Fabio Martini per la Stampa
RENZI CAMPO DALLORTO
Si è fatta sera e al settimo piano del palazzone in vetro-cemento della Rai in viale Mazzini l' ultima battaglia si è appena conclusa, il direttore generale Antonio Campo Dall' Orto rientra nel suo studio e chi lo incrocia giura di averlo trovato «sollevato». Lui stesso, una volta entrato, ripete: «Rimarrei soltanto se potessi continuare a lavorare, anche perché gli ascolti sono costantemente migliorati e un incremento per due anni di seguito non accadeva dal 1989-90. Anche la pubblicità è in crescita e i bilanci sono in ordine».
FRANCO SIDDI FOTO ANSA jpeg
Ma il «marziano» di viale Mazzini conosce le regole del gioco: agli «azionisti», in primis il Pd, ascolti, pubblicità e bilanci interessano, ma fino ad un certo punto. Ai politici interessano altre cose. A cominciare dalla «piena agibilità» della Rai alla vigilia di una campagna elettorale che si preannuncia lunga.
luigi di maio
Due anni fa Matteo Renzi aveva voluto Campo Dall' Orto al comando della Rai e, con una legge ad hoc, gli aveva fatto attribuire poteri speciali, da amministratore delegato. Già animatore delle prime Leopolde, il direttore aveva preso in parola quei poteri, ma il suo amico Matteo non ha gradito. In particolare ha considerato infelice la gestione di Rai 3, dove - ai suoi occhi - si è prodotta una paradossale eterogenesi dei fini: i giornalisti considerati «scomodi» e «datati» come Bianca Berlinguer, anziché messi ai margini, hanno assurto ad un ruolo protagonista. Al punto che Matteo Renzi e Antonio Campo Dall' Orto non si parlano più da mesi. Qualche scambio di sms, qualche ambasciatore a far da spola e un gelo che non si è più sciolto.
ANZALDI 2
Ieri pomeriggio la situazione è precipitata: il Piano dell' informazione presentato da Campo Dall' Orto, è stato bocciato col voto determinante di due consiglieri voluti dal Pd, Rita Borioni e Franco Siddi. Da quel momento è partita una raffica di dichiarazioni, da parte di Cinque Stelle, Lega, Forza Italia tutte centrate sullo stesso refrain, riassunto da una battuta del grillino Luigi Di Maio: «Renzi dimissiona chi non è signorsì». Un' offensiva alla quale - ecco la sorpresa - almeno a caldo il Pd non è stato in grado di ribattere. Qualche dichiarazione e nulla di più, ma un Pd all' angolo non capita tutti i giorni.
giovanni minoli
Michele Anzaldi, plenipotenziario del Pd sulle vicende Rai e paladino (alla fine vittorioso) della campagna «anti-Campo» spiega a La Stampa quale sarà la strada che verrà presa nelle prossime ore: «Anzitutto è giusto attendere le decisioni del direttore generale e nel caso in cui dovesse dimettersi, sarà opportuno trovare una soluzione la più possibile condivisa. E dovrà essere una personalità che conosce l' azienda e che sia in grado - per dirla con una battuta - di non dover prendere ripetizioni, ma di fare le interrogazioni!».
RIZZO NERVO
Di nomi Anzaldi non ne vuole fare, ma l' indicazione è chiara: dopo Campo Dall' Orto e dopo lo «scandalo» che accompagnerà le sue dimissioni, il Pd non può permettersi il lusso di presentarsi con una «scartina». Renzi non ha ancora deciso e la sua scelta sarà legata anche alla trattativa per lui più strategica: quella sul voto ad ottobre. Ecco perché in queste ore circolano cinque nomi, tutti «pesanti».
Paolo Ruffini
Giovanni Minoli, già artefice di «Mixer» uno dei talk show più innovativi degli ultimi 30 anni e già direttore di Rai 3; Paolo Ruffini, già direttore di Rai 3, giornalista stimatissimo in diversi ambienti oggi direttore delle emittenti della Cei; Luigi Gubitosi, già direttore generale della Rai oggi alle prese con la «grana» Alitalia; Antonio Rizzo Nervo, già direttore di Tg3 Tgr e Tg La7 e oggi vicesegretario generale a Palazzo Chigi. Paolo Del Brocco, dirigente di Rai Cinema, ben visto da Renzi.
I GRILLINI INSEGUONO MARIO ORFEO