Silvia Scotti per “la Repubblica” - Estratti
daniele de rossi
Ci saranno anche 21 modi per dirti ti amo, ma non sempre si trova quello giusto. Non questa volta.
L’Olimpico si era preparato alla favola con la solita dose di incoscienza, ingenuità, amore incondizionato: tutto esaurito, cori, bambini vestiti con la 21 di Dybala, l’applauso per il campione che non si è congedato dal posto dove lo considerano un re, adesso farà qualcosa, ci pensa lui. No. Dare senza ricevere, un classico che non invecchia mai.
E la favola di Dybala inizia davvero con “c’era una volta”: c’era, non c’è, non al presente, non oggi. Sempre così quando si aspetta troppo: l’attesa del piacere etc, ecco, è meglio l’attesa del finale. E l’attesa può essere anche infinita. E amara.
roma empoli
Se la partita è solo tra l’entusiasmo di 60 mila persone felici perché Dybala ha detto ‘no’ all’Arabia e a svariati milioni e un Fazzini che è imprendibile, che si diverte in mezzo a una Roma che non ha il suo passo, spaccata, lenta, lunga, confusa in difesa, stordita dalla velocità dell’Empoli, il risultato è che il lieto fine è (per la Roma) un brutto finale. De Rossi in panchina è impotente, a fargli compagnia solo la fedelissima bottiglietta d’acqua, non lo aiuta nessun altro.
roma empoli
Non lo ascolta nessuno in campo: la difesa è poco coraggiosa e non accorcia mai, ci sono troppi errori in fase di possesso, inquietante l’inconsistenza in attacco. Il tecnico ha provato a cambiare nel secondo tempo, a mettersi a specchio con la difesa a tre: ma non è la serata di Dybala, non è la sua, non è la serata della Roma, il palo al 93’ è simbolico, se non è favola, non c’è neanche il principe azzurro.
«Nel calcio di oggi bisogna andar forte e devo essere bravo a scegliere chi va forte», il processo interno avviato da De Rossi.
dybala de rossi
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