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    "LAVORO DA 10 ANNI CON MIO PADRE E IL TEMA DEL NEPOTISMO SALTA FUORI SOLO QUANDO SI PERDE" - DAVIDE ANCELOTTI, FIGLIO E ASSISTENTE DI "RE" CARLO: "L'UNICA SQUADRA CHE ME L'HA FATTO PESARE È IL NAPOLI. MA E' LEGATO AL FATTO CHE IN ITALIA LA PARENTELA FA PIÙ RUMORE. SONO CONSAPEVOLE CHE CI SIANO QUESTI PREGIUDIZI. PER ME È BENZINA" - "DE LAURENTIIS? CON MIO PADRE È RIMASTO IN BUONI RAPPORT" - "QUANDO INIZIERÒ AD ALLENARE? QUANDO MIO PADRE SMETTERÀ. SOGNO IL MILAN" 


     
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    Elvira Serra per www.corriere.it

     

    Preoccupato per la finale di domani?

    «Più che altro provo felicità, dopo un percorso incredibile, rimonte bellissime. Abbiamo eliminato squadre fortissime: Paris Saint-Germain, Chelsea, Manchester City...».

     

    Però non siete favoriti.

    «Dire che non siamo favoriti è un azzardo. Nessuno si aspettava che saremmo arrivati fin qui. Abbiamo fiducia e rispetto per una squadra che in questo momento se non la migliore, è tra le due-tre migliori del mondo».

     

    Dormirà stanotte?

    «Eh, non sono come mio padre, che riesce a staccare la spina e isolarsi dallo stress: questo gli ha permesso di fare l’allenatore per trent’anni».

     

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    Davide Ancelotti, 32 anni e due figli, nella panchina del Real Madrid è il vice di Re Carlo (ma il soprannome che preferisce è Master & Commander, di Carlo Pellegatti). Suo padre è l’unico allenatore ad aver vinto il titolo nei cinque grandi campionati europei (in Italia, Spagna, Francia, Germania e Inghilterra) e il primo a essere arrivato in cinque finali di Champions, staccando Ferguson, Lippi, Muñoz e Klopp. Una leggenda. Ma sempre e anzitutto il suo papà, di cui ci ha parlato con pudore e ammirazione dal Galles, dove ha seguito il corso per il patentino Uefa Pro che gli consentirà di allenare qualsiasi squadra.

     

    A lei quale piacerebbe?

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    «Il Milan, la mia squadra del cuore da quando mio padre l’allenava. Ho frequentato il settore giovanile fino alla Primavera e poi sono andato in prestito in D, dove ho smesso: non avevo abbastanza talento da professionista, già allora mi piaceva allenare».

     

    E quando comincerà la sua carriera da solo?

    «Quando mio padre smetterà. Ha detto che dopo il Real Madrid potrebbe finire. Abbiamo un contratto di altri due anni. Dipenderà molto da quanto durerà questa avventura: per ora ce la godiamo».

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    È il vice di Carlo Ancelotti dai tempi del Bayern Monaco, dove avete conquistato la Bundesliga. La vittoria in Spagna ha un sapore diverso?

    «Sì, è stato un anno speciale, condito dalla gioia di essere tornati al Real Madrid che è la squadra dei sogni, non c’è niente di meglio. Forse solo il Milan si può avvicinare».

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    Quale partita ricorda con più emozione?

    «La semifinale di Champions, quando abbiamo battuto il Manchester City, il 4 maggio. Era il compleanno di mia madre, scomparsa un anno fa. Al termine della partita io e mio padre ci siamo abbracciati in lacrime: è stato il nostro modo per ricordarla. Lei fino all’ultimo ci diceva che saremmo tornati al Real Madrid: è mancata il 24 maggio; la chiamata per la Spagna è arrivata il 27...».

     

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    Sembrava una panchina di transizione, dopo Everton e Napoli. De Laurentiis vi ha chiamato per congratularsi?

    «Con mio padre è rimasto in buoni rapporti, si stimano, immagino lo abbia sentito».

     

    Qual è stato l’ingrediente segreto di Ancelotti senior?

    «Conosceva bene la maggior parte dei giocatori. C’è un gruppo di leadership che ha aiutato molto la nostra gestione: penso a Modric, Benzema, Kroos. Poi c’è un gruppo di spagnoli come Nacho e Carvajal che sono stati molto importanti nel quotidiano, si sono allenati con giovani molto competitivi: Valverde, Camavinga, Militão, Vinicius, Rodrygo... Le nostre rimonte non sono mai state colpi di fortuna: ogni giocatore ha sempre dato tutto sé stesso».

     

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    Suo padre si conferma un grande gestore di campioni.

    «È l’immagine che si ha di lui: l’esperto di uomini, cui tutti vogliono bene. Ma è stato un innovatore!, il primo a giocare con il famoso albero di Natale. La sua caratteristica è sapersi adattare e questo presuppone grande conoscenza: il calcio si può vincere in tante maniere, ma devi saperlo insegnare in modi diversi».

     

    E dov’è la sua firma?

    «Ho il compito, con lo staff, di sfidarlo continuamente, metterlo in discussione, perché abbia sempre dei dubbi. Non siamo yes man. Poi in allenamento gli do una grande mano con l’organizzazione. Oggi si cerca di individualizzare il più possibile il lavoro: c’è l’aspetto fisico, psicologico, tattico, il gioco degli avversari. Una persona sola non può controllare tutto».

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    Con voi si parla spesso di clan: il marito di sua sorella è il nutrizionista della squadra.

    «Lavoro da 10 anni con mio padre e il tema del nepotismo salta fuori quando si perde».

     

    Ma a lei pesa essere considerato un raccomandato?

    «Sono consapevole che ci siano questi pregiudizi, e sì, penso sempre di dover dimostrare qualcosa. Ma per me è benzina: mi fa stare motivato e non la voglio perdere. Però per il posto di vice non si fanno casting, ogni allenatore sceglie un uomo di fiducia».

     

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    Qual è la squadra che glielo ha fatto pesare di più?

    «L’unica italiana dove ho lavorato: il Napoli. Ma credo sia legato al fatto che in Italia la parentela fa più rumore».

     

    A Napoli sono nati i suoi gemelli, Leo e Lucas.

    «E questo mi farà ricordare ancora di più il bello dell’esperienza. A Napoli sono stato benissimo, vivevamo nella Riviera di Chiaia. Il primo anno abbiamo fatto bene, siamo arrivati secondi, ma la Juve aveva comprato Cristiano Ronaldo. Il difficile è stato quando le cose hanno cominciato ad andar male e non siamo riusciti a raddrizzarle. Mi spiace sia finita così».

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    Chi è l’allenatore più bravo di sempre?

    «Il mio è un giudizio di parte. Ma quello che ha fatto mio padre è quasi impossibile».

     

    Vuole somigliargli?

    «Da lui ho imparato che vengono prima i giocatori: bisogna partire da loro. Però voglio avere la mia identità».

     

    Che nonno è Carletto?

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    «Non ha tantissimo tempo per i 5 nipoti. Lo tiene in sospeso per quando smetterà».

     

    Ha conosciuto un po’ di celebrità in Spagna?

    «Ci lavoro tutti i giorni! Spesso ci si dimentica che sono ragazzi, certo privilegiati, però hanno pressioni che non è facile gestire a 19-20 anni».

     

    Il 10 giugno si sposa con Ana Galocha. Auguri!

    «Dovevamo sposarci nel 2020, prima della pandemia. Lo faremo a Mairena de Alcor, Siviglia. L’anno che si è sposata mia sorella eravamo a Madrid e abbiamo vinto la Champions. Speriamo che sia un destino già scritto!».

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