Paolo Decrestina per il Corriere della Sera
di maio
Sì al compromesso con l’Europa, l’importante è non tradire gli italiani. Luigi Di Maio apre alla trattativa con Bruxelles sulla manovra, detta condizioni e invita a «non fermarsi ai numerini». «Se l’economia rischia di fermarsi noi dobbiamo fare una manovra che mette soldi nell’economia», afferma il vicepremier Luigi Di Maio sull’eventuale previsione di abbassamento del rapporto fra deficit e Pil al 2%. «Poi, nella trattativa, se non si chiede al governo di tradire gli italiani, perché noi non tradiremo gli italiani - precisa- possiamo portare avanti tutti i punti di caduta e compromessi che vogliamo».
conte juncker 1
«È logico che l’economia si fermi se l’ultimo governo del Pd ha fatto una manovra insipida che non aveva alcun investimento», prosegue il capo politico dei Cinquestelle in occasione di una visita, nel trevigiano, all’impianto innovativo di trattamento rifiuti di Contarina spa. «Poche centinaia di milioni di euro messe dal Pd mentre noi - spiega - mettiamo 37 miliardi.
I soldi ci sono per far ripartire l’economia ma bisogna mettersi in testa che è proprio perché in questi anni si continuava a tagliare dai servizi essenziali, la sanità, il welfare, il motivo per cui la gente si è impoverita». «Gli imprenditori - conclude - hanno avuto sempre più incertezze, si è bloccato l’export a causa di una guerra dei dazi tra Cina e Usa. Oggi l’unico modo per far ripartire l’economia - ha concluso - è far ripartire il potere d’acquisto degli italiani».
SALVINI CON IL PUPAZZO DI DI MAIO
IL SEGNO «MENO» CHE ADESSO TURBA I DUE VICE PREMIER
Francesco Verderami per il Corriere della Sera
Più delle tensioni nella maggioranza, più delle trame delle opposizioni, il governo deve fronteggiare il più temibile degli avversari: il «generale Pil». Che mina la credibilità della manovra.
Lo indebolisce nella trattativa con l' Europa.
E soprattutto incrina il suo rapporto con il Paese.
Il «governo del cambiamento» non immaginava di trasformarsi in soli sei mesi nel «governo del meno». Quel segno - come si sono affrettati a sostenere Di Maio e Salvini - sarà pure «un' eredità del passato», la conseguenza di «politiche economiche sbagliate», dunque la prova che «avevamo ragione a voler invertire la rotta». Ma è chiaro ai due vice premier che - di qui in avanti - l' unico modo per restare alla guida dell' esecutivo con la fiducia dell' opinione pubblica, sarà recuperare al proprio fianco il «generale Pil». Cambiando a loro volta la rotta, come da mesi veniva suggerito.
Ce n' è traccia nei ragionamenti ultimi di Savona, nei consigli a suo tempo cestinati del sottosegretario grillino Buffagni, e nelle intemerate del leghista Giorgetti. Prima che uscissero i dati ufficiali, il braccio destro di Salvini a palazzo Chigi aveva avvertito che «l' economia non va bene», che «il mercato dell' edilizia è fermo», e che era necessario puntare sugli investimenti: «Il problema non è trovare i soldi, ma spendere subito quelli che già ci sono. Perché se pensassimo a nuove opere, non ne usciremmo». Dai «tetti delle scuole» ai «bagni dei tribunali», Giorgetti era (e resta) il fautore dei «cantieri aperti», riteneva (e ritiene) che «dobbiamo dare fiato a regioni e comuni», puntando sui progetti già cantierabili.
LUIGI DI MAIO
«Ristrutturare e riqualificare» è il motto, nella speranza - che non è una certezza - di levarsi il marchio del segno «meno». Smaltita l' ubriacatura ideologica della notte in cui venne «abolita la povertà» e il governo sfidò a colpi di «numerini» l' Europa matrigna, i vice premier fanno mostra di aver compreso il rischio e sono ora disposti a trasferire risorse dal reddito di cittadinanza e «quota 100» agli investimenti. Salvini a modo suo l' ha formalizzato: «Se i tecnici ci dicono che i 16 miliardi messi per realizzare i due provvedimenti sono troppi, e ci dicono che quei soldi si possono usare per altre cose, come le strade o per le alluvioni, allora spostiamoli».
È un modo per incoraggiare al passo Di Maio, che ancora ieri si trincerava dietro la parola d' ordine «lo spread sta calando». Il leader della Lega è stato finora attento ad assecondare l' alleato, preoccupato com' è che possa saltare subito il tappo tra i grillini: l' ha spiegato a Berlusconi, «non sarò io ad aprire la crisi. Saranno altri a farlo». Il dissenso di Fico sul decreto sicurezza è l' ennesimo indizio dell' insostenibile leggerezza del governo.
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni tria
Ma come ripete sempre Giorgetti, «prima va portata a casa la manovra». E avere contro il «generale Pil» non aiuta nella trattativa con l' Europa.
La mediazione - dice un ministro - «è di per sé già difficile, se poi a Bruxelles sanno che l' ultima parola non è quella degli interlocutori con cui stanno parlando...».
L' esempio più lampante che viene raccontato è il dopo cena con Juncker, quando Conte - uscito dal colloquio - come prima gesto ha chiamato il portavoce a palazzo Chigi, per sapere cosa dichiarare. Allora non stupisce se l' esame della manovra in Parlamento slitta di giorno in giorno, se ieri il titolare dell' Agricoltura Centinaio ammetteva che nell' esecutivo si sta ancora «cercando di capire quale sarà il punto di caduta nel rapporto deficit-Pil: 2,4 o 2,2 o 2 come ci chiede l' Europa».
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A parte il «punto di caduta», al governo preme oggi mostrarsi aperto alla mediazione con l' Ue, a prescindere dal risultato. La trattativa - l' ha spiegato Tria prima di partire per il G20 - è funzionale anche ad attutire l' eventuale impatto di una procedura d' infrazione, dev' essere interpretata come «un atto di disponibilità verso l' Europa», come «un gesto positivo dell' Italia», per cancellare «le preoccupazioni dei mercati ed evitare la loro reazione».
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Ma senza il «generale Pil» si aprirebbe il paracadute?