a me, ci mostrava schizzi e bozze. Non era severo. Il compito di metterci in riga spettava a mamma Bruna. La nostra vita americana era molto riservata. Eravamo vicini di casa di Michael Jackson, un ammiratore di papà che volle farsi fotografare con E.T.».
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Mamma Bruna si occupava delle pubbliche relazioni e organizzava party per la comunità del cinema a prevalenza italiana. «Penso a Sylvester Stallone, Ursula Andress, Raf Vallone ed Elena Varzi, Tony Renis, Ornella Muti. Ricordo nel 1981 la festa di compleanno di Oliver Stone alla fine delle riprese de La mano. L’Happy Birthday in sottofondo, la mano meccanica che avanza nel lungo corridoio con una candela accesa. Oliver aveva le lacrime agli occhi. Allora ero molto timida. A scuola, quando si spargeva la voce che ero la figlia di chi aveva inventato E.T. mi sentivo in imbarazzo. Ancora di più se c’era da fare un tema sul mestiere di papà. Non mi piaceva dire che fabbricava mostri. Scrivevo: costruisce giocattoli per adulti».
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E.T. è oggi conservato a Milano, perno di un progetto di restauro e digitalizzazione di reperti e creature di Rambaldi avviato dalla Fondazione che porta il suo nome con la Cineteca di Milano. Cento casse di materiale con gli originali dei calchi e della meccatronica, i vermi di Dune, l’alieno di Incontri ravvicinati, costumi e mano di King Kong, dipinti, lettere, foto, diapositive. Il progetto, avviato nel 2019 al Palazzo delle Esposizioni di Roma e poi bloccato dal Covid, prevede un tour internazionale e una mostra tutta dedicata a E.T. «Stiamo preparando anche una linea di giocattoli e un’altra di gioielli».
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