Domenico Quirico per “la Stampa”
DOMENICO QUIRICO
La guerra lampo, rapida brutale implacabile. Che cosa assomiglia di più ai dittatori, agli autocrati? Schiacciare il nemico come un maglio, non lasciagli il tempo di riflettere discutere e fare distinguo, seminare morte, la guerra che dura poco più di un respiro. Piazza pulita, tutti gli angolini ripuliti, come si è già opportunamente eseguito all'interno dei confini. Tutti gli implacabili, i prepotenti, i signori della guerra descritti come pratici, realisti, machiavellici l'hanno sognata, organizzata, ordinata ai generali. Perfino quelli più derelitti, con i soldati in ciabatte e fasce mollettiere, i fucili vecchi: una settimana e tutto deve esser finito, eseguire.
vladimir putin
Marsch! Bisogna approfittare delle occasioni della Storia. Il modello è sempre stato il nibelungico stato maggiore tedesco, i generali che cronometravano le avanzate come fossero convogli ferroviari. Ordine numero uno: non perdere tempo, al padrone serve subito la vittoria. Masse di acciaio si precipitano nelle pianure come una valanga stormi di aerei precedono l'apocalisse annientando ogni ostacolo, le fanterie seguono con il cuore in gola solo per prendere atto, per alzare le bandiere della vittoria su edifici distrutti e per scopar via gli improbabili superstiti imbambolati, increduli che non sono riusciti a sparare nemmeno un colpo. Resta da celebrare solo il trionfo assiro babilonese.
bombardamenti ucraina
Questo è lo schema della guerra perfetta, l'illustrazione a colori della guerra. E i cortigiani in uniforme, le trippe cariche di medaglie preventive, si ingegnano meglio che si può a far sì che la guerra somigli a quella guerra perfetta che gli è stata ordinata ruvidamente. Loro si sforzano di seguire le regole che si sono dati, attaccare sempre, spietatezza, decisione. Potrebbe darsi così che la guerra acconsenta, obbediente e collaborativa, a rassomigliare a se stessa. È la guerra che solo i dittatori possono fare, senza esitazioni collettive, noiose catene di comando, incertezze, dubbi riflessioni, mugugni.
missile sul palazzo del governo di kharkiv 3
Un annuncio in tv o dal balcone e via si colpisce e distrugge. Loro vogliono spazio, spazio sempre più grande. Ma hanno contro di sé il tempo. Sono le democrazie ovviamente imbelli e tentennanti che hanno bisogno di dividere le responsabilità e i meriti, riflettono sulla possibilità e i rischi della sconfitta. Gli autocrati tutto scatto brio spavalderia sono obbligati a vincere subito e a vincere trionfalmente.
putin
Il successo è il loro unico carisma, costruito sulla sottomissione degli individui al culto dell'Uomo. Se la vittoria non arriva e subito, e gli staterelli resistono allora cominciano i mormorii, gli incerti prendono coraggio, le madri e gli affaristi protestano, quelli che fino al giorno prima erano pronti a morire e i fidatissimi si defilano, discutono, orribile arroganza, forse perfino congiurano. Respinto il raiss o lo zar nel nulla del mancato trionfo, plasmano a poco a poco la necessità di non condividerne la sconfitta.
missile sul palazzo del governo di kharkiv 4
Forse a Putin "palkin", il bastonatore, restano pochi giorni prima che la unzione del vittorioso inizi a seccarsi, subentri nei russi un acre sconforto: ma come! Aveva promesso di restaurare l'Urss e non riesce a battere neppure gli ucraini! Il disfattismo osa alzare gli occhi fin alle supreme stanze del Cremlino, subentra una lasciva pigrizia.
Le pianure che portano a Kiev sembrano perfette per queste cavalcate trionfali, autostrade senza fine per le masse dei carri russi che abbracciano le città e le scavalcano, costringendole a una rapida resa. La vecchia antica guerra di massa e non quella di colpi di mano e specialisti che sembrava ormai la normalità del ventunesimo secolo. Poi la guerra ha sconvolto i piani, rovesciato le carte dei generali. Accade sempre. La guerra non è una avventura, è una malattia.
putin e lukashenko guardano le esercitazioni militari
Appena un giorno sembra essere rimasta in piedi la blitzkrieg putiniana. Poi è entrato in azione il fattore che i generali sempre omettono, la eterna implacabile usura della guerra. Sul campo di battaglia e sulle truppe brevemente vittoriose piano piano è calata la nebbia. Non quella meteorologica (anche se talvolta è stata sufficiente per scombinare ingegnose strategie). Ma la nebbia dell'imperfezione e dell'imprevisto che avvolge i progetti umani. Come ingranaggi perfetti che la frizione dell'uso deforma e inceppa. Gli ucraini che i generali avevano previsto nei piani alla voce: truppe mediocri mal addestrate e armate sommariamente, incredibile! resistono.
missile sul palazzo del governo di kharkiv 6
Quel villaggio derelitto e insignificante che alla fine della prima giornata di battaglia doveva esser già alle spalle di molti chilometri è ancora lì che sputa fuoco, blocca le colonne, costringe a perdere tempo. La distruzione degli aeroporti non è stata così definitiva come annunciavano i primi bollettini dei comandanti che hanno, è umano, la tendenza ad abbellire le cose , a dar per raggiunto quello che è solo per strada.
E poi i rifornimenti: si consumano più proiettili del previsto ma a causa dei combattimenti i convogli sono in ritardo, bisogna fermarsi e attendere. Maledetti poltroni dell'Intendenza, scansafatiche della retrovia. Lo Stato maggiore spedisce minacce e ordini che non arrivano da nessuna parte. Le strade sono imbottigliate, i telefoni guasti. Le informazioni sulle posizioni del nemico è il nemico stesso a fornirle, mitragliando e spezzonando. L'intelligence ha fatto delle ipotesi. Ma adesso sono diventate solo ipotesi.
Esplosioni a Kharkiv 2
Non possiamo mica assumerci l'incarico di spiegare noi la guerra allo stato maggiore, replicano piccati alle accuse. Spetnatz e paracadutisti, isolati, si arrendono e si perdono come si perdono bagagli nell'arruffarsi delle coincidenze ferroviarie. Le perdite aumentano e le morti dei soldati non sembrano più maestose ed eroiche ma solo strazianti, inutili. Non sono che il segno dell'impotenza, il risultato dell'impotenza.
Forse nel giudicare la rinata potenza militare russa abbiamo dimenticato che gli eserciti come tutte le istituzioni valgono quanto valgono gli uomini. E i sistemi oligarchici secernono spesso i mediocri, scelgono gli obbedienti i furfanti astuti per legarli con una complicità che i migliori rifiutano.
zelensky putin
Eppure Putin ha preparato la sua armata che doveva iniziare a ridisegnare gli equilibri in Europa con sette anni di prove generali in Siria: lì ha provato le nuove armi pagate con gas e petrolio che hanno sostituito i vecchi arsenali della arrugginita Unione sovietica. Gli ufficiali hanno scaldato i muscoli e le ambizioni bombardando i siriani, jihadisti e non. In fondo la Siria è stata la gigantesca Guernica di Putin di cui ha approfittato, lesto come Franco negli anni Trenta, l'alleato Bashar. Un poligono zeppo di gente e bersagli veri, città su cui collaudare tranquillamente l'efficacia delle distruzioni prodotte dalle super bombe. Cavie. Si pensava già agli ucraini.-
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