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    UN MONDO (E UN DERBY) SENZA TOTTI – DOMANI LA PRIMA STRACITTADINA SENZA “L’ULTIMO IMPERATORE” GIALLOROSSO, L’OMAGGIO DELLO SCRITTORE FERNANDO ACITELLI: “MI METTE TENEREZZA VEDERLO SEDUTO IN TRIBUNA: GLI VEDI ADDOSSO LA PAURA DELL’ETÀ ADULTA. SENZA DI LUI È TUTTO PIÙ TRISTE PERCHÉ FINISCE IL SENSO DI APPARTENENZA...”


     
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    Luca Pallanch per La Verità

     

    Fernando Acitelli, romano, classe 1957, porta a spasso la sua vita in una serie estenuante di romanzi, racconti e raccolte di poesie, che lo rendono uno degli scrittori italiani più prolifici degli ultimi vent' anni. E tra i più ispirati. Opere composte strappando il tempo ad altre attività, come faceva Carver, duellando con un presente nel quale non si riconosce, memore di grandezze ormai perdute, che ritrova ogni giorno nel suo girovagare per la Città eterna.

     

    Dove si può permettere, giocando con la fantasia, di chiamare al telefono (a gettoni) Pier Paolo Pasolini per rivelargli che fine abbiano fatto i suoi personaggi (nel poema lirico Accattone). Ora torna in libreria con due romanzi, usciti in contemporanea, Cinema Farnese (Fahrenheit 451) e Un mondo senza Totti (Ponte Sisto).

    FERNANDO ACITELLI FERNANDO ACITELLI

     

    Il primo è un viaggio nostalgico nella Roma di Campo de' Fiori, invasa dagli hippy nel 1977 e dintorni, dove, come il marziano di Ennio Flaiano, arriva dalla periferia uno studente di farmacia elegantissimo, fuori tempo e fuori zona, per conquistare una ragazza del posto. Più che un romanzo autobiografico, una tranche de vie. Il secondo l' elaborazione di un lutto (metaforico) individuale e collettivo, che ha colpito i tifosi della Roma, e non solo della Roma, al ritiro del capitano. Un altro viaggio nel tempo.

     

    Perché un romanzo su Francesco Totti?

    «Noi avevamo pensato che gli eroi, o almeno quelli che consideravamo tali, non fossero neppure sfiorati dal tempo. E invece è uscito di scena anche Totti. È quindi un bilancio sul divenire. Contemporaneamente è una lunga riflessione su noi stessi. Se Totti per 24 anni ha calcato i campi di calcio, sono 24 anni che noi abbiamo accumulato, quindi il tempo ha scolpito anche noi. Cosa bisogna fare per sconfiggere il tempo? La letteratura e la poesia sono le sole armi che abbiamo a disposizione.

     

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    Nel libro io immagino una serie di 30 partite, in cui vengono convocati tutti i giocatori che hanno indossato la maglia della Roma, dall' anno di fondazione, il 1927, al Motovelodromo Appio, che è stato il primo campo della squadra giallorossa. Il campo Testaccio sarebbe venuto dopo, nel 1929, con il girone unico. E vado a ripescare i discendenti del primo goleador della Roma, un certo Enrico Cappa, che segnò il 16 luglio 1927 nell' amichevole contro i magiari dell' Újpesti, una settimana prima della costituzione della società, mentre il primo gol ufficiale fu realizzato in campionato contro il Livorno da Luigi Ziroli, il 25 settembre 1927».

     

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    Tu avevi già dedicato un libro a Totti, Il tribuno di Porta Latina...

    «Quindici anni fa, ma si era ancora al vertice del suo trionfo. Era come quando Germanico tornò dalle battaglie del Reno e gli dedicarono il trionfo: aveva ancora anni davanti, anche se poi l' avrebbero ucciso. Noi abbiamo visto Totti rintanarsi nelle pieghe del tempo. Anche lui è dovuto scendere a patti».

     

    Già, però in Il tribuno di Porta Latina lo avevi collocato tra le rovine romane, stabilendo un nesso ideale con la storia.

     

    «Anche dal punto di vista geografico lui era perfetto: abitava infatti in via Vetulonia 18, cioè stava a ridosso delle Mura Aureliane; lì vicino ci sono il Sepolcro degli Scipioni e le Terme di Commodo; la tomba dell' imperatore Geta, fratello di Caracalla, stava a meno di un chilometro da casa sua. Una persona con un minimo di sensibilità il libro già se lo trovava fatto: doveva soltanto frugare dentro sé stesso.

     

    L' ipertrofia della letteratura su Totti mi ha riguardato fino a un certo punto, perché io elimino tutto ciò che è notizia e vado a scovare l' universale, ed è ciò che manca nelle varie biografie.

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    Per me la notizia, nella sua essenza, è sempre qualcosa di impresentabile. Sulla notizia bisogna lavorarci. Nel mio libro c' è il mondo di Falcao, il mondo di Giannini, il mondo di Totti e il mondo senza Totti.Questi sono i quattro cardini».

     

    Com' era il mondo di Paulo Roberto Falcão?

    «Era un mondo di serenità, di quiete, perché ancora si respiravano gli anni Settanta e si erano riaperte le frontiere calcistiche, che erano state chiuse dopo la sfacelo del Mondiale del 1966. C' era quindi la novità degli stranieri nel campionato di serie A.

     

    Come disse Pelé, Falcão era il più europeo dei brasiliani. Quanto a Giuseppe Giannini, era un principe rinascimentale, mentre Totti si è annunciato da solo ed è stato proclamato imperatore da tutte le legioni».

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    E Agostino Di Bartolomei? Perché non c' è stato, secondo te, il mondo di Di Bartolomei?

    «Di Bartolomei era troppo bravo e introverso per segnare un' epoca. Lui era in perenne conversazione-dissidio-verifica con il suo animo. Nel libro lo cito, ma solo come immagine legata all' antica Roma, perché con la sua frangetta sembrava incarnasse la virtus della Res Publica. Sarebbe stato legato a Catone.

     

    Quello che io coglievo nel grande Agostino era un' età del malessere, un esistenzialismo trasposto su un campo di calcio. Quando si parla di esistenzialismo, a un personaggio viene data una connotazione negativa: quello pensa... dunque è un tormentato. Sarà anche così, ma Agostino si distingueva da tutti gli altri soprattutto per questo.

     

    Anche lui ha rappresentato Roma, senza però giungere alla completa immedesimazione avvenuta con Totti».

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    Per il talento del capitano?

    «Intanto per il suo viso e perché proveniva dalle giovanili, e questo è un altro tratto comune con Giannini, suo punto di riferimento a inizio carriera. E poi perché ha scelto di rimanere a Roma, andando contro le leggi del mercato, anche se dirlo, per un miliardario, sembra un paradosso. Totti poteva finire al Real Madrid e non ci è andato. Qualcuno ha insinuato che non vi è andato perché, come sostiene Walter Zenga, è rimasto provinciale preferendo l' orticello di casa sua invece della scena elisabettiana: la metafora è mia, non di Zenga.

     

    Da sottolineare un aspetto: chi non è di Roma non può capire cosa sia compiutamente questa città. Totti è ancor più romano perché, come accadeva nell' ultimo tratto dell' Impero, i migliori magister militum erano coloro che avevano la madre romana e il padre barbaro. Salvarono l' impero personaggi come Ezio e Flavio Stilicone che avevano un profondo senso d' appartenenza, mentre lo Stato romano stava andando a picco. Totti ha detto una cosa che aveva pronunciato, 2.000 anni prima, Flavio Oreste, padre dell' ultimo imperatore romano d' Occidente, Romolo Augusto, detto Augustolo: "Nelle legioni non sento più parlare latino". Totti ha detto: "A Trigoria non si parla più italiano". Hanno detto la stessa cosa a distanza di secoli. Un bell' esempio di sincronismo storico».

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    E com' è il mondo senza Totti?

    «È sicuramente più triste perché finisce il senso di appartenenza. Il tifoso romanista aveva sempre l' illusione che qualcuno lo difendesse almeno con la romanità autentica. C' era la Roma oltraggiata ovunque e la Roma che non vinceva niente. Ma c' era questo personaggio, diventato un marmo indelebile: 250 gol con la stessa maglia non potranno mai essere scalfiti».

     

    Che effetto ti fa vederlo in tribuna, spesso accigliato?

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    «Mi mette un po' di tenerezza. La prima volta, a Bergamo, non ha avuto il coraggio di stringersi la cravatta, aveva il nodo lento. Quello è già un sintomo. Con il Chelsea aveva la camicia senza cravatta. Anche nel vestire a lui l' età adulta mette paura, tenta sempre di schivarla. Nel romanzo inserisco un dialogo tra due filosofi. Uno dei due dice: "Adesso lui sta di fronte al dolore".

     

    Il divenire e il nichilismo adesso Totti li vede, prima non li vedeva. In un certo senso accade la stessa cosa occorsa a Hegel, il quale il dolore e la paura del nulla non li vedeva perché si faceva la barba tutte le mattine Nella consuetudine dei gesti c' è una piccola salvezza: ognuno di noi pensa dentro di sé che si potrà ripetere sine die. Totti faceva la stessa cosa: Trigoria, allenamenti, partite. C' era la consuetudine della ritualità che permetteva di non vedere il nulla».

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    Avevi dedicato a Totti anche una poesia in La solitudine dell' ala destra, raccolta di poesie sul calcio del 1998.

    «Era una delle più belle, con quelle su Diego Maradona e su Garrincha. L' avevo scritta un paio di anni prima, nel 1995-96, e lui aveva 19-20 anni. "Tra Porta Latina e Porta Metronia, / sotto le Mura Serviane che pur vide Catullo, / eroico il bimbo Totti palleggiava / e le aiuole archeologiche si facevano / calpestare"».

     

    Com' è nata La solitudine dell' ala destra?

    «Verso la fine degli anni Settanta, inizi anni Ottanta, mi ero inventato una formazione nietzschiana. All' oratorio, quando ero bambino, giocavamo le partite tra quelli che vivevano al Borghetto Latino, le casette, e quelli che vivevano nei palazzi. In un certo senso i poveri e i ricchi, i plebei e i patrizi, e fin da allora ho avuto la passione per le formazioni di calcio.

     

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    Ho cominciato a scrivere le poesie, ma le tenevo per me, non pensando che avessero una certa rilevanza. Quando è morto mio padre, ho iniziato a rileggerle e le ho rimesse tutte perbene... forse in questo modo mi sono liberato di lui. Erano 300 poesie, le lessero a Einaudi... videro che era come un juke box, a gettoni, come i profili sulle monete degli imperatori romani: ognuno aveva il suo. Mi dissero di selezionarle perché erano troppe e scesi a 185. Ora ho pronti 350 sonetti, che usciranno con il titolo Fase di non possesso».

     

    GIUSEPPE GIANNINI GIUSEPPE GIANNINI

    Le poesie le scrivevi in macchina, nelle pause di lavoro...

    «Accendevo le caldaie per le scuole elementari e materne nella periferia romana. Una volta assolto il mio compito, salivo in macchina e tra una urgenza e l' altra scrivevo. Avevo iniziato a lavorare per puro caso: un amico di liceo era stato chiamato alle Poste, così si liberò il posto al quale era destinato e mi presentai io. Era una società petrolifera del grande universo Agip. Mi avevano assegnato la 5ª e la 7ª circoscrizione e seguivo 150 scuole, quindi 150 impianti.

     

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    Per ogni scuola avevo il compito di redigere un rapportino. Dovevo presentarmi e se la caldaia andava, scrivevo sul rapportino che l' impianto era in funzione: mi facevo apporre timbro e firma e la sera portavo i vari rapportini in ditta. Ma non firmavano tutti! Se l' impianto non aveva funzionato, bisognava segnare i giorni in cui era rimasto spento ed era un problema, perché, tornato in ditta, i miei superiori si lamentavano, dal momento che quelle ore di gasolio non sarebbero state contabilizzate. Mi dicevano allora di ritornare a scuola e di far firmare che l' impianto aveva funzionato regolarmente e che si era trattato d' un guasto, sul quale, però, si era intervenuti tempestivamente. In questo modo cominciai a capire i meccanismi della vita. Il vantaggio è che conoscevo una donna al giorno!

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    Econome, bidelle, cuoche.

     

    Ho lavorato in quel mondo dal 1980 al 1996. Sono stati 16 anni spensierati, malgrado i contratti a scadenza. Dopo l' uscita di La solitudine dell' ala destra, mi chiamavano da tutte le parti. Mi intercettò perfino una nobile che, forse stanca delle consuetudini, usciva con un tardo impegnato degli anni Settanta. Gianni Mura sulla Repubblica scrisse che sicuramente ero cresciuto a pane e Gazzetta dello Sport. Ed effettivamente ho collaborato anche con la Rosa. Sono finito pure al Maurizio Costanzo Show, con Massimo D' Alema, Franco Ferrarotti e Max Tortora!».

     

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