STEFANO SEMERARO per la Stampa
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A Del Potro sfugge la doppietta a nove anni di distanza, Djokovic si riprende New York: gli Us Open sono dell’ex n.1 serbo che si è sbarazzato in tre set (6-3 7-6) del gigante argentino e ha conquistato Flushing Meadows per la terza volta dopo il 2011 e il 2015. E’ il 71esimo titolo da pro e il 14esimo Slam della carriera del Djoker, che così raggiunge Pete Sampras e si porta a tre lunghezze da Nadal e a sei da Federer, azzeccando per la terza volta in carriera l’accoppiata Wimbledon-Us Open nello stesso anno e strappando il numero 3 del ranking mondiale proprio a Del Potro. Il serbo è decisamente una bestia nera dell’argentino: in 19 incontri Juan Martin l’ha spuntata solo 4 volte, e ha perso 5 volte su 5 nei tornei degli Slam.
In campo maschile questi Us Open hanno rappresentato l’ennesima bocciatura della nuova generazione, e aggiunto un altro trofeo alla sterminata bacheca dei cosiddetti Fab Four – Federer, Nadal, Djokovic e Murray – che si sono aggiudicati 49 degli ultimi 54 Slam (gli ultimi 8 sono andati tutti a Federer, Nadal o Djokovic). Almeno uno dei Fantastici Quattro è apparso in finale in 14 degli ultimi grandi tornei, l’eccezione è stato lo Us Open del 2014 vinto da Cilic su Nishikori.
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Si è giocato con il tetto chiuso in una New York improvvisamente fredda (15°) e piovosa, completamente diversa da quella soffocante della prima settimana. Il match si è deciso nel secondo set, anzi, nell’ottavo, interminabile gioco del secondo set. Il primo set era finito rapidamente nelle tasche di un Djokovic estremamente concentrato, che si è poi portato avanti 3-1 anche a inizio del secondo. A quel punto Delpo ha capito che non poteva più concedere nulla se voleva sperare di riagganciare la partita, e ha iniziato a esplodere il dirittone, rischiando anche qualche volta il rovescio, e con l’aiuto di un po’ di fortuna è rientrato sul 3-3, allungando poi sul 4-3. L’ottavo game, durato oltre venti minuti (più dell’intero primo set) e ben 22 punti, come si diceva ha però deciso virtualmente l’incontro. Djokovic ha concesso tre palle break, Juan Martin – sostenuto dall’intero centrale, compresa una molto partecipe Meryl Streep – non è però riuscito a trasformarne neanche una, con qualche rammarico. I due sono andati al tie-break, dove di nuovo Palito ha avuto una chance di allungare (3-1, con una comoda occasione per andare 4-1), ma in due occasioni è stato tradito proprio dal suo colpo più forte, il diritto, e alla fine si è dovuto inchinare alla grinta, alla condizione, alla fame ritrovata di Djokovic che molti punti se li è presi anche a rete.
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Nel terzo set, ormai a corto di energie, ha trovato con orgoglio la forza di recuperare un break (3-3) ma lo ha ceduto per la quarta volta due game più tardi ad un avversario più fresco, che ormai sentiva l’odore del sangue. Novak ha chiuso dopo 3 ore e 19 minuti con uno smash, scalando poi le tribune per abbracciare il suo clan mentre Del Potro tuffava il volto nell’asciugamano per nascondere le lacrime e la delusione. Considerato che nel 2015 Juan Martin è stato un passo dal ritiro, si può dire che ha perso la finale, ma vinto il suo torneo.
Djokovic, dal canto suo, in tutto il torneo ha perso appena due set. Il rapporto ritrovato con il suo coach storico Marian Vajda lo ha decisamente rigenerato Nadal di nuovo infortunato, Federer che inizia a mostrare seriamente le crepe dell’età e Murray ancora lontanissimo dalla forma migliore, è proprio Nole il Risanato a lasciare il segno sulla seconda parte della stagione: il progetto di tornare n.1 non sembra più impossibile, al momento è lui il giocatore da battere. Dopo la sconfitta contro Cecchinato a Parigi sembrava impossibile pensarlo.
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«Quando ho allenato Nole – aveva detto qualche giorno fa Andre Agassi a La Stampa – ero convinto che avrebbe potuto vincere almeno due Slam a stagione per altri tre anni». Dopo un anno e mezzo di tribolazioni, fisiche e psicologiche, a 31 anni Djokovic sembra molto intenzionato a recuperare il tempo perduto. «Se ce l’ho fatta a superare i momenti difficili, e un ’operazione al gomito che mi ha fatto capire quanto deve avere sofferto Juan Martin, è stato grazie all’affetto di chi mi vuole bene», ha detto Novak, premiato da John McEnroe. «E sono sicuro che anche lui presto alzerà di nuovo questa coppa».
Niente da fare, infine, per Lorenzo Musetti: nella finale under 18 degli Us Open il 16enne di Carrara, autore comunque di un grande torneo, è stato sconfitto 6-1 2-6 6-2 dal brasiliano Thiago Seyboth Wild, sesta testa di serie del torneo e di due anni più anziano. Per Lorenzo, dopo i quarti a Wimbledon, la conferma di un talento che promette un futuro interessante.
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