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    DISCO-RUIN! – IN UN DOC SPLENDORI E MISERIE DELLE DISCOTECHE ITALIANE TRA MUSICA, SESSO E DROGA - IN PRINCIPIO FU IL PIPER. PIÙ DI UN LOCALE, L'INIZIO DI UNA RIVOLUZIONE. GLI ANNI '70 E LA DISCO. L'EROINA E L'ECSTASY ("COME GETTARE BENZINA SU UN FUOCO GIÀ ACCESO”) E LA FESTA FINISCE ALL' IMPROVVISO: ARRIVA L'AIDS E LA LIBERTÀ SESSUALE DIVENTA VEICOLO DI MORTE - LA TESTIMONIANZA DI CLAUDIO COCCOLUTO, SCOMPARSO RECENTEMENTE, UNO DEI PRIMI A CAPIRE CHE PER CONTRASTARE LE DROGHE ERA NECESSARIO RIEMPIRE I LOCALI DI CULTURA… - VIDEO


     
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    Stefania Parmeggiani per “il Venerdì di Repubblica”

     

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    L e anime della notte hanno deciso di mostrarsi. E vederle adesso, nei giorni del Covid e del distanziamento sociale, è ancora più straniante che negli anni in cui riempivano le cronache, non proprio lusinghiere, dei giornali: migliaia di ragazzi accalcati uno sull' altro, pelle nuda, corpi sudati, trucco disfatto, lustrini. Tanti lustrini.

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    Travestiti sui tacchi a spillo, labbra cariche di rossetto. Musica, arte, sesso, ambiguità.

    Di certo, anche se a luglio torneremo a ballare dimostrando di essere vaccinati o negativi al tampone, immagini come queste che vedete in pagina, frammenti di ciò che accadeva un tempo nelle cattedrali del divertimento, sono ormai storia.

     

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    La racconta Disco Ruin, film-documentario di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto (nelle sale dal 5 al 7 luglio), 115 minuti per ripercorrere 40 anni di club culture italiana attraverso i racconti di quattro generazioni: dj, gestori, creativi, performer, giovani che facevano di tutto per essere "messi in lista" ed entrare in luoghi dove non contava più cosa facessi di giorno, ma solo chi interpretavi durante la notte. «Il nostro film» dice Lisa Bosi «racconta un' Italia che non esiste più e che in molti non si sono mai accorti che esistesse».

     

    Lei, classe 1979, architetto di formazione, è partita dalle rovine di centinaia di discoteche abbandonate in tutta Italia: spazi vuoti, vetri rotti, muri scrostati, poltrone abbandonate, scheletri di luci al neon, piloni di cemento armato inghiottiti dalla vegetazione.

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    Silenzio. «Luoghi come l' Ultimo Impero, il Woodpecker, il Madrugada, la Mecca o il Maskò sono la nostra Pompei». Per comprenderla è andata indietro nel tempo di oltre mezzo secolo.

     

    Roma, 1965, Piper. Più di un locale, l' inizio di una rivoluzione: fino a quel momento c' erano le balere, i gruppi che suonavano dal vivo, il ballo della mattonella e i lenti. In quell' immenso locale le ragazze arrivano con le gonne al ginocchio, se le arrotolano nei bagni e si dimenano al ritmo dello shake. Nessun passo prestabilito, solo corpi in movimento, roba da fare accapponare la pelle ai matusa, i genitori benpensanti dell' epoca.

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    Ed è solo l' inizio, perché ben presto nascono luoghi come lo Space Electronic di Firenze, una «scatola magica» ricavata in un ex garage alluvionato, arredato coi materiali rinvenuti nelle fabbriche dismesse: lavatrici rotte per sedersi e serpentoni rossi come divani, diapositive proiettate a raffica sui muri, trionfo delle teorie di Marshall McLuhan.

     

    «Sono gli architetti a capire per primi che stanno nascendo nuovi comportamenti sociali e che c' è bisogno di contenitori per il ballo» continua Bosi «e così costruiscono dei veri templi, luoghi della creatività, della libertà, dell' utopia, sempre in bilico tra avanguardia e kitsch».

     

    La febbre del sabato sera La consacrazione arriva negli anni 70.

    Fino a quel momento chi stava in console era una specie di juke-box umano, passava la notte ad alternare i dischi, tre lenti e tre shake. La musica disco è tutta un' altra storia, il suono della diversità sessuale che nasce nei club underground americani e poi invade l' Europa. Giancarlo Tirotti, pioniere delle notti italiane, apre nel 1975, due anni prima dello Studio 54 e del Paradise Garage di New York, la Baia degli Angeli di Gabicce Mare, tremila metri quadri a picco sull' Adriatico.

     

    plastic milano plastic milano

    Dall' America fa arrivare Bob e Tom, due ragazzi che hanno dischi mai sentiti prima e li mixano usando un foglio di carta al posto del panno. Quando fanno le valige lasciano la console a Mozart e Baldelli. È un' altra stagione: quella dei dischi con l' etichetta oscurata dalla plastica perché nessuno veda il nome dei musicisti, quella della via Emilia di Pier Vittorio Tondelli citato, più volte, da Disco Ruin. «Arrivò l' eroina e ci trovò impreparati, anche per questo scelsi di passare la mano» dice oggi Tirotti.

     

    edonismo ed eccessi Sono gli anni Ottanta: finisce la grande stagione della politica e iniziano gli anni dell' edonismo, i giovani smettono di dormire. Tutto ciò che accade, accade di notte in posti come il Plastic di Milano - tra gli ospiti Keith Haring, Grace Jones e Andy Warhol - o il Kinki di Bologna. Entrare non è semplice: non conta l' estrazione sociale, ma ciò che uno sogna di essere e come lo esprime.

     

    baia degli angeli baia degli angeli

    La selezione è ferrea perché quel che accade nei club underground è roba forte: droga e sesso compresi. L' avvento dell' ecstasy, sconosciuta e almeno per il momento legale, «è come gettare benzina su un fuoco già acceso». In Disco Ruin si evocano coppe di vetro piene di pasticche, basta allungare la mano e cade ogni inibizione. La festa finisce all' improvviso perché si trasforma in un cimitero: arriva l' Aids e la libertà sessuale diventa veicolo di morte.

     

    Ma è solo una battuta d' arresto, come era accaduto negli anni Settanta con l' eroina. Dall' America arrivano l' house e poi la techno, in una parola il futuro. La Riviera romagnola diventa il centro di tutto.

     

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    Pensare al clubbing italiano è pensare alle sue discoteche, il Diabolik' a, l' Echoes, l' Ethos Mama Club o il Cocoricò, la piramide in cui il ballo assume la forma di un rito. La notte non basta più. Dalle colline di Riccione ogni mattina all' alba scendono migliaia di giovani, ballano in spiaggia, in strada, sui tetti delle auto. Nascono i primi "after hour", il Club dei Nove Nove entra nella storia, Isabella Santacroce scrive Fluo: «Intanto fuori suonano le campane della chiesa vicina, invitando i fedeli alla funzione-religion.

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    Il mix giù in strada è mitico: vecchiette tremolanti con copricapo e rosario alla mano e young people paura, dal look esasperato, in pieno round discotechereccio». Boa di piume e tatuaggi, bomboloni con gin tonic, calze a rete e copricapezzoli (fecero storia quelli di Nacha World, icona del Cocoricò, chiamata da Dolce & Gabbana e Vivienne Westwood ad animare i loro party post sfilata).

     

    Un altro mondo «Il popolo della notte attira l' attenzione dei media» continua Bosi, «il nomadismo dei giovani che attraversano l' Italia diventa un problema. I giornali, le televisioni, l' opinione pubblica, tutti parlano di alcol e droga, ma si dimenticano il resto, il teatro performativo, le sperimentazioni musicali, la moda».

     

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    Disco Ruin racconta soprattutto questo, grazie alla voce di performer, gestori, creativi e dj, tra cui Claudio Coccoluto, scomparso recentemente, uno dei primi a capire che per contrastare le droghe era necessario riempire i locali di cultura. Le loro parole descrivono un mondo che accettava la diversità, ignorava le differenze di classe sociale, puntava tutto sulla creatività e si nutriva della curiosità di chi non aveva già visto tutto nella vita. Un Altromondo, appunto, come la discoteca di Rimini che resiste da oltre mezzo secolo e che ha già fatto sapere che anche quest' estate riaprirà. Nonostante il Covid, con green pass e mascherina, ancora in pista.

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