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    GIOCA ANCHE TU CON DARIO ARGENTO - IL REGISTA HA FIRMATO IL SOGGETTO DI “DREADFUL BOND”, IL VIDEOGAME DEI MILANESI CLOD STUDIO CHE DA QUALCHE GIORNO CERCA SULLA PIATTAFORMA KICKSTARTER 60 MILA EURO PER VEDERE LA LUCE - ARGENTO SARA’ IL SUPERVISORE ARTISTICO DEL PRODOTTO BASATO SULLA STORIA DELLA FAMIGLIA WHARTON, ATTRAVERSO L'ESPLORAZIONE DELLA LORO CASA ABBANDONATA…


     
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    IL GIOCO DREADFUL BOND IL GIOCO DREADFUL BOND

    Emilio Cozzi per “la Lettura - Corriere della Sera”

     

    Il sottofondo musicale allarma: una ninna nanna con voce di bimbo si ostina su un tappeto d'archi, vago, lontano, e si risolve in una dissonanza fastidiosa, malaugurante. Una goccia riecheggia cadendo da chissà dove. Non che davanti agli occhi lo spettacolo tranquillizzi: c'è un camposanto, in piena notte, in bianco e nero. Un cimitero nel quale state passeggiando, senza sapere né perché né come ci siate finiti. Soprattutto senza sapere chi siete.

     

    IL GIOCO DREADFUL BOND IL GIOCO DREADFUL BOND

    Finisce così il teaser di Dreadful Bond, il videogame dei milanesi Clod Studio che da qualche giorno cerca sulla piattaforma Kickstarter 60 mila euro per vedere la luce, meglio le tenebre, su Pc e Playstation. Racconterà la storia della famiglia Wharton, attraverso l'esplorazione della loro magione abbandonata. A partire dalla colonna sonora, composta da Danca (Daniele Carmosino) ma platealmente ispirata ai Goblin di Claudio Simonetti, fino alla messa in scena, con quella soggettiva a indietreggiare, non sarebbe sbagliato pensare a Dario Argento. Primo, perché il «maestro del brivido» firma il soggetto del corto di lancio. Secondo, perché sarà lui il supervisore artistico del videogioco.

     

    Dopo aver segnato la storia del cinema horror e aver appena ricevuto un David di Donatello «speciale» (con piccola amarezza: «Arriva tardi», ha detto alla serata di mercoledì 27 marzo in diretta su Raiuno), a 78 anni il regista di Profondo rosso s' accosta a un mezzo nuovo per lui. Un mezzo «atipico», dice, o forse «speciale».

     

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    Come un percorso artistico che sempre più spesso incrocia mezzi diversi: è stato così nel caso del fumetto Profondo nero , il numero di «Dylan Dog» uscito a luglio. Dai suoi esordi come critico cinematografico di «Paese sera», il futuro cineasta espresse subito un amore incondizionato per il cinema di genere, che per certi versi rimanda alla sensibilità odierna nei confronti di un mezzo, il videogioco, da esplorare. E conosciuto «perdendo sempre - dice a "la Lettura" - contro mio nipote. Grazie a lui ho cominciato a giocare, a interessarmi ai videogame, a capirli».

     

    È un interesse corrisposto: il gaming deve molto all' horror di Argento e di altri maestri, come George Romero, amico e collaboratore del regista romano che titillò l' industria dell' intrattenimento interattivo arrivando a firmare un trailer di Resident Evil nel 1996. «Di Dreadful Bond - spiega Argento - mi hanno colpito le tematiche, l' ambientazione, la poetica. Sono molto vicine ai miei film, ai miei sogni. Quindi, come il mio vecchio amico Romero, mi sono detto: ci provo».

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    Una sfida. Anzitutto perché Dreadful Bond è, oggi, un progetto di cui non è nemmeno sicura la pubblicazione. Poi perché l'approccio alla scrittura più consono ad Argento non è detto funzioni una volta tradotto in una struttura riconfigurabile come quella dei videogiochi. Lui lo sa bene: «Un film è fisso, è come lo vedi. Il videogioco piace per il protagonismo che concede, per la possibilità da parte del giocatore di vivere le situazioni, di entrarci e modificarle. Sono elementi che rendono i videogame interessanti sia dal punto di vista espressivo sia per l' esperienza che permettono. Il difficile sta nell'immaginare le diramazioni che l' opera può prendere una volta in mano al giocatore. Su questo punto si svelano i bravi scrittori, perché non si tratta di lavorare a una sceneggiatura convenzionale. Quella di un videogioco è una sceneggiatura in movimento, apre porte, indica strade, cambia psicologia».

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    Inevitabile che queste riflessioni rimandino al senso di un' opera, alla visione del mondo di cui si fa tramite. «Il senso c' è per forza - commenta Argento - le strade del videogame possono sembrare infinite, ma conducono tutte a un esito. Ed è la conclusione, come dicevano Pier Paolo Pasolini o François Truffaut, a definire quello che l' ha preceduta. Il senso è sempre compimento». È inevitabile che oggi, nell' epoca della «cultura convergente», la narrazione debba esprimersi con più linguaggi per essere completa?

     

    IL GIOCO DREADFUL BOND DARIO ARGENTO IL GIOCO DREADFUL BOND DARIO ARGENTO

    «No. Credo si tratti solo di maneggiarla con specificità diverse a seconda di ogni linguaggio o supporto. Per quanto mi riguarda è anche un modo per evitare certe trappole tipiche di un mezzo molto codificato: nel caso di un film, penso per esempio al minutaggio, a quelle convenzioni che impongono che un evento succeda in un momento preciso. La libertà intrinseca del videogioco si riflette anche durante la sua realizzazione: un aspetto che dal punto di vista creativo mi entusiasma».

     

    È attratto dall' imprevisto, Argento. E dalle novità tecnologiche: «Come potrei esserne spaventato? Senza tecnologia non esisterebbero i film, la televisione, nulla. La tecnologia è un aiuto. Da quando esiste, è in evoluzione. Ha superato numerose fasi, dal muto a quella attuale, cambiando pelle come un serpente ogni 15 o 20 anni. E alla fine, nonostante spesso qualcuno ne abbia paventato la morte imminente, è ancora qui. E in un' altra fase di cambiamento, il cui esito sfugge a tutti. È questo il bello del cinema».

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    E, forse, è questo il bello anche dei rapporti umani, a ben guardare il vero fulcro della narrativa di Argento, richiamato fin dal titolo in Dreadful Bond , letteralmente «legame terribile»: «È vero, il mio cinema può essere interpretato come una riflessione, se si vuole anche stilisticamente anarchica, dei nostri legami. A prescindere dall' oscurità o dalla spietatezza della loro rappresentazione, ho sempre visto i rapporti umani come sistemi aperti alle influenze, al nuovo. È questa inafferrabilità a intrigarmi».

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