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    DIVE FALLACI - OPERAZIONE CARDINALE: L’INCONTRO TRA LA GRANDE FIORENTINA E L’ATTRICE NATA IN TUNISIA: "POCHE CREATURE GIOVANI E FAMOSE MI HANNO LASCIATO INCERTA E PERFINO UN PO' SPAVENTATA COME LEI: NON PIANGE, NON SI ECCITA, NON HA PAURA, E INFINE AMMETTE CHE È ROCA PERCHÉ NON È ABITUATA A USARE LE CORDE VOCALI" – IL MAMBO CON ELVIS - VIDEO


     
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    Per gentile concessione dell' editore Rizzoli, pubblichiamo un estratto da L' Italia della dolce vita (pagine 352, euro 20), libro in uscita che raccoglie alcuni articoli, interviste e reportage di Oriana Fallaci. Quello che trovate in queste pagine è uscito nel 1961 sull' Europeo con il titolo «Una donna nella capsula».

     

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    Estratto dal libro “L’Italia della dolce vita” di Oriana Fallaci pubblicato da La Verità

     

    Ascoltavo la sua voce roca, così stranamente roca per quel volto ancora infantile, e un senso di gelo mi saliva alla gola insieme alla tentazione di aiutarla a scappare riportandola a Tunisi dove il sole è dolce e lei era una adolescente senza denaro, né gloria, né la prigionia che ti danno il denaro e la gloria. Fuori, i soliti sciocchi urlavano che si affacciasse al balcone, i giornalisti facevano la coda per intervistarla, i fotografi per fotografarla, le bandiere del Festival sbattevano in malinconici schiaffi contro un cielo di piombo.

     

    E lei, chiusa dentro una camera soffocante di fiori, diceva: «All' inizio non volevo firmare il contratto: quando metto una firma, mi sembra di cucire nodi che legano per tutta la vita. Poi la sicurezza di avere uno stipendio mi sedusse. Firmai. Ora sono legata alla Vides fino al 1967: a volte mi sembra davvero una vita, nel 1967 avrò quasi trent' anni. Sì, è un contratto molto pesante: venticinque pagine dattiloscritte con tre lettere aggiuntive; il Capo lo ha fatto con quattro avvocati. Qualche clausola? Ecco. Numero uno: non posso sposarmi. Numero due: non posso ingrassare. Numero tre: non posso tagliarmi i capelli. Però anch' io ho diritto a qualcosa».

     

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    «Ah, sì?» E mi chinai con assurda speranza verso di lei, quasi la cosa mi riguardasse. Lei inghiottì come un bambino che sta per recitare una bella poesia. «Numero uno: ho diritto a una automobile personale quando giro un film. Numero due: ho diritto a un parrucchiere personale. Numero tre: ho diritto a un truccatore personale.» «E basta?» «Basta.

     

    Perché?» «Non ha diritto ad esempio a scegliersi i film e a discutere la pubblicità che le fanno?» «Oh, no! Queste cose le decide il Capo. È il Capo che mi ha fatto cambiare casa e andar nella villa con la piscina e il gazebo. Fosse stato per me, sarei rimasta dov' ero: chi l' adopra la piscina e il gazebo? E poi quella villa è talmente lontana: non ci sono nemmeno i negozi per fare la spesa, d' intorno. È il Capo che mi compra i vestiti: fosse per me, andrei sempre in calzoni. Sì, i vestiti appartengono al Capo, insomma al Vides: però qualche volta me li regala. È il Capo che mi fa studiare: studio molto, sa? Inglese, recitazione, danza. C' è nel contratto. Mi alzo ogni mattina alle sette per studiare, la sera son così stanca. Così vado a letto alle dieci, solo se indugio a guardare la televisione col babbo e la mamma, vado a letto alle undici. Sì, ho molta cura della mia salute: anche questo c' è nel contratto. Infatti son molto sana. Se non fossi sana, come farei a rispettare il contratto?»

     

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    Si alzò dalla poltrona dov' era raggomitolata come una pallottola innocente di carne e il florido corpo dove tutto funziona a dovere (la pelle ambrata, lo stomaco forte, le curve perfette, la pressione sanguigna) guizzò contro il cielo di piombo mentre io mi chiedevo se per caso Moravia non avesse avuto ragione a descriverlo con tanta minuzia su Esquire, «the magazine for men»: trattandolo allo stesso modo di «un oggetto dentro lo spazio, ma un oggetto privo di gusti, di sentimenti e di idee».

     

    Due ore era durata l' intervista commissionata da Esquire e in quelle due ore l' autorevole sacerdote del sesso aveva analizzato il corpo di lei come uno studente di anatomia analizza un cadavere steso sul marmo della morgue. «E ora, signorina, mi parli dei suoi orecchi: non trova che il lobo sia un poco arricciato?

     

    Ora mi parli delle caviglie: le giudica abbastanza sottili? E i fianchi: mi descriva i suoi fianchi. Ora il naso: cosa ne pensa del naso?» La sola differenza è che, invece di avere un bisturi, Moravia aveva una macchina da scrivere dove registrava le imbarazzate risposte, e il corpo di lei non era morto [...].

    Mollemente il corpo tornò a raggomitolarsi sulla poltrona e la voce roca mi disse: «Sono molto disciplinata, senza disciplina non si può costruire una carriera. A esempio mi piacciono le patate, così per appagare i miei occhi le ordino ma, quando il piatto è sul tavolo, le guardo senza mangiare. Mi piacciono i formaggi: così li chiedo e mi limito ad assaporarne il profumo. La dieta è importante, le pare? Mi piace diventare qualcuno ma non ritengo affatto d' essere già qualcuno: la modestia è importante, le pare? Ieri a esempio sono stata a un cocktail. C' era Jean Pierre Aumont che mi faceva tanti bei complimenti. Io lo ascoltavo, perplessa, e non potevo fare a meno di ricordare che quattro anni fa, essendo venuta a Cannes coi miei genitori, stavo dietro le transenne del Palazzo del Cinema a guardarlo e non avevo il coraggio di domandargli un autografo. [...]

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    Tutte le volte che la gente mi applaude, mi scappa da ridere.

    Come ora: li sente?». Si avvicinò alla finestra e le urla dei soliti sciocchi che l' avevano intravista dai vetri aumentarono: sgomentando, mi immagino, i press agent della Gina e della Sofia che con tanta fatica avevano organizzato i loro trionfi in coreografie a lungo studiate. Per l' arrivo della Sofia, duecento fotografi erano stati calpestati nel gorgo, la hall del Carlton aveva rischiato di venir demolita mentre i calpestati riprendevano l' importantissima scena della Sofia che, figuratevi, entrava nell' ascensore.

     

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    Con diplomatica astuzia, la Sofia aveva imposto perfino le date precise della sua apoteosi: all' inizio del Festival affinché ogni settimanale facesse in tempo a occuparsi di lei, alla fine del Festival affinché ciò coincidesse con la consegna quasi sicura del premio. Quanto alla Gina, era riuscita a oscurare perfino Alain Delon, protagonista del film cui essa aveva presenziato: e Delon era ripartito coi nervi a pezzi. Con astuzia ancora più diplomatica la Gina aveva inoltre distribuito regalucci costosi: voglio dire portachiave in oro massiccio, con la medaglia coniata come le monete da spendere e sulla quale era inciso, al posto di un simbolo patrio, il suo prezioso profilo e la scritta: «Gina Lollobrigida - Venere Imperiale». I portachiave valevano sessantamila lire ciascuno, molti beneficiati avevano potuto pagarci l' albergo e i debiti al Casino: rivendendoli a doppio prezzo come cimelio. Il bel corpo che mi stava davanti, invece, non aveva distribuito nemmeno una medaglietta di alluminio, né scelto la data dell' arrivo, e all' aeroporto di Nizza aveva trovato soltanto una hostess con un mazzo di rose, all' hotel Martinez era entrata per la porta di servizio.

     

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    Come si spiegava, perciò, la follia di quegli urli sulla Croisette? Sarà perché sono protagonista di due film in selezione: La Viaccia e La ragazza con la valigia», rispose col tono di giudicare la cosa tutt' altro che eccezionale. E sembrava dimenticasse che anche a Venezia era giunta come protagonista di due film in selezione: Rocco e I delfini: privilegio mai toccato a un' attrice nella storia dei festival. Possibile che ciò la lasciasse così indifferente? «Certo, dev' essere molto eccitata per ciò che le accade», osservai, «o provare una immensa paura». Rispose: «Oh, no! Io non mi eccito mai, sarebbe un errore.

     

    A volte mi smarrisco un pochino, come quando il Capo mi fa viaggiare sulla Rolls Royce e la gente si gira con l' aria di chiedersi: «Guardiamo chi è quella miliardaria là dentro». Ma niente di più. Tantomeno ho paura: perché lo dovrei? Il Capo sa quel che vuole, io anche. Matematicamente parlando, la mia carriera dovrebbe durare. Se non dura, pazienza: mi cerco un altro mestiere».

    E i grandi occhi mi fissarono placidi di sotto le ciglia sulle quali, scommetto, non ha mai luccicato una lacrima che non fosse professionale. Infatti rispose: «Sì, è assai raro che pianga: se non me lo impone la parte che recito, è evidente.

     

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    Perché dovrei piangere? Sono una ragazza fortunata. Ho tutto quello che voglio, a parte i miliardi che non mi interessano». «Ed è felice?» «Sì. Credo d' essere molto felice.» «E non le capita mai di sognare qualcosa che sia estraneo al lavoro?» «No. Non mi capita mai».

    Il senso di gelo aumentò, insieme al sospetto che Moravia avesse ragione e alla tentazione di aiutarla a scappare.

     

    Ma poi essa disse quell' incredibile cosa e allora il senso di gelo sparì insieme al sospetto che Moravia avesse ragione: restò solo la tentazione di aiutarla a scappare.

     

    Carolyn, la sua segretaria, era entrata nella stanza per ricordarle di pigliare la pillola, quasi distrattamente le chiesi a cosa servisse la pillola dal momento che è così sana, ed ecco l' incredibile cosa che disse: «Serve alla voce. Vede: io non sono roca perché bevo o perché fumo. L' alcool non mi piace e ignoro il sapore di una sigaretta. Non sono roca nemmeno per recitare la parte della donna fatale. Sono roca perché sono timida e non ho l' abitudine a parlare. Il terrore degli altri mi ammutolisce, fin da bambina ho sempre parlato il meno possibile oppure in un soffio per evitare che gli altri sentissero. Così le mie corde vocali, ha spiegato il dottore, si sono atrofizzate: come i muscoli di un malato che è stato troppo a lungo in un letto. Sono tutta atrofizzata, del resto: e per questo è così facile plasmarmi come un pezzo di creta. Ciascuno di noi è fatto degli altri o di ciò che gli altri hanno fatto di noi: pochi, però, quanto me.

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    M' è stato dato tutto: perfino la voce».

     

    Tutte le volte che mi capita di intervistare una creatura giovane e famosa, io mi trovo dinanzi a un mistero che mi lascia incerta e perfino un po' spaventata. [...] Ebbene: poche creature giovani e famose mi hanno lasciato incerta e perfino un po' spaventata quanto questa ventiduenne che non piange, non si eccita, non ha paura, partecipa a ogni festival con due pellicole di cui è protagonista e infine ammette che è roca perché non è abituata a usare le corde vocali. Nel pomeriggio che trascorsi con lei, non riuscii mai a definire se il suo personaggio suscitava in me ammirazione, tenerezza o pietà: e l' unico modo per penetrare il mistero che la circonda è rifare la sua storia che Franco Cristaldi, Capo e artefice di quella Bibbia che essa chiama Contratto, definisce «Operazione Cardinale».

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    L' Operazione Cardinale ebbe inizio infatti molto tempo prima che lei vi contribuisse col suo corpo e (Moravia permettendo) col suo cervello: esattamente cinque anni fa quando, in un modesto appartamento di avenue Ferry a Tunisi, Claudia studiava per diventare maestra e Franco Cristaldi cercava una giovane attrice da lanciare sul mercato internazionale e italiano, secondo la tecnica di Hollywood. Non per nulla, si chiamava a quel tempo «Operazione X».

     

    Giovanotto colto e moderno, ostinato al punto di lavorare diciotto ore su ventiquattro, pignolo al punto di segnare ogni sera su un taccuino quello che ha speso [...]. Cristaldi ha sempre avuto un difficilissimo hobby: inventare le attrici come un Pigmalione. «Gli attori» dice «non sono mai personalità creative, sono sempre personalità create. E quale attrice ha mai fatto carriera senza avere un Pigmalione alle spalle?»

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    Correva dunque l' anno 1957 quando l' Operazione X ebbe inizio con una «caccia alla ragazza» che si svolse per tutta l' Italia e si acquietò nella tregua solo quando Cristaldi pensò di avere scoperto ciò che cercava in una genovese di nome Rosanna Schiaffino. La ragazza era tonda, ambiziosa, attraente: Cristaldi la impose al pubblico con ogni sorta di trovate, compresa quella di attribuirle un nonno garibaldino, la lanciò con due o tre film di gran pregio, ci ossessionò col suo volto e la sua affettuosissima madre da ogni pagina di giornale, da ogni cartellone sul muro, da ogni cronaca di festival. E tutto questo, che lui definiva Operazione Schiaffino, durò fino al giorno in cui non capì di avere sbagliato e l' Operazione Schiaffino divenne Operazione Cardinale.

     

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    Il modo in cui questo avvenne è coerente con la personalità di Cristaldi e le leggi disumane ma logiche che regolano la macchina la quale ha nome «successo». Malgrado i trenta milioni impiegati nel lancio dell' Operazione Schiaffino, Cristaldi non era contento del prodotto Rosanna Schiaffino: creatura difficilmente plasmabile, portata ad entusiasmi eccessivi, ad una esagerata considerazione di sé, ed infine afflitta da una genitrice invadente. Si poneva quindi il problema di sostituire il prodotto o, almeno, di procurarne uno come riserva: e l' occasione si presentò allorché giunse al Festival di Venezia, nel 1959, la figlia di un ferroviere di Tunisi la quale aveva vinto il concorso per «la più bella italiana di Tunisi». Malgrado il titolo, la ragazza ignorava l' italiano: il francese essendo la lingua in cui aveva parlato, anzi taciuto, n da bambina. Inoltre camminava avvolta in un burnus che nascondeva tutto ciò che Moravia ha descritto con tanta minuzia su Esquire, e non desiderava affatto fare del cinema. Un rapido sguardo lanciato mentre il colpo di vento spalancava quel burnus, bastò a Cristaldi per decidere che la ragazza era «troppo scura, troppo grassa, e nient' affatto bella». Ma un ragionamento, ancora più rapido, bastò a convincerlo che da quella materia informe si poteva cavare qualcosa: gli occhi ad esempio erano splendidi, la bocca invitante, l' espressione contagiosamente simpatica. Quando Claudia tornò al suo paese trovò, insieme alle numerose proposte di produttori ben più entusiasti, quella di Franco Cristaldi che le offriva un contratto per sette anni con stipendio iniziale di centocinquantamila lire mensili.

    claudia cardinale -1959 claudia cardinale -1959

     

    Dice Claudia: «Per tre mesi ignorai tutto: essendo prudente per natura, ho sempre diffidato delle persone che mi promettevano il successo come se già lo avessero in tasca. Poi feci un esame di coscienza e decisi che mi trovavo dinanzi a due strade: quella della maestra e quella dell' attrice. Nessuna delle due era da scartare, nessuna delle due era da accettare ad occhi chiusi.

     

    Quella d' attrice aveva un vantaggio: lo stipendio più alto. Va da sé che centocinquantamila lire mensili non sono una cifra travolgente: ma quanto dovrebbero dare a una ragazzotta che non sa fare nulla? Dopo una pacata discussione in famiglia, presi l' aereo e andai a Roma: dove mi iscrissi al Centro sperimentale e cominciai a studiar l' italiano.

     

    Ma durò poco: il clima di Roma era freddo per una abituata al caldo africano, le discussioni con Franco Cristaldi, voglio dire il Capo, mi risultavano penose. Sistematicamente egli mi convocava nel suo ufficio e sventolava il contratto. Io ascoltavo e tacevo come sempre faccio quando non ho nulla da dire e non voglio rischiare. Suppongo che mi pensasse un po' scema. Dopo due mesi mi prese un tremendo cafard: tornai a Tunisi e ciò li fece impazzire. Infatti non ebbero pace finché non ricomparvi.

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    Allora firmai il contratto: rendendo ben chiaro che non volevo bruciarmi in errate avventure. Ci impegnammo insieme a rispettare gli impegni.

    Io avrei fatto tutto ciò che ordinava. Lui non avrebbe reso inutile questa mia disciplina».

     

    Cristaldi ha trentasei anni: quattordici in più della Cardinale. Li divide quindi una guerra, la maturità che dà il tempo che passa. Ma li unisce la raziocinante saggezza di chi è incapace di soffrire: sono entrambi due freddi, capaci di organizzare il proprio futuro con la stessa matematicità con cui si fabbrica un cosmonauta; si entusiasmano solo quando sono sicuri di vincere. Non per nulla lui è conosciuto come «il produttore che, qualsiasi salto faccia, casca sempre in piedi ».

     

    Lei come «un' idrocompressa che sta attenta ad alzarsi per non battere la testa nel muro».

     

    CLAUDIA CARDINALE CLAUDIA CARDINALE

    Ora, per fabbricare un cosmonauta ci vuole lentezza e pazienza: non ci si abitua da un giorno all' altro ai fenomeni dell' accelerazione e della decelerazione, al terrore del vuoto che galleggia sotto di te. Ci vuole anche una immensa facoltà di adattamento e la scuola di istruttori sapienti. L' Operazione Cardinale si svolse con questo sistema. Il cosmonauta Claudia fu sottoposto a ogni genere di supplizio: fotografi diete, interviste, lezioni, castità.

     

    Un istruttore intelligentissimo, il capo dell' ufficio-stampa Fabio Rinaudo, la accompagnò ad ogni passo: pubblicizzandone la simpatia. Con i giornali e i cacciatori d' autogra, le procurò i favori dell' ambiente più difficile che esista in Italia: quello degli intellettuali. Il primo era stato Moravia, il secondo fu Carlo Cassola: conosciuto in occasione del premio Strega, quando successe l' incidente del bacio. I fotografi gridavano: «Claudia, bacialo» e Claudia lo baciò. Un giornalista, Enrico Roda, le chiese: «Con quale diritto lo ha fatto?

     

    Cassola è uno scrittore, non un ciclista». Lei replicò: «Perché non dovremmo baciare gli scrittori che arrivano primi al traguardo? Saranno sempre meno impolverati di un ciclista». Cassola giudicò la risposta intelligente e aggiunse che gli sarebbe piaciuta saperla interprete de La ragazza di Bube. Il terzo fu Luchino Visconti, questo misogino che non ha mai valorizzato un' attrice e di cui essa diceva:

     

    «Con lui no. Non voglio parlare. Mi fa sentire una specie di deficiente». Glielo presentarono a un luna park. Insieme andarono sull' ottovolante ed a vedere la donna barbuta. Luchino posò una mano sulla spalla di Claudia e le disse: «Noi due bisogna fare insieme un film». Infatti le dette una parte in Rocco ed ora la vuole per la parte di Angelica nel Gattopardo.

     

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    Dice Claudia: «A volte mi chiedo come facciano questi scrittori a trattarmi con tanta cortesia: io ho così poco tempo per leggere. Il Gattopardo, ad esempio, lo comprai: ma tutte quelle descrizioni mi sembravano talmente noiose che lo lasciai lì. Ora ho ripreso a leggerlo, dal momento che devo fare il film: ma non mi sembra mica bello come dicono. Forse sarà perché dell' italiano non colgo le sfumature».

     

    Il Gattopardo sarà il suo ventesimo film e non è senza significato che il primo sia stato I soliti ignoti mentre il debutto nel cinema francese lo ha fatto con Austerlitz. Per il ruolo di Paolina Bonaparte, Abel Gance aveva chiesto Rosanna Schiaffino e la Schiaffino era giunta a Parigi con sei bauli e una grande illusione: conquistare la Francia rompendo il contratto con Franco Cristaldi. Ma Cristaldi aveva fatto notare ad Abel Gance che la Schiaffino era stata contrattata come prodotto della Vides, non come Schiaffino: non essendo più un prodotto della Vides bisogna sostituirla con la Cardinale. Ed Abel Gance, stretto dalle maglie legali, aveva dovuto ubbidire.

     

    Fu durante quel soggiorno parigino che, trovandosi eccezionalmente in un night, l' Epi Club, Claudia conobbe Elvis Presley che, facendola arrossire come un pomodoro maturo, le chiese l' onore di un mambo. Tre mesi dopo giunse da Hollywood una lettera su carta rosa confetto ed era Elvis Presley che, tra monogrammi d' oro e svolazzi, la invitava a partecipare a un suo film. «Ma allora sono davvero importante» mormorò Claudia senza muovere un muscolo del suo volto tranquillo, e ripose la lettera tra le fotografie di famiglia e i quaderni di scuola: nemmeno venisse da Churchill.

    CLAUDIA CARDINALE MASTROIANNI CLAUDIA CARDINALE MASTROIANNI

     

    [...] Infine, ignorando le molte tentazioni che accompagnano una creatura giovane e famosa, ha respinto tutte le offerte di Hollywood ed ha rinnovato, prima che scadesse, il contratto col Capo. Quel contratto le fornisce solo settecentomila lire mensili, sebbene essa valga cinquanta milioni per film.

     

    «Ma quei soldi», dice, «mi bastano. E poi non è meglio sapere che alla fine del mese riceverai la tua paga? Quelli che non hanno un contratto guadagnano assai più di me ma affrontano anche periodi in cui non vedono un soldo e l' eventualità di un simile rischio mi annoia». Stavo con lei da tre ore quando, come un' impiegata che si accinge ubbidiente a stenografare la lettera del suo principale, Claudia si preparò a scendere nella hall del Martinez per una ennesima conferenza-stampa. Carolyn, la sua segretaria, la spolverava e le dava consigli.

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    Lei diceva ubbidiente «va bene» ed era tanta la metodicità che entrambe mettevano in quei preparativi che io mi chiedevo quale delle due assomigliasse di più a una cosmonauta. Ma poi Carolyn si mise a parlare del suo fianzato che è Masolino D' Amico, figio di Suso, e Claudia disse con l' ironia sulle labbra: «Non trova che la gente innamorata sia buffa?». «Perché?» risposi.

    «Non lo è mai stata?» «Oh, no!

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    E chi ha tempo con il lavoro che faccio?

    » Allora mi venne in mente che nessuno le ha mai attribuito un flirt o un pettegolezzo o tanto meno uno scandalo e ricordai ciò che Rinaudo mi aveva dichiarato con voce solenne: «La Claudia non si deve innamorare. Se si innamora, crolla tutto: il suo buonsenso, il suo personaggio, il nostro paziente lavoro di anni. Abbiamo già perso trenta milioni con la Schiaffino: non possiamo permetterci di perderne altrettanti con Claudia. Ciò, s' intende, non è nel contratto.

     

    Però è sottinteso». «Che ne pensa?» dissi a Claudia riferendo il discorso. Rispose: «Giusto. Giustissimo». E a questo punto svanì anche la tentazione di aiutarla a scappare.

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