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    DIES IRAN – INFLAZIONE AL 55%, PROTESTE E SCONTRI CON LA POLIZIA, IN PIAZZA ANCHE GLI OPERATORI DEL GRAN BAZAR DI TEHERAN, LA CASA DEI MERCANTI CONSERVATORI CHE ACCUSANO ROHANI DI “FARSI ABBINDOLARE” DALL’OCCIDENTE – PER L’AYATOLLAH KHAMENEI È TUTTA COLPA DEGLI STATI UNITI, CHE INTANTO, PER DARE IL COLPO DI GRAZIA…


     
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    Pierluigi Franco per “il Messaggero”

     

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    Il presidente dell' Iran, Hassan Rohani, stavolta sembra preso tra due fuochi: le proteste interne e il petrolio pilotato da Donald Trump. Due grane non da poco. Dal 25 giugno, infatti, il Paese degli Ayatollah è alle prese con una serie di proteste contro la crisi economica. E a far capire quanto queste proteste siano sintomatiche di qualcosa di più grande è il fatto che sono partite dal Gran Bazar di Teheran, il più grande del mondo, ma anche il più potente sotto il profilo politico.

     

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    Quando protestano i bazarì, gli operatori del Bazar, il sistema trema. Perché il Gran Bazar della capitale è la casa dei mercanti conservatori, quelli che sostennero Khomeini nel 1979 e rovesciarono lo scià Mohammad Reza Pahlavi. Dunque, la chiusura per protesta del grande mercato di Teheran è un segnale molto forte per il governo riformatore di Rohani, accusato di aprire all' Occidente e, soprattutto, di «farsi abbindolare». Fatto sta che alla protesta dei bazarì hanno fatto seguito altre manifestazioni, con disordini per le strade e interventi della polizia.

     

    IL SOSPETTO

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    Difficile capire cosa ci sia dietro. La Guida suprema, ayatollah Sayyed Ali Khamenei, ha puntato il dito contro gli Stati Uniti e i loro alleati della regione colpevoli di creare «caos, disordini e insicurezza in Iran». Ma sono in molti a pensare che l' iniziativa sia in realtà partita dagli strati conservatori sconfitti da Rohani e desiderosi di destabilizzare questo governo.

     

    Lo farebbe intendere anche la protesta a Khorramshahr, nel sud dell' Iran, dove la gente è scesa in piazza dopo un' interruzione dell' erogazione di acqua che ha portato anche a spari da parte della polizia e al ferimento di un manifestante, in un primo momento dato per morto.

     

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    D' altra parte, però, la situazione economica scaturita dalle sanzioni, e aggravata dall' uscita americana dall' accordo sul nucleare, comincia a essere davvero grave. L' inflazione sfiora ormai il 55% sul tasso di cambio al mercato nero (circa 90.000 rial per dollaro), al quale fanno riferimento molti commercianti, a fronte di un tasso ufficiale di 42.000 rial per dollaro. E a far temere il peggio c' è anche il ritorno, dal prossimo mese di agosto, di tutte le sanzioni imposte dagli Stati Uniti dopo il ritiro dall' accordo sul nucleare. Così, in un Iran terrorizzato dalla crisi futura, si è scatenata una vera e propria corsa al dollaro, causando inevitabilmente un ancor più cospicuo deprezzamento del rial.

     

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    LA STRATEGIA DI WASHINGTON

    In tutto questo, ovviamente, Trump ha buone ragioni per esultare, inconsapevole di fare un regalo ai falchi conservatori di Teheran. E, per dare il colpo di grazia all' economia iraniana, punta sul petrolio, sapendo che è l' oro nero a farla da padrone anche in Iran, quarto produttore al mondo. Così il presidente americano ha deciso di agire su due fronti: da una parte minacciando gli alleati di sanzioni se non taglieranno le importazioni iraniane entro l' inizio di novembre, dall' altro ha chiesto all' Arabia Saudita di aumentare la produzione per far scendere il prezzo in chiave anti-iraniana.

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    Tra i Paesi che Trump considera alleati ci sono sicuramente la Corea del Sud, che lo scorso anno ha segnato il 14% delle esportazioni di petrolio dall' Iran, e l' Italia (7%.

    ) Il maggiore importatore di greggio iraniano è però la Cina con il 24%, mentre l' India è al 18% e la Turchia al 9%.

     

    All' Arabia Saudita, in particolare al re Salman, Donald Trump ha chiesto dunque di aumentare la produzione di petrolio fino a due milioni di barili, anche se Riad ha confermato la richiesta statunitense senza menzionare alcun obiettivo di produzione.

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    Immediata la reazione dell' Iran che ha chiesto ai Paesi Opec di «astenersi da qualsiasi misura unilaterale» per aumentare la produzione di petrolio oltre il milione di barili di greggio al giorno stabiliti appena una settimana fa dall' organizzazione.

     

    LA TROVATA DEL GOVERNO

    Inoltre un' inedita iniziativa è stata annunciata ieri dal vice presidente iraniano, Eshaq Jahangiri: il greggio dell' Iran sarà quotato in Borsa e il settore privato potrà acquistarlo ed esportarlo. Difficile dire se sarà sufficiente.

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