Fabio Savelli per corriere.it
ibarra
Dopo diciassette anni è un colpo alle ambizioni di Sky. Perdere l’asta principale per l’assegnazione dei diritti della serie A con la rivale Dazn rappresenta certamente una discontinuità rispetto al predominio di questi anni dell’emittente satellitare del gruppo Comcast. Ci sarà bisogno di un riposizionamento dell’offerta commerciale, probabilmente si assisterà ad un’erosione della base abbonati in Italia attualmente di oltre 5 milioni, ma non ad un automatico travaso di clienti. Ci sono diverse variabili in gioco e il precedente di Mediaset Premium può dare qualche indicazione.
Quando l’emittente pay del Biscione si defilò dall’asta per i diritti della serie A, Sky assistette ad una lieve crescita della base di clienti, configurabile in un terzo degli abbonati che aveva Premium. Non proprio una crescita uno ad uno. Contano la fedeltà alla tecnologia, l’offerta commerciale distribuita su più pacchetti, l’affidabilità della connettività veloce rispetto alla propria utenza, una certa ritrosia a cambiare operatore per le seccature amministrative che ciò comporta. Ma certo è un bel ribaltone. Al momento per la verità la gara per i diritti tv è ancora aperta.
Ci sono da assegnare tre partite in co-esclusiva e Sky inevitabilmente cercherà di accaparrarsele anche se le due offerte, la prima da 70 milioni, la seconda al rialzo del 25% a 87,5 milioni, non sono bastate. Si parla di una base d’asta tra i 110 e i 120 milioni nel nuovo bando che sta configurando la Lega Calcio. Certo è che quel pacchetto Dazn lo ha già perché si tratta di tre partite in co-esclusiva al prezzo di 840 milioni complessivo (di cui 340 sarebbero stati girati da Tim che potrà costruire da ora in poi offerte bundle che mettano insieme calcio più connettività). L’accordo con Dazn è stato appena messo sotto la lente dell’Agcom perché i dettagli commerciali non sono chiari e potrebbero ledere il quadro competitivo e i principi di pluralismo.
Ma al netto delle questioni in punta di diritto resta l’apprensione. Il 9 aprile è previsto un incontro tra i vertici e i sindacati per capire le prossime mosse. L’amministratore delegato Maximo Ibarra in una recente intervista ha chiarito che «se la Serie A non ci fosse, ovviamente, ne scaleremo il costo dall’abbonamento ai clienti in modo del tutto trasparente e proattivo». Bisognerà anche capire se i due pretendenti possano trovare un accordo in un secondo tempo come è avvenuto finora con Dazn che ha attivato per questo ciclo di diritti un canale satellitare sulla piattaforma Sky che ora andrà a spegnersi.
Conviene però partire da alcuni numeri per capire che cosa muove l’industria del calcio anche in un’epoca come quella pandemica con gli stadi chiusi per le misure di distanziamento. Sky ha offerta circa 30 milioni in meno all’anno rispetto al triennio precedente, 750 contro 780, contro gli 840 della cordata Tim-Dazn. Perché ha ritenuto che il campionato abbia perso un po’ di valore anche rispetto all’emergenza economica e sociale che stiamo vivendo. E perché in base ad una sentenza Antitrust non può trasmettere in esclusiva su Internet fino al 2022.
È chiaro che ora può indirizzare quei soldi su altri investimenti. Considerando che ha soprattutto i diritti di Champions League ed Europa League. A venirne penalizzato potrebbe essere il tifoso che sarà costretto a slittare tra le due piattaforme per vedere la propria squadra del cuore tra Italia ed Europa. Nel bilancio chiuso al 30 giugno 2019 (ultimo integrale depositato da Sky, che dal 2019 è passata alla chiusura al 31 dicembre in linea con la controllante Comcast), ha registrato ricavi per complessivi 3,29 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi dagli abbonamenti residenziali e 261 milioni di pubblicità. Il costo dei diritti è stato pari a 1,89 miliardi, mentre l’organico ammonta a circa 5mila dipendenti, il cui costo per la sola società Sky Italia srl è stato pari a 261 milioni di euro.
Poi c’è il tema della connettività. Dazn assicura che bastano 8 megabit al secondo per vedere le partite senza interruzioni, uno standard minimo che copre il 95% della popolazione. Ma con agli altri device accesi diventa necessario avere almeno una connessione veloce a 30 megabit al secondo anche se la sfida principale è evitare la saturazione della rete consentendo a tutti di vedere le partite simultaneamente. Secondo l’ultima rilevazione Agcom sono 11,84 milioni le linee in Italia a banda ultra-veloce considerando la fibra fino al cabinet, fino a casa o con la tecnologia Fwa ad onde radio. Restano 6 milioni le linee Adsl in rame. E sei milioni che non sono proprio connessi.
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