Estratto da “La posta del cuore – Sette” di Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”
Caro Massimo,
una coppia lesbica con figlio
sono un italiano trapiantato da tempo in America. Un ingegnere, dalla mentalità razionale, ma anche emotivo. La ragione per cui vivo ancora in America è che qui ho conosciuto mia moglie, di sedici anni più giovane (all’epoca io 39 e lei 23; adesso lei 37 e io 53). Mi ha aperto le porte su una vita nuova, emotivamente appagante: le montagne russe. Io ero (e sono) un ciclista appassionato. Andava in bici con me. La conversazione non era mai banale. Non mi avevano mai attratto ragazze più giovani. Ci siamo sposati.
Abbiamo avuto la prima bimba, e mia moglie mi ha chiesto di rimanere in America perché “se fossimo tornati in Italia, non saremmo più riusciti a tornare qui”. I problemi sono iniziati quando ci siamo trasferiti nel paese dove mia moglie è cresciuta, e i suoi genitori si sono impossessati delle nostre vite.
crisi di coppia e nascita di un figlio 2
[…] Due mesi fa, mia moglie mi ha detto che è gay, e che non può più restare con me, anche per via di altri problemi relazionali che abbiamo sviluppato nella coppia, in particolare quelli che ho con i suoi genitori. E’ gay. Mi ha detto che lo ha sempre saputo, ma che lo ha represso fino ad adesso per via di come è stata cresciuta. Educazione religiosa... Ora vuole andarsene, lasciarmi dopo 14 anni di matrimonio, perché vuole sperimentare la sua sessualità.
E io penso... e io? E le bimbe? Abbiamo sempre pensato che la nostra famiglia fosse un monolito. È gay, ma viviamo la vita che ha voluto lei. Sono confuso, arrabbiato, depresso. Mi sento tradito e impotente. Ho letto che il miglior modo di affrontare queste cose è accettarle. Ma faccio fatica.
Il Montanaro Americano
Risposta di Massimo Gramellini:
bacio lesbo
Capisco tutto, anche la fatica, però non è vero che vivi la vita voluta da tua moglie. Sei tu che hai liberamente scelto di restare negli Stati Uniti e di mettere la testa nella bocca del leone, cioè di stabilirti accanto alla sua famiglia d’origine. E sei sempre tu, non altri, che di fronte agli sconfinamenti dei suoi genitori (addirittura aggressioni fisiche da parte del padre) e ai comportamenti remissivi di lei nei loro confronti non hai mai avuto la forza di porre tua moglie di fronte a un serio aut-aut.
In ogni occasione hai scelto la linea di minor resistenza, il compromesso al ribasso che ti consentisse di tenere tutto insieme e al contempo di mantenere libera la via di fuga del lamento vittimista: io non c’entro nulla. Ma lasciar decidere ad altri la tua vita è stata comunque una decisione che hai preso tu. Non ti biasimo, forse al tuo posto avrei fatto lo stesso.
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[…] Accettare è il contrario di rimuovere. La rimozione paralizza, l’accettazione spinge all’azione. Non so come tu e lei vi riorganizzerete, ma vi auguro di allontanarvi da quei luoghi (e da quei parenti). Non potrà farvi che bene e, facendo bene a voi, lo farà anche alle vostre figlie, che in una fase così confusa hanno bisogno di certezze. Un padre non lamentoso che le ami da uomo libero, tanto per cominciare. Anzi, per ricominciare. Buon 2024, e viva la libertà.
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