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IL DESIGN? UNO STATO MENTALE – L’IRRESISTIBILE ASCESA DI MARTINO GAMPER: “GLI OGGETTI SONO ATTIVI, CI PARLANO. IL DESIGN NON È SOLTANTO IL MANUFATTO FIRMATO, COSTOSO E DI LUSSO MA TUTTO CIÒ CHE CIRCONDA”

Lorenza Castagneri per “la Stampa

 

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La metafora calza a pennello: le librerie sono architetture in miniatura. Ogni spazio che le compone è una stanza dove custodire qualcosa che parla di sé. Non soltanto volumi, anche vasi, piatti, bicchieri. «Sono elementi che raccontano la nostra storia. In cui gli altri trovano tracce delle persone che siamo», dice Martino Gamper. E che, nel caso di un designer come lui, nato a Merano, da 15 anni a Londra - diventa una fonte di ispirazione. 

Nella mostra «Martino Gamper: Design is a State of Mind» - che dopo essere stata allestita a Londra alla Serpentine Sackler Gallery inaugura martedì alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino - Gamper prende in prestito gli oggetti di amici e colleghi e li offre agli occhi dello spettatore sistemandoli non su mensole né posizionandoli a terra. 

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Il supporto è la libreria, uno dei primi mobili che si scelgono quando c’è da arredare una casa: pezzi d’autore che hanno fatto la storia dell’arredamento, esempi di design industriale e funzionale e lavori commissionati - sono presenti opere di Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Giò Ponti, Franco Albini e dello stesso Gamper - accanto a scaffalature che ognuno ha in casa, targate Ikea o Dexion.

 

«Volevo creare uno spazio nuovo che, collegato a ciò che sta appoggiato sopra la libreria, desse vita a una storia, creasse una narrazione perché gli oggetti, tutti gli oggetti che esistono al mondo, ci parlano e trasmettono qualcosa della persona che li ha scelti» spiega Gamper, che qui si trova anche nell’insolita veste di curatore chiamato a selezionare lavori altrui, spesso lontani dal proprio gusto personale. «Ma design - dice - è tutto ciò che ci circonda. Non è soltanto il manufatto firmato, costoso e di lusso. Tutto nasce dalla creatività di qualcuno. Gli oggetti ci parlano. E l’attaccamento emotivo che proviamo per loro va al di là del valore economico». 

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In questo senso, per riprendere il titolo della mostra, il design è uno stato mentale. Appoggiati sopra ai ripiani ci sono il gatto che il padre di Ron Arad costruì per celebrare la nascita del figlio, e poi frammenti di collezioni di altri designer. Come le brocche e i piattini di Gemma Holt e Max Lamb, i sassi di Michael Anastassiades, i fermacarte di Enzo Mari.

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Alcuni li ha selezionati Gamper in persona, altri li hanno fatti avere direttamente i creativi che il designer italiano ha deciso di coinvolgere nel suo progetto. E così il visitatore ha la sensazione di trovarsi non in uno spazio espositivo aperto al pubblico bensì in un enorme salotto occupato soltanto da librerie. È come entrare in casa e scoprire un autore nel suo intimo. Attraverso le sue collezioni che talvolta sono in realtà accumulazioni di oggetti molto diversi tra loro.

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«Anch’io sono un accumulatore - dice Gamper -. Accumulo mobili. Sedie, in particolare. E coltelli da cucina. Non sono un collezionista perché quelli sono metodici, si concentrano su un prodotto ben preciso e puntano ad averlo in tutte le versioni possibili fino ad arrivare al grande “pezzo unico”. Io no. La mia è una operazione di ricerca dalla quale poi traggo l’essenza per i miei lavori». 


Non a caso il progetto che gli ha dato la notorietà mondiale è «100 Chairs in 100 Days and its 100 Ways», dove Gamper rimontava secondo nuove e inedite combinazioni cento sedie gettate via. Alcune saranno a disposizione dei visitatori della mostra. Dove si potranno vedere anche «Mon Oncle» di Jacques Tati e de «Le Chant du Styrène» di Alain Resnais, due film, entrambi del 1958, che raccontano come si immaginava allora il futuro del design. 
 

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La mostra «Martino Gamper: design is a state of mind» è alla Pinacoteca Agnelli di Torino dal 22 ottobre al 22 febbraio

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