Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
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Piantato al centro del suo sogno, con la barbetta elettrica e il cuore in tumulto come Django in quel film di Tarantino che cita per riassumere il match con Monfils («Uno spargimento di sangue!»), Matteo Berrettini lancia lo sguardo dall' altra parte della rete e ci trova il numero 2 del mondo Rafa Nadal, il marziano - la definizione è di coach Santopadre - sbarcato sulla sua 8ª semifinale all' Open Usa.
Ed è giusto che, dopo la lezione di Federer sul centrale di Wimbledon, il gladiatore buono faccia esperienza dell' Immortale più resiliente dentro lo stadio più grande, rumoroso e puzzolente del tennis, perché le cose si imparano facendole e the italian che sta scaldando l' anima da paisà di New York è il miglior allievo che la vita potesse desiderare.
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Dalla gricia di Via della Pace, il ristorante dell' East Village dove da due settimane nutre i suoi 196 centimetri per 90 kg («Tanti, sembra più un rugbista che un tennista» commenta Wilander) alla passione per gli anelli, dal tifo per la Fiorentina - lui, romano de Roma - per amore di nonno Piero al messaggio ricevuto da Flavia Pennetta, regina dell' Us Open 2015 battendo Roberta Vinci in un indimenticabile derby
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(«Ho tratto ispirazione anche dalle ragazze del nostro tennis» ammette), il mondo sta imparando a conoscere il cucciolo di campione che partendo dal quartiere del Nuovo Salario e viaggiando a fari spenti nella notte ha annichilito la strombazzatissima Next Gen presentandosi a 23 anni e con tre titoli Atp nello zaino al cospetto del lato più ruvido del triangolo scaleno Federer-Nadal-Djokovic, l' hidalgo che nella notte ha eliminato come da copione l' argentino Schwartzman (ma con qualche patema di troppo) e adesso di Matteo dice, alzando il sopracciglio come ogni volta che avverte pericolo: «Ha un servizio devastante, un gran dritto, è il giocatore che ha fatto più progressi nell' ultimo periodo. Non commetterò l' errore di sottovalutarlo».
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Trapanatore di record (42 anni dopo Barazzutti finalmente un altro italiano in semifinale all' Us Open) ma nuovo a queste stratosferiche altitudini, Berrettini finora Nadal l' ha visto solo in televisione («Ricordo bene la finale di Roma contro Coria, nel 2005, che durò oltre 5 ore: io avevo 9 anni ed ero stufo, perché invece del tennis volevo vedere i cartoni»), ricavandone l' idea che abbiamo tutti: se Godzilla si reincarnasse in un umano, sarebbe Nadal. «Non molla mai, gioca ogni punto come fosse l' ultimo, è un campione straordinario.
Anzi, di più, una leggenda». Difficile negarlo. Se si annettesse il quarto Open Usa (l' altra semifinale, nella notte italiana, è Medvedev-Dimitrov), Rafa centrerebbe il 19° titolo Slam, a un passo dal maestro di Basilea. «Ho una sola certezza: Matteo non farà la figura di Wimbledon con Federer: non ripete mai gli stessi errori» assicura Santopadre, architrave insieme a papà Luca e mamma Claudia (coach Rianna, mandato dalla Federazione, è arrivato più recentemente) della brillante costruzione, prima che di un tennista destinato a essere campione, di un giovane uomo educato e dolce (la collega Ajla Tomljanovic ha bruciato sul filo di lana le pretendenti).
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Certo Matteo ha dalla sua l' età (10 anni secchi meno di Nadal), certe crepe aperte dalla regolarità di Schwartzman (risalito da 4-0 nel primo e 5-1 nel secondo set) nella corazza dello spagnolo e l' insostenibile leggerezza dell' essere Berrettini nell' era dei cinghiali bianchi.
Senza nulla da perdere, cioè.
Braccio sciolto, cappellino da ciclista e futuro spalancato davanti (da lunedì sarà n. 13).
Berrettini from Italy, altro che Next Gen.
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