Francesco Malfetano per “il Messaggero”
«Datece pace! Io glielo dico alla romana ma è l' unica cosa che ormai traspare dagli occhi di tutti gli italiani - che poi con la mascherina sono la sola cosa che si riesce a vedere - Non se ne può più di questa incertezza costante che, va detto, non è solo dovuta alla Pandemia ma soprattutto al modo di gestirla giocando con la comunicazione». Da almeno quarant' anni Giuseppe De Rita osserva il Paese.
Non c' è da stupirsi quindi se gli italiani li conosce a menadito e sa leggerne emozioni e trasformazioni. Da sociologo e animatore del Censis ha fatto del frantumare il divario tra società, economia ed istituzioni il suo mestiere.
«Ora però - ammette al telefono tra un colpo di tosse che, rassicura, è solo influenza stagionale - mi sento confuso anch' io».
giuseppe de rita 4
Professor De Rita. Siamo a tre Dpcm in 12 giorni (con un quarto in arrivo) e ordinanze regionali che vanno per conto loro. Quanto incide questo sugli italiani?
«Moltissimo. Oggi preferiremmo andare in letargo, come fanno gli animali in questa stagione, per risvegliarci in primavera e sperare sia andato tutto per il meglio. L' incertezza nel Paese oggi è troppa tra le manifestazioni di devianza a cui assistiamo fino dalle paure per la dimensione economica più quotidiana di baristi, albergatori e gestori di palestre. Il governo poi la aumenta quando avrebbe modo di non farlo».
Dice? E in che modo potrebbe?
«La pace del dateci pace che le dicevo prima può legarsi al raggiungimento di almeno due punti. La prima è un lockdown totale, ma sarebbe inevitabilmente diverso dalla prima volta, la seconda invece consiste nel fare un discorso più articolato, anche a livello territoriale, che dia sicurezza. Ma questo è più difficile, perché comporta dei cambiamenti radicali nel modo di fare».
Del tipo?
«C' è un problema ormai vecchio, che risale a marzo, ed è l' assenza di informazione da parte di chi dovrebbe far chiarezza. Alimentano un flusso quotidiano di conferenze stampa tra i dati della Protezione civile e le dichiarazioni di virologi, medici e politici.
Senza però mai affrontare direttamente i problemi».
Per cui, al di là delle decisioni prese, sugli italiani incide il modo di comunicarle.
«Assolutamente. Oggi invece di informare si comunica e la comunicazione, per sua stessa natura, crea emozioni - paura talvolta - ma non razionalità. E come se non bastasse la comunicazione si è andata slabbrando già durante il primo lockdown. È diventata talmente a 360 gradi che non informa più nulla. E le dico che questo lo si vede dalle piccole cose».
Cioè? Me lo fa un esempio?
GIUSEPPE CONTE – CONFERENZA DECRETO RISTORI
«Guardando la partita della Lazio di oggi (ieri ndr). Quando vedi che nello spazio di due ore Immobile può andare in campo o restare fuori perché il tampone era positivo ma poi è leggermente negativo, cosa ci stanno dicendo? Che i tamponi non valgono più? Con questo modo di fare hanno ammazzato la capacità dei singoli di essere informati. E questo vale per me come per gli altri cittadini. Sempre confusi a chiedersi dove stiamo andando? Teniamo i vecchi in casa oppure li isoliamo? Non si sa. Io da 88enne non sono informato su cosa devo fare di me. Se devo morire, se posso andare a messa o a vedere i miei nipoti. La comunicazione disordinata, come i Dpcm, sono stati il vero problema».
Professore prima parlava di livello territoriale delle misure. Cosa intendeva?
«E un problema che io da vecchio localista avevo già individuato a marzo, parlando di un approccio articolato sul territorio. Che la situazione di Bergamo fosse diversa da quella di Matera era evidente, e lo è ancora. Rispolverando un mio slogan di alcuni rapporti Censis, l' Italia è un arcipelago e come tale va trattato. Se nel comitato tecnico scientifico ci fossero non solo epidemiologi ma anche sociologi ed esperti della struttura del Paese come Aldo Bonomi o Enzo Rullani non saremmo arrivati al lockdown. Peccato che invece nessuno si prenda la responsabilità e noi cittadini tra governo, regioni e comuni aspettiamo».
Si. Ma cosa? Un altro lockdown nazionale. Cosa comporterebbe per i cittadini a livello sociologico stavolta?
«Quello di marzo è stato una furbata subita dai cittadini con rigore ma oggi sarebbe diverso. Il dateci pace che dicevo prima non va letto come un chiudiamo tutto' perché ora le aziende rischiano di morire. E anche di parlare di bonus crea incertezza. L' intervento economico post-pandemia, da maggio in poi, gestito attraverso i bonus, ha reso tutto indifferenziato. Ma non può fare di tutta l' erba un fascio perché si crea incertezza».
E le proteste invece? Sono un' altra causa o una risposta all' incertezza? Come si conciliano con quella pace di cui parla?
Giuseppe De Rita
«Le proteste aiutano il letargo. Immagini tutte le persone che vedono queste truppe, perché è quello che sono, che fanno casino. Non è che tutti si mettono ad interpretare a livello socio-politico, c' è gente che è stanca e si affaccia dalla finestra e dice basta e il letargo si avvicina. Ma stare fermi è l' unica cosa che non possiamo permetterci perché siamo fragili, economicamente e sociologicamente.