Jaime D’Alessandro per “la Repubblica”
UBER NEL MONDO
La si vede spesso sul retro degli autobus, come quello che incontriamo sulla Broadway nel traffico delle nove di mattina: "Guadagno garantito ad ore. Tutto il giorno. Ogni giorno". La app Via si fa pubblicità così, puntando agli autisti e non ai clienti. È una delle sei maggiori dedicate al trasporto a New York, dove ormai è guerra fra Uber e le sue sorelle.
«L' ho provata per curiosità e sono rimasto», racconta Frantz Clermont, un omone nero alla guida della sua Toyota Camry mentre procediamo a passo d' uomo nel concerto di clacson. Guidava per Uber, usava l' app per trovare i suoi clienti. «Ora vorrebbero riavermi con loro. Anche Lyft si fa avanti. Ma non se ne parla. Via paga al di là delle corse che fai: so quando attacco, quando stacco e quanto guadagnerò a fine mese».
uber
Clermont è uno dei 150 mila autisti di New York, dove il milione e mezzo di abitanti di Manhattan raddoppia ogni giorno grazie ai pendolari. E tanti non hanno la macchina. Le app si moltiplicano e si combattono. Via, Juno, Arro e Way2Ride sono nate da queste parti, Gett e Lyft ci sono arrivate.
Tutte contro Uber, quella che va per la maggiore. «Se ce la fai a New York, ce la fai ovunque», aveva raccontato Talmon Marco, fondatore di Juno, lo stesso imprenditore israeliano che ha inventato Viber. Un anno fa si è proposto come il paladino degli autisti con la prima "app etica" del settore.
l app di uber
Juno trattiene il 10 per cento del prezzo della corsa contro il 20 o 25 per cento delle altre, offre una base di 50 dollari se si lavora nelle ore più richieste, ha cominciato pubblicizzandosi solo presso gli autisti e sempre a loro ha promesso metà delle azioni della compagnia nel 2025. Ma poche ore fa è cambiato tutto: l' israeliana Gett, che ha fra i finanziatori la Volkswagen, ha comprato Juno per 200 milioni di dollari. Shahar Waiser, l' amministratore delegato, lo aveva detto: «New York è cruciale».
Negli uffici di Uber, a due passi dalle sponde del fiume Hudson nella zona della High Line, gongolano. Sono i più grossi e possono mostrarsi magnanimi. L' appuntamento è per l' ora di pranzo. Attraversiamo gli open space mentre Fabrizio Lecci fa da Cicerone. «Ci sono ottime app a New York oltre alla nostra. Compresa Arro, quella dei taxi tradizionali.
La concorrenza fa bene a tutti», spiega.
nuove app per taxi tutti al femminile
Ha lasciato l' Italia nel 2011 a 24 anni dopo gli studi in matematica a Torino. Un dottorato alla Carnegie Mellon, un passato nel settore assicurativo e da gennaio per Uber analizza il presente e prevede il futuro attraverso i dati. «Questa città è un posto unico perché unica è la complessità del trasporto, per questo ci sono così tante app». Gli facciamo notare che il traffico è da incubo, come dieci anni fa. Ma lui risponde: «Almeno adesso una macchina la trovi sempre. Prima, in certe fasce orarie, era impossibile».
uber
La rete di trasporto pubblico è estesa (236 linee di bus e 269 stazioni della metro), eppure si compiono ogni giorno oltre 600 mila corse in taxi. «La realtà è che qui all' ora di punta è il caos», ammettono al Comune di New York. Il municipio è un edificio dei primi anni dell' Ottocento, sorprendentemente piccolo davanti ai grattacieli di lower Manhattan. Siamo nel giardino, si son fatte le cinque di pomeriggio e il ponte di Brooklyn che è a pochi passi è già bloccato.
«Ogni giorno milioni di persone vanno e vengono. Le app hanno aiutato? Ad aiutare davvero sono state le piste ciclabili e il servizio Citi Bike realizzato con Citi Bank. Sta avendo un successo straordinario. E poi il prezzo delle case qui cresce solo se la zona è raggiunta dal trasporto pubblico. Con buona pace di Uber e compagni».
Torniamo indietro, ma stavolta a piedi. L' ingorgo si è esteso e ormai circonda completamente il municipio, in un coro di clacson degno di Nuova Delhi.