Marco Antonellis per “Italia Oggi”
di maio pompeo
C' è una liturgia nascosta, un protocollo informale secondo cui la governabilità dell' Italia si misura in relazione allo status dei rapporti coltivati oltreoceano. Andreotti andava dicendo che in Italia nessuno, realmente, parla con gli Usa perché in Usa non c' è e non esiste un blocco politico riconducibile alla sola amministrazione.
C' è la segreteria di Stato, ma c' è anche il Pentagono; c' è la Casa Bianca ma anche il Congresso; c' è la Cia e c' è, a Roma, villa Taverna. Insomma, è dai tempi della Dc e della prima repubblica che le relazioni con gli Stati Uniti sono considerate cruciali per guidare in sicurezza l' Italia. E tutto sommato questo è un governo che ha saputo mostrare una certa capacità di mediazione: la sinergia tra Trump e Giuseppe Conte, la lealtà incondizionata del ministro Guerini, quella del collega Amendola e, con un certo stupore, l' intensa amicizia che oggi unisce Luigi Di Maio al segretario di Stato Mike Pompeo.
mike pompeo luigi di maio
È proprio sul ministro degli Esteri però che si è concentrata l' attenzione di Washington negli ultimi mesi. Non è un mistero che, da tempo, gli americani dispensino giudizi positivi sul nuovo corso atlantista di Luigi Di Maio. Il sostegno riservato agli accordi di Abramo è stato molto apprezzato, così come le dure parole su Lukashenko e, naturalmente, è stata innanzitutto la franchezza con cui Di Maio a fine agosto si è rivolto all' omologo cinese Wang Yi a convincere gli americani a puntare tutte le fiches sul nuovo capo della diplomazia italiana.
MIKE POMPEO E LUIGI DI MAIO
Ai vertici più alti del deep state capitolino ormai la voce corre con insistenza: Di Maio è entrato nelle grazie di Washington, anche per via del rapporto coltivato di recente con l' ambasciatore Lewis Eisenberg, e, raccontano in molti, grazie all' intraprendenza del nuovo portavoce Augusto Rubei e all' impostazione filo-atlantica che il giornalista, già portavoce del ministero della Difesa e oggi uomo ombra alla Farnesina, ha voluto attribuire a Di Maio. Il forte legame tra i due è ormai noto a tutti e la formula trasferita al ministro ricalca un vecchio teorema di cui Rubei faceva tesoro, quando poco più di un anno fa, per conto dell' ex ministra Trenta, teneva le redini di Palazzo Baracchini: prima i valori, poi gli affari; perché è sui valori che si costruisce il business.
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È principalmente a Rubei che si deve la nuova immagine internazionale di Luigi Di Maio, che a fine mese peraltro sarà atteso in Israele, per la prima volta nei panni di ministro degli Esteri. Per lui (Covid permettendo) sarebbe il primo viaggio in Terra Santa, dove dovrebbe incontrare l' omologo Gabi Ashkenaz e non è esclusa la possibilità di un faccia a faccia anche con il premier Benjamin Netanyahu e una riunione con il capo dello Stato, Reuven Rivlin. Poco più di un mese fa proprio Di Maio aveva definito l' annuncio della normalizzazione verso Israele «un importante sviluppo» per gli equilibri del Medio Oriente. Parole che per gli States, ancora una volta, rappresentano una rassicurazione importante. E non è forse un caso che Luigino giungerà a Gerusalemme a un mese dal positivo incontro con il segretario di Stato Mike Pompeo.
Sono tasselli di un mosaico che con ogni probabilità potrebbero segnare il nuovo corso del M5s in vista degli Stati Generali.
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