alvaro recoba
Andrea Saronni per Avvenire
In tempi in cui l' Inter appare normale, e anzi capace di tirare fuori tutto il meglio dalla normalità, una tipologia non rara di tifoso nerazzurro vive un paradosso.
Quello di una serenità macchiata dalla strisciante nostalgia della pazzia da sempre compagna di questo club glorioso, di una fantasia goduta a fiumi senza che andasse mai al potere, di una bellezza episodica e anarchica, pressoché sempre fine a se stessa. Stile di vita che, per lunghi anni, è stato il manifesto del-l' Inter targata Massimo Moratti: e va da sé che il calciatore che per distacco sia stato il più amato dal presidentissimo ne sia stato l' interprete perfetto, in campo e fuori.
Non Ronaldo, ma a un ragazzo del '76 venuto dalla periferia di Montevideo: Álvaro Recoba, alias il Chino. Un grandissimo incompiuto la cui traiettoria di talento e indolenza è ripercorso in un libro freschissimo, edito da In Contropiede e scritto da Enzo Palladini, oggi artefice dietro le quinte del calcio televisivo di Premium Sport, ieri cronista di razza chiamato a cavalcare entusiasmi e bizze di quell' Inter.
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Dimmi chi era Recoba è una richiesta che l' autore rivolge a se stesso prima di iniziare la scalata tra storia, ricordi personali, archivio, memoria e ricostruzioni cronistiche che disegnano - fin dal primo ritiro precampionato, Val d' Aosta 1997 - il ritratto di un ragazzo che non si poteva strappare al suo mondo.
La differenza con gli altri grandi irregolari presenti e passati transitati nel grande calcio era tuttavia nel modo: il modus operandi dell' anarchia vigente nel Chino era dettato dalla pigrizia, da ritmi vitali da barricadero della sedentarietà. Difficoltà a presentarsi puntualmente anche dopo il sonnellino pomeridiano; voglia di allenarsi, pochissima; no a discoteche e raid notturni per rimanere a casa, e fare la spola tra divano (con videogiochi perennemente in funzione) e letto.
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Apparentemente, un bradipsichico Recoba. Poi, però, il pallone arrivava sui piedi, magari su quello sinistro: e l' addormentato diventava non bello, ma bellissimo, tra scarti fulminei, dribbling, conclusioni imprendibili anche se scagliate da distanze siderali. Come quelle che sono rimaste negli occhi di tutti gli appassionati che c' erano, quel gol da centrocampo contro l' Empoli, la doppietta da subentrante al suo esordio contro il Brescia. Nella primissima Inter di Ronaldo sotto a San Siro, con Simoni già in odore di esonero, il Chino che appena entrato scarica due volte la sua mancinata di arte e di potenza.
Un debutto simile e l' amore incondizionato di Moratti potevano rappresentare la base perfetta per l' inizio di una strada luminosa e vincente: e invece iniziò un feuilleton d' amore e d' anarchia fatto di puntate tutto sommato simili, poco feeling con gli allenatori, tante panchine, infortuni, incomprensioni e lampi di genio che accecavano gli irriducibili interisti e il più irriducibile tra essi, il presidente.
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Talmente accecato da concedere a Recoba, nel 2000/2001, un rinnovo contrattuale folle, che ne fece per qualche tempo il pedatore più pagato al mondo: misteri dell' amore spiegabili però, come si legge nelle pagine di Palladini, anche con l' accordo tra il gatto Paco Casal - procuratore di Recoba, padrone del calcio uruguagio, uno di cui Mino Raiola potrebbe essere ragazzo di bottega - e la volpe Luciano Moggi, all' apice del suo potentato juventino.
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Anche questo ha concorso al culto di questo giocatore unico, dalle tasche piene e dal palmarès molto scarno per quante sono state le sue possibilità. Chissà, fosse nato 20, 30 anni prima, in un calcio in cui le manigliette di grasso sui fianchi non impedivano cammini da fuoriclasse perché la tecnica contava più del podismo, Recoba si sarebbe avvicinato ai grandissimi. Ma è altresì vero che così, nel suo tempo e nel suo stile, il Chino è stato il Chino, non c' è più posto per i rimpianti, non ce n' è mai stato. Semmai c' è per i ricordi, e un libro può tranquillamente aiutare il vecchio tifoso che vede l' Inter vincere e non vede la suola, il tallone, il collo pieno da 30 metri che si infila nel sette. E che un po' ci soffre.
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Alvaro Recoba