Testo di Dino Zoff per la Gazzetta dello Sport
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U n Mondiale come quello di Spagna '82 non si ripeterà. Dal lato tecnico è stato un Mondiale spettacolare, con tanti gol tutti su azione. Le tre partite iniziali, come sempre, sono le più difficili, hai la responsabilità di superare il primo turno, e mille incognite. Chiedete alla Germania Ovest nel 1974, che è dovuta tornare a casa scortata dal cellulare della polizia. Poi in Spagna c'è stato tutto un contorno di polemiche, dalle critiche feroci prima al silenzio stampa dei giocatori, in un crescendo rossiniano fino all'apice della piramide. Quindi sarà difficile rifare, sotto tanti aspetti, un Mondiale come quello, anche se a Bearzot non hanno dato nessun onore, ma questo fa parte delle mode del calcio.
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La partita con l'Argentina è stata una svolta. Un match fisico, d'altri tempi, come non se vedono più nel campionato italiano, perché oggi l'arbitro interviene molto più spesso, e infatti soffriamo in campo internazionale. Invece quella partita è la quintessenza del calcio: ci vuole l'artista, Maradona, però ci vuole anche il contatto, all'interno delle regole. Io mi sento un uomo di sport, quando allenavo, ero molto duro con i miei giocatori quando commettevano delle scorrettezze. A uno dei miei per un'entrata da dietro rimproverai: "Sei un coniglio".
E poi venne il Brasile. Di quella partita tutti ancora ricordano la mia parata decisiva sul colpo di testa di Oscar. Effettivamente quell'intervento aveva una componente di difficoltà notevole, perché non potevo respingere semplicemente la palla, i brasiliani erano tutti in area pronti a ribattere. Io la fermai sulla linea, ma ho passato qualche secondo terribile perché i brasiliani esultavano e gridavano al gol, io non riuscivo a trovare l'arbitro. E in quei momenti ripensai a un episodio precedente, contro la Romania in amichevole, quando assegnarono il gol con la palla che era venti centimetri fuori.
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Con il Brasile, diciamo che mi è andata bene.
Quella fu anche la partita che sbloccò Paolo Rossi. L'ennesimo merito di Bearzot che gli viene poco riconosciuto. È stato lui ad avere l'intuizione giusta, ci ha fatto un discorso semplice. Ci ha detto: noi siamo italiani. In tutti i campi abbiamo dei fenomeni. Difettiamo forse nell'organizzazione, ma in tutti gli altri campi, dalla moda al giornalismo, abbiamo dei picchi straordinari. Perché non adoperare anche nel calcio questa nostra inventiva, questo nostro modo di essere? Perché dobbiamo giocare come gli olandesi se siamo italiani?
italia brasile 1982 parata di zoff
Quelle parole sono state decisive, da lì in avanti il Mondiale è stato in discesa, anche se le energie disperse erano tante. Io arrivai in finale in riserva, esaurito dalle conferenze stampa sempre più tese. Mentre parlava il capitano avversario tutta la stampa, anche italiana, ascoltava attentamente, e quando toccava a me le prime volte si alzavano e andavano via. Io non ho mai fatto una piega, non mi sono mai arrabbiato. Ero di una tranquillità olimpica, ma dentro di me sostenevo una grande fatica. Un altro uomo straordinario, legato a quell'impresa, fu il presidente Pertini. La famosa partita a carte in aereo metteva tutti sullo stesso piano: non c'erano più il presidente, il portiere, ma solo il gioco delle carte a unirci. Pertini era il massimo della democrazia: al ritorno, siamo arrivati al Quirinale all'ora di pranzo. A tavola il presidente ha voluto Bearzot da una parte e me dall'altra, e poi tutti i giocatori. E ha aggiunto: se c'è posto per i ministri bene, sennò vadano pure al ristorante.
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Oggi vedo una brutta stagione.
Io sono rimasto innamorato del calcio, dello sport, ma vedo comportamenti leggeri che esulano dall'ambito sportivo.
Un giocatore che si butta per terra non mi piace. Lo dicevo già ai miei giocatori quando allenavo: "Alzati, vai avanti". Ecco, nello sport le regole sono regole, non c'è spazio per mentire.
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Una volta, giocavo già in Serie A, presi un gol con un tiro dalla distanza. E mio padre mi disse: «Come mai quel gol lì?". Io gli risposi: "Sai, non mi aspettavo che tirasse". "Perché, fai il farmacista?" mi inchiodò lui. Ero il portiere, dovevo aspettarmelo. Non c'erano mai scuse, era questo il concetto di sport. A quanti dicono che l'importante è vincere, io rispondo che è vero, perché vincere dà la misura della tua forza. Ma secondo le regole. Io ho fatto undici campionati senza saltare una partita, oggi probabilmente, di fronte a certe furbizie, non so se saprei trattenermi. Io sono così, io credo nell'uomo.
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