Matteo De Santis per “Specchio – La Stampa”
Ricordati di buttare un occhio sul numero 4 dell'Olimpia Lubiana».
luka doncic
La raccomandazione girava di bocca in bocca tra gli osservatori in viaggio per Ostia nella primavera del 2012. Sui taccuini dei vari scout, nessuno escluso, c'era sempre un nome, Luka, un cognome, Doncic, e un anno di nascita, il 1999. Il ragazzino era finito in cima ad ogni lista degli addetti ai lavori accreditati al Torneo internazionale giovanile Lido di Roma per quello che aveva combinato un anno prima, da dodicenne al cospetto di formazioni di quattordicenni, alla Vasas Cup di Budapest: numeri di ogni tipo e una voglia matta di non mollare mai che, al netto di una fragorosa in sconfitta in finale contro il Barcellona (117-66), gli valsero il titolo di Mvp della manifestazione.
«Ditemi se è tutto vero o se è un fuoco di paglia», chiedevano i vari responsabili dei settori giovanili di tutta Europa ai loro inviati a Ostia. «Speriamo che non dia troppo nell'occhio: magari, anticipando di un paio d'anni la concorrenza, riusciamo a fare un affare», pregavano un bel po' di presidenti. Le risposte furono forti e chiare: tutto quello che si diceva era terribilmente vero. Le speranze che l'osservato speciale passasse quasi inosservato furono spazzate via dalla potenza dei fatti: 41 punti in semifinale, 54 in finale accompagnati da 11 rimbalzi e 10 assist - una tripla doppia, non a caso - e dal riconoscimento di Mvp.
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Chi era e cosa sapeva e poteva fare Luka Doncic non era più un segreto: 600 testimoni, gli spettatori della finale tra l'Olimpia Lubiana e la Rappresentativa Lazio, avevano ammirato l'intero campionario da predestinato. Unanime il giudizio degli scout: il numero 4, come avrebbe cantato Gianni Morandi, è quell'uno su mille che ce la farà. Certezza arrivata troppo tardi sulle scrivanie di quasi tutti i club interessati: il Real Madrid si era mosso in anticipo.
A settembre il tredicenne Doncic e la famiglia, convinti da un contratto quinquennale accompagnato da un adeguato piano di studi, si convincono: Luka, il "baby galactico", si veste di "blanco". A Madrid si accorgono subito che il ragazzone, che poi sarebbe arrivato a 202 centimetri d'altezza per 104 chili dichiarati, si è già fatto: domina e troneggia non solo sui coetanei, ma anche su quelli di un paio d'anni più grandi.
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Vince tutto il possibile a livello giovanile e a 16 anni, 2 mesi e 2 giorni, il 30 aprile 2015, sgorga naturale il debutto in prima squadra contro Malaga: primo tiro, da tre, primo canestro in 16". Adesso la rivelazione è completa. Dieci anni dopo l'iniziazione alla pallacanestro, a sei anni, del figlio di Mirjam Poterbin, modella, ballerina e campionessa del mondo di danza, e Sasa Doncic, cestista con qualche presenza in Nazionale.
Dettaglio tutt' altro che secondario: la nascita di Luka a Lubiana è datata 28 febbraio 1999, all'indomani della qualificazione (avvenuta sempre a Lubiana, battendo la Bulgaria) della Slovenia dei vari Nesterovic, Milic, Becirovic e Smodis agli Europei in Francia (vinti dall'Italia di Boscia Tanjevic). Un cerchio chiuso in qualche modo nel 2017 con la Slovenia campione d'Europa, prima volta assoluta di un popolo e di una nazione: un percorso netto da nove vittorie in altrettante partite, sublimate dagli scalpi di Spagna e Serbia in semifinale e finale, guidato dall'appena maggiorenne Doncic e dal duo Dragic-Prepelic: il primo Mvp della finale con 35 punti e +33 di plus/minus, il secondo chirurgico con 21 punti pesantissimi.
Dell'ultimo atto del "niño maravilla di Lubiana", il soprannome che gli aveva appioppato la stampa madrilena, restano scolpiti i due capolavori che affossarono definitivamente la Serbia, allora vicecampione del mondo e argento olimpico in carica: una magia in faccia al gigante Marjanovic (2,24) e un coast to coast con schiacciata da cartolina. Nel frattempo, prima di piazzare la Slovenia sul tetto del continente, Doncic aveva iniziato a mostrare miracoli al Real Madrid dei grandi.
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«Dal primo momento, sin da quando aveva 13 anni, avevamo capito che era un giocatore speciale. Dopo due giorni di prima squadra era già uno di noi», la sentenza di coach Pablo Laso, 22 titoli in undici anni sulla panchina delle merengues. Il periodo madridista di Luka, tra i 16 e i 19 anni, equivale a un lunghissimo esame di maturità superato in tutte le materie: la pagella di squadra recita tre campionati spagnoli, due edizioni della Coppa del Re, una Coppa Intercontinentale e una Eurolega (in due Final Four); quella individuale quasi ogni titolo di Mvp possibile e immaginabile. L'annata migliore in Eurolega si rivela la 2018: Mvp stagionale, Mvp delle Final Four, miglior giovane, posto nel quintetto ideale.
Per uno così dominante in Europa, poco più che maggiorenne, lo sbarco in Nba è lo sbocco naturale. Il Real confida di gustarselo almeno un altro anno, ma deve arrendersi silenziosamente ai fatti e alla volontà di Luka.
L'America è la nuova, doverosa, sfida: anche per smentire più di qualche scout Nba che, sfoderando i preconcetti riservati ai giocatori europei, lo ritiene «non ancora pronto» o «troppo morbido» per il grande salto. La tendenza ad accumulare peso, in effetti, non fa fare i salti di gioia a molte franchigie interessate: al Draft gli Orlando Magic e i Sacramento Kings, le prime due squadre a scegliere, selezionano Deandre Ayton e Marvin Bagley III. Alla diceria di un Doncic mancante di atletismo e fisicità non ci credono i Dallas Mavericks. Lo sloveno val bene anche il sacrificio di una prima scelta assicurata al primo giro dell'anno successivo e la briga di organizzare uno scambio con Atlanta: gli Hawks, con il numero tre, chiamano Luka Doncic per Dallas, i Mavericks, con il cinque, prendono Trae Young per Atlanta.
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Per il dispiacere dei Grizzlies, interessatissimi al fenomeno in uscita dal Real Madrid, speranzosi di portarselo a Memphis con la scelta numero quattro e alla fine spiazzati dall'accordo prima del Draft tra chi li precedeva e chi li seguiva. In Texas, come nelle giovanili dell'Olimpia Lubiana e del Real, nella prima squadra madridista e in Nazionale, il farsi trovare subito pronto, il bruciare le tappe e la precocità nel mettersi in mostra e nell'accumulare record sono gli immediati segni particolari.
Altro che stagione d'adattamento o entrata in punta di piedi, l'ingresso in Nba, indossando la maglia numero 77, è da rookie of the Year. Un primato tira l'altro: nessun teenager ne aveva abbattuti così tanti. I tifosi lo notano e lo votano in massa per l'All Star Game, terzo per consensi dopo LeBron James e a Giannis Antetokounmpo. I barocchi meccanismi del regolamento lo lasciano a guardare, ma la scalata è partita: Dirk Nowitzki, pilastro tedesco dei Mavericks, lo incrocia per un anno e lo incorona («Sembra me vent' anni fa»), qualcuno lo paragona alla leggenda Larry Bird, altri all'icona Drazen Petrovic e il brand Air Jordan vince l'asta milionaria per sponsorizzarlo. La locomotiva slovena non si ferma: nella seconda stagione, quella terminata nella bolla di Orlando, si conferma e rilancia.
Conduce Dallas ai playoff e lascia il segno: 42 punti in gara 1, più giovane di sempre a segnare un canestro decisivo (in gara 4 della serie persa con i più quotati Los Angeles Clippers) e più giovane di sempre a collezionare una tripla doppia nella lotta per il titolo.
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La storia, sempre corroborata da numeri personali da capogiro, si ripete anche nell'annata successiva: Dallas beffata in sette gare dai Clippers al primo turno. Le voci di un Doncic bello che non fa ballare la squadra iniziano a girare. In queste maldicenze c'è anche un pizzico di critica costruttiva, considerando il rapporto particolare con la bilancia, ma Luka zittisce tutti con i fatti: non vince solo una serie di playoff, ma due.
I Mavericks castigano gli Utah Jazz prima e i Phoenix Suns poi: la resa arriva solo in finale di Conference con i Golden State Warriors, successivamente vincitori dell'anello. L'estate 2022 è tutto tranne che felice: la difesa del titolo di campione d'Europa della favoritissima Slovenia termina ai quarti con la Polonia e la causa legale alla mamma, proprietaria del marchio registrato «Luka Doncic 7» e contraria a consegnarlo al diretto interessato.
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Sotto l'albero, però, Doncic regala a tutti l'ennesimo effetto speciale: una tripla doppia da 60 punti, 21 rimbalzi e 10 assist festeggiata reclamando pubblicamente una birra. Altro record rottamato, senza steccati d'età, e reso ancora più incredibile dalla media personale nelle ultime cinque gare del 2022: 45.6 punti, 11.2 rimbalzi e 10.2 assist. «Lui è il prototipo del giocatore con alto quoziente intellettivo cestistico e alto livello di abilità, tutto racchiuso in un unico uomo», l'affresco tratteggiato dal santone Gregg Popovich, totem dei San Antonio Spurs. «Se riuscirà a giocare per un buon numero di anni, sarà sicuramente uno dei più grandi di sempre». Lavorare sul proprio corpo, preservarlo e conservarlo: la nuova sfida, solitamente riservata agli over 30, a neanche 24 anni. Luka si rivela predestinato e precoce anche in questo.
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