Fabrizio Roncone per “Oggi” - Foto di Massimo Sestini
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Roberto D’Agostino, dimmi subito una cosa che nessuno sa di Roma e dei romani.
«Facile: i romani non confondono mai la Storia con la cronaca. Sono abituati da secoli a vivere in attesa dell’arrivo dei barbari, certi che i barbari, una volta a Roma, si faranno subito corrompere, per diventare come noantri».
fabrizio roncone foto di bacco
Continua.
«I romani hanno visto arrivare in pompa magna Hitler, Kennedy, Gorbaciov, Obama… Poi si sono distratti un attimo e, quando si sono voltati, quelli già non c’erano più. Svaniti nella giostra della Storia. Mentre il romano, tutti i giorni, esce di casa e sa che il Colosseo è ancora lì, e lì c’è pure il Pantheon e se va nella chiesa di San Luigi dei Francesi troverà sempre le tre tele che Caravaggio dedicò a San Matteo.
Le opere d’arte vivono la loro esistenza infinita. Ecco perché Roma è davvero “eterna”. Negli anni Sessanta era obbligatorio andare a Londra, poi scoprirono la Grande Mela, New York. E ad un certo punto bisognava per forza prendere casa a Berlino o a Barcellona.
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Mode. Infatuazioni. Lampi di passione. Invece è a Roma che tutti, da secoli, e da tutto il mondo, devono continuare a venire. Come diceva Federico Fellini: “Roma è un cimitero brulicante vita”. Ti va un bicchiere di vino bianco?».
Sono a casa di Roberto D’Agostino per svelare in anteprima Roma, santa e dannata, il docufilm in cui racconta all’amico Marco Giusti, critico cinematografico di icastica bravura, perché «Dio si è inventato una città con il diavolo accanto».
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Al calar delle tenebre - è scritto proprio così nel comunicato stampa - Dago e Giusti veleggiano sul Tevere, ripresi dal regista Daniele Ciprì, e poi, ciondolando tra vicoli e rovine, nel riverbero giallastro dei lampioni, incontrano personaggi e fantasmi (da Verdone a Luxuria, da Enrico Vanzina a Massimo Ceccherini). Presentazione ufficiale il prossimo 27 ottobre alla Festa del Cinema di Roma (…)
INTERVISTA A DAGO DI FABRIZIO RONCONE
Parlami del potere a Roma.
«Ti racconto la metafora della patata».
Dago, vacci piano.
«Tranquillo, è una metafora agricola. Allora: sul campo vedi un tubero bello maturo, ma poi, quando lo strappi dal terreno, ti accorgi di quanto lunghe siano le sue radici. Che sono la sua forza, la sua autorità consolidata nel tempo.
DAGO - FOTO DI MASSIMO SESTINI PER OGGI
Ecco: il vero potere non è quello che vedi nei talk, che leggi in qualche intervista. Il vero potere sta sotto, e ha radici profondissime: servizi segreti, Vaticano, Corte dei Conti, Cassazione, massoneria, Qurinale, vertici militari… È una rete di rapporti antica e indistruttibile, la cui regola è l’affidabilità, con cui deve fare i conti chiunque arrivi a Palazzo Chigi.
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O il premier di turno capisce chi davvero controlla il Paese, oppure zac! salta. Ricordi la fine che ha fatto Renzi con la sua comitiva di Firenze? E Conte che si consultava con Casalino? La Meloni è stata più furba e, quando ha capito che il suo Fazzolari era inadeguato, s’è affidata a Mantovano, un uomo di Fini, un magistrato che ha rapporti sotterranei consolidati e che arrivano fino al Quirinale».
UMBERTO BOSSI MANGIA
Berlusconi si romanizzò abbastanza presto.
«È stato l’unico, tra i potenti. Gli altri, da Agnelli a Tronchetti, da De Benedetti a Cuccia, arrivavano e, subito, scappavano via. A disagio, talvolta impauriti. Perché Roma ti risucchia. Ricorderai la calata dei leghisti al grido di “Roma ladrona”: dopo una settimana stavano già tutti a cena da “Checco er carrettiere”, con le cravatte verdi sporche di sugo.
E i grillini? Subito cominciarono a litigare per avere le auto blu con i sedili di pelle. Berlusconi si romanizza proprio per questo: perché si lascia travolgere dalla bolgia e scopre la “caciara sul letto”.
sabina began berlusconi
Ancora con le amanti? Meglio un’Ape Regina che pensa a tutto. Va anche detto che il Cavaliere, grazie a Gianni Letta, adotta subito il metodo Andreotti: “I nemici non si combattono, si comprano”.
E poi, grazie a un narcisismo senza limiti, se ne frega di quello che gli scrivono contro. La sua unica ossessione è piacere a tutti. Pensa che una sera, a cena da Sandra Carraro, mi chiama da una parte e mi fa: “Toglimi una curiosità: ma tu sei tatuato pure sul pisello?”».
FOTO INEDITE DI KAROL WOJTYLA SCATTI IN PISCINA E DURANTE LA LETTURA
Una città in cui sacro e profano si sovrappongono.
«Sempre, di continuo. La storia dell’ex cinema Mercury, a Borgo Pio, di proprietà della Santa Sede, è emblematica. Prima sala a luci rosse, poi tana delle feste di Muccassassina, la rivoluzionaria sarabanda LGBT, e infine sede dell’organizzazione del Giubileo, voluto da Wojtyla. Che si rivelò uno choc incomparabile e globale».
Spiegati meglio.
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«Il leader di San Pietro è stata la più fenomenale “scombinazione”, passami il termine, tra rappresentazione e parola. Se sul piano teologico è profondamente conservatore, dal punto di vista mediatico la sua immagine accogliente, festosa, manda in soffitta una tradizione che vedeva la figura del Papa come un essere inavvicinabile: abbraccia bambini, fa il bagno in piscina, tra la Madonna di Loreto e la Madonna di Pompei va a sciare a Madonna di Campiglio. Poi una sera…».
Dai, non farti pregare.
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«Wojtyla decide di andare a cena fuori, come faceva prima di diventare Papa. Così indossa il clergyman nero e, insieme al suo segretario polacco, esce dalla Santa Sede. Si attovagliano a Trastevere, mangiano e sbevazzano. Quando devono rientrare, suona all’ingresso dell’Arco delle Campane.
La guardia svizzera, però, non lo riconosce: e gli chiede i documenti. Ma lui non ce li ha. Così finisce al commissariato presso il Vaticano.
E mentre sta lì che aspetta di essere identificato, l’agente di turno, a un certo punto, con il tono disincantato di Alberto Sordi, gli fa: “Scusa, eh: ma se tu sei davvero il Papa, perché non hai le chiavi di casa?”».
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La notte, a Roma, accadono cose pazzesche.
«Negli anni Ottanta abbiamo capito che la notte è la cosa migliore che possa accadere in una giornata. Il craxismo aveva portato la politica-spettacolo, un socialismo afrodisiaco, sexy, by night, che cambiava i plumbei connotati al potere democristiano e comunista.
Si faceva il giro dei locali, come trottole. Trovavi chiunque: ministri e mignotte, principi e banchieri, arrampicatori sociali e “sarti cesarei” come Armani e Versace. Massimo Ceccherini, nel documentario, racconta di esserne rimasto travolto.
Era Pinocchio nel paese dei balocchi: solo divertimento e sesso. Ci finì in analisi. Solo che una volta, al termine di una seduta, dopo aver pianto per un’ora, si sentì chiedere dallo psicologo: “Massimo, senta: posso venire anch’io, stanotte, al Jackie O’?».
massimo ceccherini roma santa e dannata
Vorrei farti raccontare del Degrado.
«Il locale era tutto in formato dark-room. Si entrava dalle 3 del mattino in poi e tutti, la commessa e il sottosegretario, il regista e il fior fiore dei trans di Roma, tutti trombavano con tutti e…».
Ecco, sì. Però forse è il caso di fermarci. Il tuo docufilm è un viaggio magnifico e impossibile da riassumere. Va visto (segnalo una chicca pazzesca: il racconto di Verdone al Festival internazionale dei poeti, nel 1979, sulla spiaggia di Castelporziano. Con Allen Ginsberg e Dario Bellezza, Victor Cavallo e William Burroughs, più una folla di strafatti, coatti e avventurieri della notte).
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