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    DESERTO CAPITALE – STRADE VUOTE E NEGOZI CHE NON SONO MAI RIUSCITI A RIAPRIRE DOPO IL LOCKDOWN: LA ZONA A PIÙ ALTO TASSO TURISTICO DI ROMA E' STATA TRASFORMATA IN UN SET DA FILM APOCALITTICO – I COMMERCIANTI CHE HANNO ALZATO LE SARACINESCHE TRA VIA IN ARCIONE, FONTANA DI TREVI E VIA DELLE MURATTE SI CONTANO SULLE DITA DI UNA MANO, I POCHI RISTORANTI APERTI SOFFRONO PER LA MANCANZA DI TURISTI: “IL CENTRO STORICO È STATO MARTIRIZZATO” – E LA SERA…


     
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    Lilli Garrone per "www.corriere.it"

     

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    Da dietro i vetri blindati e chiusi da una grata centinaia di Pinocchio in legno di tutte le misure sembrano guardare, con malinconia, la strada vuota. Il loro negozio di souvenir è chiuso, così come quasi tutti gli altri di via in Arcione, via del Lavatore, Fontana di Trevi, via delle Muratte.

     

    Quelli aperti si contano sulle punta delle dita: uno di pelletteria, uno di vestiti esattamente di fronte alla fontana e uno di scarpe. A decine, invece, le saracinesche abbassate: alcune hanno ancora affisso il cartello, che evidentemente nessuno ha staccato, della protesta del 18 maggio (primo giorno fissato per la riapertura dei negozi): «Senza aiuti del governo non possiamo riaprire».

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    Così nella zona a più alto tasso di turismo di Roma, dove tutto era in funzione delle migliaia di stranieri che vi passavano ogni giorno, adesso c’è il deserto. Serrande giù, grandi vetrine coperte da fogli di cartone come nel negozio «Made in Italy», porte in legno sprangate.

     

    Niente più cartelloni carichi di magneti, per lo più made in China, niente più magliette o palloni: anche il negozio di vetri di Murano è rimasto chiuso. Hanno invece riaperto - ma solo in quest’ultimo fine settimana - qualche pizzeria e qualche ristorante: «C’è pochissima gente che passa - raccontano al ristorante “Al Picchio” a due passi dalla fontana -. Qualche albergo ha qualche prenotazione, ma per il resto nulla». «Noi ancora lavoriamo al 20 per cento delle possibilità del locale - spiega Andrea Romagnoli, titolare del ristorante “Al Moro” -. Questa zona è prettamente turistica e risente molto della mancanza di stranieri.

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    E credo che almeno fino a settembre sarà così». Ma «fra qui e piazza di Spagna, saranno rimaste ad abitare quindici famiglie in tutto - sono le parole di Jannette Alder, appartamento proprio davanti la fontana -: il centro storico è stato martirizzato. Non rimpiangiamo certo i negozi pieni di “monnezza” o di brutti souvenir che ci sono su queste strade, ma adesso il centro di Roma deve essere ripensato».

     

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    Due soli sono i negozi di alimentari sopravvissuti: uno in via del Lavatore e l’Antico Forno, una volta di Gianni Riposati, all’angolo con la piazza: qui si continuano a preparare pizze e panini. In via di San Vincenzo è al lavoro solo il tabaccaio: tutto il resto sprangato e vetrine spente.

     

    E soprattutto la sera la desolazione è totale. «Il commercio nel centro è stato soffocato da un’economia inquinata e alterato da una gestione mai debitamente controllata, e questo vale anche per la ricezione turistica - afferma Viviana Piccirilli Di Capua, la presidente dell’Associazione abitanti centro storico -. I residenti ci sono ancora, vivono qui, e non sono “fantasmi” come in troppi vogliono far credere. Abbiamo sperimentato il negozio di vicinato - aggiunge - e oggi vediamo tante attività chiuse.

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    Ma queste sono il frutto di una politica che ha concesso una mercificazione turistica non adeguata a far conoscere, trasmettere e vendere qualità. Vi è la totale mancanza di un progetto utile alla rinascita di una grande città e del suo centro storico patrimonio Unesco, dove far rivivere la residenzialità, aprendosi non solo al recupero delle famiglie ma anche a studenti universitari».

     

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