DONATELLA VERSACE
Simone Marchetti per la Repubblica
La stilista bionda. La sorella di Gianni. La designer che si è disintossicata. L’amica di Madonna e di Lady Gaga. La compagna di scorribande di Naomi Campbell e Kate Moss. A poche donne è toccato di essere ridotte a uno stereotipo culturale, di genere o da commedia, come è successo a Donatella Versace.
Icona per alcuni, macchietta per altri, dietro il personaggio diventato un simbolo c’è in realtà una donna che fugge, come fosse una creatura selvaggia, da ogni categoria. Persino da quelle dettate dal fratello, il mitico Gianni Versace, scomparso quasi 20 anni fa. E infatti il nuovo corso della maison della Medusa non propone più abiti da sirena e spacchi da red carpet.
Ma completi da palestra e giacche da combattimento. «Vi sembra strano? A me pare naturale», racconta, «È nell’aria, lo respiri ovunque. Stiamo vivendo in una società dove le donne contano e conteranno sempre di più. Lo so: il mondo sta tornando indietro. E non solo negli Stati Uniti dove ha vinto Donald Trump. Ho passato la notte delle elezioni americane con gli occhi sbarrati: ma non è questo il punto.
Ritengo che si stia aprendo l’era delle donne, non tanto per una questione fisica o di genere, ma perché abbiamo meno paura degli uomini. La cultura maschilista impedisce la sperimentazione perché gli uomini arrivano fino a un certo punto, si accontentano quando raggiungono quello che sognano. Noi andiamo oltre, non ci fermiamo mai. Ho provato a dare un abito a questo spirito. Perché per me la moda oggi è fornire una possibilità di crescita, di evoluzione».
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La colonna sonora dell’ultima sfilata, scritta insieme all’artista Violet, è un inno a rivoluzionarie, politiche, artiste e scrittrici che hanno fatto del femminismo una ragione di vita. «Dobbiamo tutto a loro. Sembrano dirci: non abbiate paura di prendere il potere nelle vostre mani.
Non state ferme perché se lo fate non combinate nulla. Se devo poi pensare alla mia vita, nonostante il dramma dell’omicidio di Gianni, posso dire di essere stata non fortunata ma fortunatissima perché ho potuto confrontarmi con persone che mi hanno fatto pensare, che mi hanno lasciato a bocca aperta.
Da politiche eccezionali come la senatrice americana Elizabeth Warren ad amiche di una vita come Naomi Campbell, che non sta mai ferma, che non smette di mettersi in discussione. Da capitane coraggiose come Franca Sozzani, che ha fatto sempre quello che aveva in testa senza paura, ad artisti come Lady Gaga e Prince, con cui parlo e parlavo fino alle cinque del mattino, mentre gli occhi si chiudevano dal sonno e l’immaginazione si spalancava su nuovi orizzonti».
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Ci sono tutti nel libro “Versace” (edito da Rizzoli e scritto dalla designer con Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi), catalogo di volti e storie che ripercorre la sua carriera. «Imparare è il mio imperativo categorico. Ultimamente, mi ha stimolato un viaggio nelle sedi di Instagram e Facebook in California. Sa cosa penso? La moda dovrebbe farsi un giro a Cupertino, non nei mercatini o nei luoghi convenzionali. Lì comprendi il valore e il potere della tecnologia. E ti rendi conto di quanto il passato, i fondamenti del pensiero occidentale siano ancora imprescindibili.
Con Zuckerberg ho parlato di Socrate e Platone, della polis greca. Dalle nuove generazioni, invece, imparo tantissimo. Mi piacciono, le seguo, le cerco. Sono affamata delle loro idee. T’insegnano che non devi mai prenderti troppo sul serio, che quello che hai fatto finora non è mai abbastanza, che da un momento all’altro potresti non essere più nessuno». Ma non c’è solo ottimismo nelle parole di Donatella.
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«Il mondo di fronte ai millennials non è certo rassicurante, anzi, fa enormi passi indietro. E l’emancipazione si è fermata. Ha presente Paura di volare di Erica Jong? Ecco siamo rimasti là! Ma io non mi do per vinta. Continuo a essere impulsiva e sincera. So quali sono i miei difetti.
Alcuni riesco a ripararli, altri no perché mi piacciono. Mi rimproverano, per esempio, di essere troppo veloce. Io odio l’immobilità, difetto imperdonabile anche del nostro paese, troppo spesso intrappolato nella burocrazia e nella staticità. Le persone, la moda, l’Italia stessa devono invece credere nel cambiamento. Senza rimandare a domani quello che si deve fare adesso».
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