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    GIOCA E MUORI: DI REALITY SI PUÒ ANCHE CREPARE - IL PERICOLO C'E' MA NON SEMPRE VIENE CALCOLATO - LUCA WARD: “HO RISCHIATO LA PARALISI. I REALITY VANNO CHIUSI”


     
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    1. MEDICI, VIE DI FUGA E SCIALUPPE, L’ESERCITO NASCOSTO DELLA SICUREZZA: IL RISCHIO C’È, MA CALCOLATO

    Silvia Fumarola per “la Repubblica”

     

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    Il rischio è calcolato, ma la paura si deve vedere. Brividi per il concorrente — se non soffre non vale — e per lo spettatore in poltrona. È la legge del reality show. La vita estrema formato tv è una fabbrica di ascolti, come dimostrano i 5 milioni di fedelissimi dell’ Isola dei famosi 1-0, e di reduci.

     

    La natura è selvaggia, ma una squadra invisibile di medici veglia sui concorrenti 24 ore al giorno, i paramedici sono pronti a intervenire, le barche — mai inquadrate — sono pronte a salpare. Il cordone di sicurezza gioca un ruolo importante nello show, nei casi eclatanti anche l’arrivo del medico a favore di telecamera fa spettacolo. Le case di produzione si tutelano: quest’anno per evitare rischi, L’isola dei famosi ha subìto una falsa partenza per il maltempo, con abbandono da parte di Catherine Spaak, che oggi manda un pensiero alle famiglie delle vittime francesi ma non dice di più «perché sono legata, per contratto, dal vincolo della riservatezza». «Me ne sono andata » aveva spiegato «perché ho avuto paura di morire. La vita è sacra e non vale la pena rischiare di morire per un gioco».

    isola dei famosi francese vittime isola dei famosi francese vittime

     

    «Quello che è successo in Argentina ci ha scioccato», spiega Silvio Testi, che con la Triangle Production ha realizzato le tre edizioni del reality La talpa «ma purtroppo è una tragica fatalità. Noi che mettiamo in piedi questo tipo di show sappiamo bene che il rischio deve essere sempre calcolato. Il problema dell’incolumità si pone anche senza sfide estreme: in Messico, ad esempio, eravamo circondati da serpenti velenosi che eravamo riusciti ad allontanare circondando la casa di tacchini giganti».

     

    La prima regola è non proporre mai una sfida senza averla fatta testare dalle controfigure, perché va tarata la difficoltà e non puoi farlo a tavolino. «Facevamo le prove con persone fisicamente identiche ai concorrenti», spiega Testi. «Sulle sfide basate sulle fobie è diverso, quando punti sulle reazioni emotive non sai cosa può succedere, a volte sono sproporzionate. Ma deve esserci sempre la possibilità di un intervento immediato. Ricordo una gara claustrofobica in un cunicolo in cui si procedeva a carponi: in realtà ogni cinque metri c’era una botola per aprirlo. Il trucco c’è, ma non si vede, il concorrente non lo sapeva e il panico era autentico. L’équipe medica vigilava».

     

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    Cameramen immersi per ore nell’acqua (spesso freelance pronti a tutto), arrampicati su alberi e rocce. Ma di reality si può morire: nel marzo 2014, Gerald Babin, 25 anni, fu stroncato da un attacco cardiaco in Cambogia durante la prova del naufragio per il reality Koh Lanta, versione transalpina di Survivor. Riprese interrotte, ma dieci giorni dopo il medico del programma, Thierry Costa, si suicidò.

     

    Nel 2013 la versione indiana di Dropped registra la morte in diretta di un concorrente: Saliendra Nath Royche fu colpito da un infarto durante una prova estrema che prevedeva il guado di un fiume appeso per i capelli su un cavo. «Il reality farebbe parte del lessico internazionale unscripted , senza copione, ma in realtà è un genere scripted perché costruisci le situazioni», conferma Testi. «Niente avviene sotto dettatura, ma bastano i suggerimenti giusti. Quando parli coi concorrenti li informi se il personaggio viene fuori bene; se piace perché è istintivo suggerisci uno stile di comportamento».

     

    Chissà se quando Rocco Siffredi si è spogliato a Playa Desnuda lo ha fatto per ispirazione personale, di certo ha registrato il picco su Twitter: 2.000 tweet per lo strip. Le privazioni scatenano reazioni autentiche. Regola aurea: «Se i concorrenti stanno comodi si rilassano, se diventano incazzosi rivelano la vera personalità».

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    2. WARD: TUTTO ORGANIZZATO MA IO MI SONO FERITO DAVVERO

    Da “la Repubblica”

     

    «I reality vanno chiusi».

    Non ci sono altre considerazioni da fare. La gente ha voglia di evadere? Lo capisco, visto il momento che stiamo vivendo: ma si guardasse una fiction». Luca Ward, attore e doppiatore, vittima all’ Isola dei famosi nel 2010 in Nicaragua di un incidente in cui ha rischiato di restare paralizzato, non usa mezzi termini.

     

    Ward, perché è così drastico?

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    «Perché i reality non hanno senso, e possono essere molto pericolosi. Io ho vissuto la grande paura sulla mia pelle. E sono istruttore subacqueo, sono uno sportivo, conosco il mare. Mi hanno fatto lanciare dall’elicottero, ma il fondale era troppo basso: non avevano tenuto conto della bassa marea. Avevano fatto una prova ore e ore prima. Meno male che mi ero tuffato in modo scomposto, se mi fossi buttato a candela non sarei mai più rimasto in piedi».

     

    Che ha fatto?

    «Ho incrociato le braccia per indicare al pilota dell’elicottero, che era un pilota militare e ha capito il segnale, di spostarsi prima di far tuffare gli altri concorrenti. Non è un gioco, la sicurezza è la prima cosa».

     

    Dicono che tutto avviene nella massima sicurezza.

    «Le assicuro che nel mio caso non è stato così».

    Le conseguenze?

    «Tragiche. Una volta arrivato sull’isola avevo dolori pazzeschi, non mi sentivo più il piede, poi Busi mi disse che avevo un ematoma gigantesco sulla schiena.

    L’organizzazione sull’isola non mi ha assistito, mi sono sentito abbandonato. Mi hanno fatto fare una lastra dove non si vedevano i danni. Morale: due vertebre fratturate, il coccige rotto. Faccio l’attore, anche sul set ci si può far male, ma ci sono gli stuntmen».

     

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    È tutto vero quello che succede e che si vede nei reality?

    «Ma no. Le reazioni possono essere spontanee ma le situazioni non sono così estreme, io per esempio ho lasciato i cerini a Simone Ruggiati prima di lasciare l’isola. Per accendere il fuoco». ( s. f.)

     

    3. LA MACCHINA DEGLI SHOW ESTREMI

    Fabio Poletti per “la Stampa”

     

    Gioca oppure muori si è visto al cinema. Da «Rollerball» con James Caan del 1975 a «L’implacabile» con Arnold Schwarzenegger nel 1987. Gioca e poi muori solo nei reality tv. Ma la fatalità o l’errore umano dietro alla tragedia in Argentina sta quasi nell’imponderabile dei reality studiati a tavolino in ogni minimo dettaglio.

     

    «Perché prima di andare in onda, c’è un lavoro enorme che non si vede, ma spesso decreta il successo o meno del format», assicura un ex producer di Magnolia con nel palmarès due edizioni di «Isola dei famosi», anche lui un naufrago in quella sperduta isola dell’Honduras senza nemmeno l’emozione dei riflettori ma solo col bello della diretta vista dal lato scuro della telecamera.
     

    rocco siffredi isola famosi playa desnuda rocco siffredi isola famosi playa desnuda

    Prima della messa in onda
    «Se la location è già stata sperimentata noi partiamo 3 o 4 mesi prima della messa in onda. Se l’isola è una new entry ci vogliono pure 6 mesi di sopralluogo». Il pronome «noi» nasconde un esercito di uomini della televisione. Almeno 140 persone nell’Isola honduregna. Senza contare i locali presi per guidare i mezzi, pilotare auto e barche, sorvegliare l’isola dalle intrusioni o evitare che intrusi - giornalisti o turisti - si possano avvicinare. I mezzi tecnici per la messa in onda - ma pure tonnellate di cibo made in Italy - arrivavano coi container. Sul posto c’erano due elicotteri per le riprese e le emergenze, quattro barche grandi per la produzione più un numero infinito di motoscafi e barche leggere per gli spostamenti. 
     

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    «L’isola per noi in realtà erano tre. Quella del reality. La nostra base tecnica a 30 chilometri di mare. Una più piccola ma più vicina alla location delle riprese con le strutture di emergenza medici compresi», racconta il producer che ha passato mesi in un luogo assai esotico ma che, turni di riposo a parte, non si può certo dire che sia stato in vacanza. «Il primo sopralluogo riguarda la morfologia dell’isola. Magari ci sei stato l’anno prima ma le maree e le correnti in un niente si sono portate via già mezza spiaggia. L’ultimo la pulizia, perchè l’isola disabitata è un ricettacolo di tutti i rifiuti del mare portati sulle spiagge».
     

    cristina buccino tormentata dalle zanzare isola dei famosi cristina buccino tormentata dalle zanzare isola dei famosi

    La base logistica
    Ma prima, molto prima, c’è la scelta dell’isola. Deve essere disabitata. Non deve essere facile per i concorrenti lasciarla a piedi o a nuoto. Non deve essere troppo lontana dalle altre isole che fungono da base logistica. Non deve essere troppo vicina alle isole normalmente frequentate dai turisti. «Sull’isola c’è il nostro personale di supporto ma non è che può sparare... Se si avvicina la barchetta di turisti si cerca di non inquadrarla nelle riprese...». Ma la cosa più complicata almeno all’inizio è prendere contatto con le istituzioni locali che devono di fatto cedere la potestà della loro isola avendone in cambio un notevole battage pubblicitario. «Di solito le autorità locali sono disponibili a collaborare...».
     

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    Gli imprevisti
    Perché la ricaduta economica è più che importante per i Paesi caraibici. Le troupe e il personale tecnico e amministrativo occupano hotel per mesi. Poi ci sono i contractor locali e il noleggio dei mezzi. «È tutto ovviamente più difficile che in una location in Italia. Anche perché una volta che sei in onda puoi aver studiato tutto al millimetro ma c’è sempre un’incertezza imprevedibile. Penso al maltempo che ha bloccato la prima puntata di questa edizione dell’Isola... E allora sei senza rete e non ci sono piani B possibili. Ma questo si sa, lo dicono sempre i maestri, è il bello della diretta. Per noi che stiamo dietro lo schermo, a volte è pure il brutto, anche se facciamo di tutto per non farlo vedere».

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