Alberto Mattioli per "la Stampa"
Venezia il 1 maggio
Ripartenza? Dipende. È la solita storia di chi vede il bicchiere dello spritz mezzo pieno o mezzo vuoto. Sta di fatto che lo scorso fine settimana si è rivista a Venezia la fauna attesa da mesi: i turisti. Ventiduemila sabato, 30 mila domenica, per lo più ospiti della porta accanto, veneti o delle regioni neogialle limitrofe. Stranieri, il 10 per cento, in prevalenza tedeschi e a seguire spagnoli.
Numeri da ripresina, non da boom. Però i parcheggi del Tronchetto e di piazzale Roma sono stati chiusi perché pieni, si sono riviste le code per entrare nella Basilica di San Marco, i musei sono operativi, la Fenice idem. Anche gli alberghi stanno riaprendo, «siamo a più del 50 per cento», dice Simone Venturini, il trentatreenne assessore al Turismo della giunta di centrodestra.
Code a Venezia
«Turisti sì, ma non spendaccioni, sabato e domenica c'era tanta gente ma non ho quasi lavorato», chiosa sconsolato il gondoliere sul ponte di San Moisè. Ieri, giornata di sole meravigliosa, ma lavorativa, non c'era in giro quasi nessuno. La vecchia signora del Leone torna faticosamente alla normalità. Ma un po' rimpiange il periodo in cui camminare nelle calli significava passeggiare e non fare la coda, l'acqua nei canali era quasi azzurra e si "sentiva" la specialità veneziana più tipica: il silenzio.
Caffè Al Colombo
E avanti con i reportage estasiati su Venezia deturisticizzata, davvero mai così bella. La realtà però è diversa e racconta di una città sbalestrata che ha scoperto che magari di turismo si muore, ma certo senza turismo non si vive. «Io ho aperto perché "Al colombo" è un'istituzione e non può stare chiuso e poi perché ho un magnifico dehors - racconta Domenico Scanziani, titolare del celebre ristorante - ma in realtà non mi conviene. I turisti sono pochi e con il coprifuoco alle 22 a cena non si lavora granché. Però sono contento, anche solo per la soddisfazione di sedermi nel mio ristorante».
Venezia, tornelli
I numeri sono disastrosi. Nella normalità dell'evo a.C., ante Covid, Scanziani dava lavoro a 25 persone, stagionali compresi: nel d.C. sono rimasti in sei, «gli altri in cassa integrazione. Nel '20 ho perso l'80 per cento del fatturato, nel '21 è molto se finora sono arrivato al 5. I ristori? Gli ultimi devono ancora arrivarmi».
«Si tornerà alla normalità pre-pandemia, se tutto va bene, a fine anno. Ma se vogliamo essere realisti, non prima dell'aprile '22», profetizza Claudio Vernier, titolare del caffè "Al Todaro" e presidente dell'Associazione Piazza San Marco, 500 soci, tutti o quasi gli esercenti dentro e intorno al salotto più bello del mondo. Poi ti spiazza: «Ma a quella "normalità" spero di non tornare mai più».
Simone Venturini
Eccola allora, la vera questione, l'ennesimo paradosso di una città che è un paradosso in sé. Venezia soffoca dal turismo ma da quando il turismo è scomparso si è accorta che quel che la uccideva era anche quel che la faceva vivere. Ed è andata in crisi. «Fossimo una città normale - spiega Vernier - il calo del fatturato sarebbe stato del 50. Poiché invece siamo una monocultura turistica, è arrivato all'80 e più. La pandemia è l'occasione di ripensare il turismo: le idee ci sono, ma serve la volontà».
Il giovin assessore Venturini ovviamente non ci sta. Elenca quel che sta per iniziare: la Biennale Architettura, il 22, e il Salone nautico, il 29, «due grandi occasioni. La città è pronta, non è mai stata così bella, festeggiamo i suoi 1.600 anni con molte iniziative. Però è vero: non bisogna tornare come prima, ma meglio di prima. L'obiettivo è meno turismo giornaliero e più soggiorni, meno mordi-e-fuggi e più vivere Venezia. Noi facciamo la nostra parte, anche se è assurdo che il Comune di Venezia abbia gli stessi poteri di quello di un paesino sull'Appennino. E aspettiamo che si faccia chiarezza su pass vaccinali, quarantene e quant' altro».
Caffè Al Todaro Venezia
Poi conferma che dall'anno prossimo ci sarà il ticket d'ingresso in città con relativi controlli informatici e tornelli, anche se preferisce chiamarlo «contributo d'accesso». Spiega: «Il ticket è lo strumento, l'obiettivo è la prenotazione». Sarà. Un osservatore qualificato come Jan Van Der Borg, l'olandese che insegna Economia del Turismo a Ca' Foscari, è pessimista: «Il lockdown era l'occasione di riflettere sul modello di business che vogliamo. Occasione mancata, però, a Venezia come altrove».
Che fare? «Puntare sulla qualità del turismo e non sulla quantità, il che non vuol dire selezionare chi arriva in base ai soldi che può spendere ma all'attenzione vera che può dare alla città. E poi mettere al centro le esigenze di chi a Venezia vive e non può farlo in un parco tematico senz'anima. Invece il primo maggio si è visto che si vuole tornare semplicemente a quel che c'era prima».
Jan Van Der Borg
«Si crede che il problema sia tecnico, di accessi monitorati con le nuove tecnologie. E invece il problema è politico, perché è la politica che deve decidere quanta gente può entrare a Venezia, anzi quanta gente fisicamente ci può stare senza distruggerla. Un paziente che sta male bisogna anche curarlo, non solo monitorarlo». Che Venezia stia male lo conferma un dato dei giorni scorsi: per la prima volta, gli abitanti sono scesi sotto quota 51 mila. Per una Disneyland di marmo, forse sono perfino troppi.