Stefano Semeraro per "www.lastampa.it"
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Allora Novak Djokovic è davvero il miglior tennista di sempre? Per averne la controprova statistica basterà aspettare un paio di match. Riuscisse ad aggiungere ai mille record che detiene anche il terzo Grand Slam della storia, dopo quello di Don Budge e i due di Rod Laver - sul piano dei numeri sarebbe difficile negarlo. Il match vinto contro Matteo Berrettini e la consapevolezza della propria forza che Novak dimostra dall’intervista che ha concesso dopo, sono però prove sufficienti a dimostrare che, per molti versi, il numero uno del mondo è davvero inimitabile, unico, straordinario.
BERRETTINI DJOKOVIC US OPEN
Un campione che sa alzare il proprio livello di gioco con la facilità con cui in un videogioco si manovra il joystick. Un programmatore assoluto, che al netto del talento innato ha saputo scolpirsi mente e corpo per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato ancora ragazzino: essere, appunto, il Migliore.
«Quando ho perso il primo set - ha spiegato - sono salito ad un livello superiore e ci sono rimasto fino alla fine. E questa è una cosa che mi incoraggia. Io conosco i miei punti forti, mi affido a quelli. Ho lavorato nel corso degli anni per perfezionare il mio gioco in modo che non abbia letteralmente nessun difetto. Tutti i giocatori hanno punti deboli, c’è sempre qualcosa da migliorare. Io voglio avere un gioco più completo possibile, così quando gioco contro qualcuno posso adattarmi a qualsiasi superficie, e applicare diversi stili, aggiungendo tatticamente quello che mi serve per vincere quel particolare match».
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Una strepitosa macchina da tennis, capace di intimidire chiunque: «Voglio che il mio avversario pensi che posso rimandare ogni palla (e Berrettini, perfetto nel primo set, quasi stritolato negli altri tre, ne sa qualcosa, ndr…) che posso sentirmi a mio agio a fondocampo, a rete, al servizio e alla risposta. Questa opera di perfezionamento nel corso degli anni mi ha aiutato ad essere adattabile a quasiasi situazione».
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Nole non vuole essere vittima del caso, affidarsi alla fortuna, contare sulle disgrazie altrui. Il suo corpo e la sua mente sono una scatola di strumenti in grado di affrontare ogni problema: «Ci sono giocatori, come Matteo, che hanno bisogno di sentirsi forti perché servono forte, di sentire che con il diritto, che gli garantisce tanti punti, possono comandare il gioco. Io ho sempre dedicato attenzione a tutti gli aspetti delle mie qualità fisiche, la forza come la flessibilità, l’agilità come la velocità. Voglio sempre essere in grado di utilizzare l’elemento di cui ho bisogno in quel particolare momento».
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Il torneo che sta giocando quest’anno a New York ne è la controprova. Un primo set di studio, spesso perso - contro Brooksby anche nettamente, 6-1; poi, finito di scannerizzare l’avversario, inizia l’opera di demolizione. Prima fisica, poi mentale.
«Contro Berrettini penso di esserci riuscito molto bene. Nel primo set ho avuto alcune chance, lui mi ha breccato all’11esimo game, e ha meritato di vincerlo. E’ stato un set pieno di emozioni. A quel punto mi sono sentito molto calmo. Mi sono detto, accada quel che accada, vai avanti.
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Credo di aver raggiunto un livello superiore di concentrazione e tranquillità che mi ha aiutato a leggere meglio il suo gioco e a perfezionare il mio. Il risultato è stata la vittoria». Una emozione che si trasforma in equazione. Senza dimenticare le variabili, la possibilità che il meccanismo si inceppi. Che qualcosa vada storto. Come è successo alle Olimpiadi, quando è stato sconfitto proprio da Sascha Zverev, il suo prossimo avversario in semifinale. «Questo è un Grande Slam, si gioca al meglio dei cinque set (a Tokyo si è giocato al meglio dei tre, ndr). So che sarà una battaglia, anche più dura di quella con Matteo, ma sono pronto. Sono ostacoli che devo superare per raggiungere la destinazione desiderata. Il risultato è qualcosa che non posso prevedere. Ma posso sicuramente mettere la mia mente e il mio corpo nella condizione migliore per giocare al meglio».
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La «destinazione desiderata», ovvero il Grande Slam. Di cui però Djokovic non vuole più parlare. Almeno fino a domenica.
«Me lo chiedono tutti, ed è comprensibile, ma ho già risposto abbastanza a questa domanda. Migliaia di volte. Ovviamente conosco la storia, e mi motiva, ma se inizio a pensare troppo mi appesantisco mentalmente. Voglio veramente tornare all’essenziale e a quello che funziona per me dal punto di vista mentale. Voglio pensare solo al prossimo match. Conosco bene il tennis di Zverev, l’ho visto giocare, è in grande forma. Quando ci incontriamo ci sono molte cose di mezzo, tante emozioni.
OLIMPIADI DI TOKYO - NOVAK DJOKOVIC SPACCA LA RACCHETTA
Il match può andare in un modo o nell’altro, saranno pochi punti a fare la differenza. Ma mi piace giocare al meglio dei cinque set, specie con i giovani. Sono pronto a restare in campo cinque ore. E’ per quello che sono qui». Difficile trovare un atleta con un’idea più esatta, solida, messa a fuoco di se stesso, delle ragioni per cui gioca, degli obiettivi che vuole raggiungere e dei mezzi per riuscirci. Chapeau, campione.
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