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    DIETRO LE LODI DI MONTI ALLA MELONI C’E’ LA SPERANZIELLA DEL PROFESSORONE COL LODEN DI ESSERE IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA ALLA SUCCESSIONE DI MATTARELLA - L’EX PREMIER SOSTIENE LA SORA GIORGIA NELLA BATTAGLIA SUL PATTO DI STABILITÀ: "NON È ACCETTABILE, METTA IL VETO" - MONTI FU IL PREMIER CHE, SOTTO LA PRESSIONE DEI MERCATI, MANDÒ A CASA IL GOVERNO BERLUSCONI DI CUI MELONI ERA GIOVANE MINISTRO, COLUI CHE INIZIÒ IL PROCESSO DI RATIFICA DEL NUOVO FONDO SALVA-STATI...


     
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    Alessandro Barbera per “la Stampa” - Estratti

     

    monti meloni monti meloni

    Nelle prime righe il miele: «Ho apprezzato le sue parole», «apprezzo la politica estera condotta da lei e dal vicepresidente Tajani», «apprezzo molto l'opera tenace ed efficace dei ministri Giorgetti e Fitto». Nelle ultime il fiele: «Magari tutti gli italiani sono orgogliosi, anzi certamente sono orgogliosi del suo governo». Ma «tenga presente che non necessariamente tutti gli italiani sono completamente smemorati». Per Cicerone l'arte della captatio benevolentiae era uno dei pilastri dell'oratoria, Dante la considerava necessaria a conquistare l'attenzione dell'ascoltatore.

     

    Roma, ieri, Palazzo Madama. Mario Monti, classe 1943, senatore a vita e premier della Repubblica italiana dal 16 novembre 2011 al 13 aprile 2013, legge il discorso con cui invita Giorgia Meloni a dire no ai tedeschi: «Non sarei minimamente scandalizzato, ma abbastanza lieto, se lei, in caso di necessità, usasse il veto sul Patto di stabilità». La premier sul momento resta spiazzata.

    mario monti mario monti

     

    Mai avrebbe creduto che il tecnico dei tecnici, il premier che sussurrava alla Merkel, potesse pronunciare il discorso più duro contro l'accordo sulle nuove regole di bilancio europee. Di più: che sarebbe stato lui a convincerla a sdoganare una parola fino a ieri tabù. Lo ammette uno degli uomini più vicini a Meloni: «Non potevamo farci scavalcare a destra proprio da Monti. E così, durante la replica, Giorgia ha rotto gli indugi».

     

    Nell'infinita commedia della politica italiana può accadere anche questo. Monti fu il premier che, sotto la pressione dei mercati, mandò a casa il governo di cui Meloni era giovane ministro, colui che iniziò il processo di ratifica del nuovo fondo salva-Stati (di cui ancora si discute fra ridicole accuse reciproche), e che con Angela Merkel sottoscrisse, in un Consiglio europeo passato alla storia, l'accordo che pose le basi per il whatever it takes dell'altro Mario, Draghi. Detta ancora più chiaramente: Monti, fin qui sommo rappresentante della contronarrazione ai sovranismi antieuropei, ora è colui che legittima il no italiano del governo Meloni-Salvini. Come è potuto accadere?

     

    giorgia meloni in senato 2 giorgia meloni in senato 2

    Le ragioni della convergenza fra i due dodici anni dopo quell'orribile autunno, sono molte e in fondo note. La prima è nel merito: già domenica scorsa, in un editoriale apparso sul Corriere, l'ex premier aveva definito la bozza di accordo in discussione a Bruxelles una «litania in gotico» poco comprensibile ai cittadini. E dunque, piuttosto che firmare un cattivo accordo, «meglio tornare al tavolo della Commissione europea».

     

    Né Monti è nuovo ai complimenti alla premier. Già un anno fa, fra lo straniamento di molti, l'aveva paragonata alla più nota delle donne della destra al governo. «È molto importante che presto ci sia una prova di leadership. Qualche mese fa lei (Meloni, ndr) disse che non si sarebbe ispirata a Marine Le Pen ma a Margaret Thatcher. Penso, che in questa prima prova di leadership ci sia molta Thatcher».

    giorgia meloni in senato 1 giorgia meloni in senato 1

     

    Da quel momento nei palazzi si è iniziato a malignare che lui, come Draghi, aspiri ad essere il candidato del centrodestra per il successore di Sergio Mattarella. Vero o meno – e questo è un fatto – fra i due tecnici c'è sempre stata un po' di egotica competizione. Lo conferma uno dei passaggi del discorso di ieri in Senato, quando Monti ricostruisce le dimissioni del governo Berlusconi nell'autunno 2011.

     

    Dimissioni arrivate «dopo aver accettato di eseguire tutte le raccomandazioni elencate in una lettera altamente irrituale del presidente della Banca centrale europea e del governatore della Banca d'Italia», ovvero Jean Claude Trichet e Mario Draghi. L'unica cosa che Monti omette di ricordare è che senza quella lettera il governo di cui fu premier Monti non sarebbe mai nato. E in effetti – e qui torniamo all'ars oratoria del professore – Monti ha rivendicato ogni scelta di allora e ricordato quanto Meloni e Salvini insieme fossero suoi acerrimi oppositori

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