Jacopo Iacoboni per “la Stampa”
conte letta
Sono giorni decisivi, per la maggioranza che sostiene Giuseppe Conte. Il governo è in affanno. Le grane Autostrade e Mes paiono di difficile soluzione. Mezzo Pd comincia a mugugnare. E così il Cavaliere è rientrato in campo.
Gianni Letta a giugno aveva visto Di Maio per conoscerlo, ma di recente ha incontrato, e non è la prima volta, anche il presidente del Consiglio, oltre a fare da tramite per alcune conversazioni avvenute tra Conte e Silvio Berlusconi, uomo che i 5 Stelle fino a non moltissimo tempo fa chiamavano, con lo sgradevole epiteto coniato da Beppe Grillo, «lo psiconano».
travaglio conte
Luigi Di Maio non volle parlare con il Cavaliere quando un colloquio tra i due sarebbe forse servito a schiudergli le porte di Palazzo Chigi, nei mesi convulsi dopo il 4 marzo del 2018. Conte invece sta mostrando meno rigidità. Forza Italia al momento non reggerebbe un ingresso diretto nella maggioranza, è stato questo il fulcro del ragionamento. Rischierebbe di spaccarsi in tre.
gianni letta luigi di maio
Una parte scivolerebbe verso Fratelli d'Italia, un'altra verso Matteo Salvini, ma una terza, cospicua, fatta di parlamentari moderati e nuovi "responsabili", sarebbe disponibile a un allargamento della maggioranza, magari attraverso il veicolo di una "Italia viva" ampliata.
BERLUSCONI FINGE DI NON VEDERE CONTE E NON LO SALUTA
Il presidente del Consiglio d'altra parte sa bene quanto il M5S sia a sua volta allergico al solo nome del Cavaliere. Ma Berlusconi in uno scenario del genere resterebbe defilato, diciamo nelle vesti di "padre nobile".
E Conte potrebbe rafforzare così il suo perimetro, visto che ha percepito che alcuni segnali d'insofferenza stanno crescendo anche nel Pd, da Dario Franceschini fino al segretario Zingaretti. Nei giorni scorsi Lorenzo Guerini ha confidato ad amici di sentire «odore di rimpasto». E siccome sul tavolo di Palazzo Chigi restano due questioni assai difficili da sbrogliare, Autostrade e Mes, il premier ha provato ad affilare «uno sguardo più ampio», per usare un'espressione lettiana.
QUIRINALE REPARTO MATERNITA' BY MACONDO
Ha accettato di muoversi in "partibus infidelium", anzi, tra gli infedeli più infedeli, agli occhi dei 5 stelle: i due veri leader di Forza Italia. Si spiega anche così come mai, il 2 luglio, dopo un pranzo in un ristorante dietro a piazza di Spagna, Giuseppe Conte si concesse una passeggiata, tra cittadini e commercianti, per dire che Forza Italia si stava «distinguendo per un atteggiamento più costruttivo» rispetto agli altri.
DI MAIO BERLUSCONI
Naturalmente chiarì che restava una forza d'opposizione. Tre giorni dopo Berlusconi, certamente voglioso di riaccreditarsi, ne approfittò e si spinse oltre: «Se non fosse possibile andare alle urne in tempi brevi - osservò il Cavaliere - rimarrebbe il problema di cambiare un governo e una maggioranza oggettivamente inadeguati». «Abbiamo il dovere di provarci», aggiunse.
nicola zingaretti dario franceschini
L'affermazione di Conte arrivava poco dopo un incontro del premier con Gianni Letta; non la prima chiacchierata avvenuta tra i due. Letta e Conte si conoscono da tempo. Fu il mentore giuridico del presidente del Consiglio, Guido Alpa, a farli conoscere, e quel filo non è stato mai interrotto. Anche se di recente è tornato a essere più caldo. L'ipotesi di un rimpasto è evocata dai berlusconiani, non dal premier.
Anche se non è un mistero che i rapporti del capo del governo cominciano a essere difficili con due ministre, Catalfo e De Micheli (di cui è trapelata una lettera in cui quattro mesi fa invitava il premier a decidere rapidamente su Autostrade; lentezza che è una delle cose maldigerite nel mondo Pd), e cominciano a essere problematici con il sottosegretario Fraccaro e la ministra dell'Interno Lamorgese.
LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE
Un rimescolamento delle carte nell'esecutivo potrebbe essere un innesco di un eventuale allargamento, e alcune poltrone non dispiacerebbero a Forza Italia. Berlusconi è sedotto invece dall'idea di questa strana, piena riabilitazione politica.
Letta potrebbe aiutare a sbrogliare anche in aula il nodo Autostrade: non con una revoca, costosissima da tanti punti di vista, ma magari togliendo ai Benetton la gestione di Aspi. Un secondo innesco potrebbe arrivare con le elezioni regionali, se il quadro politico M5S-Pd diventasse davvero traballante. Meglio farsi trovare pronti e giocare d'anticipo.