Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
di battista di maio
«Siamo seduti su una bomba atomica », come dice un ex sottosegretario grillino, rende bene l' idea del Movimento 5 stelle al bivio decisivo. Con tutte le conseguenze che l' esplosione avrebbe su Palazzo Chigi. Oggi quasi certamente Beppe Grillo sarà a Roma. Vedrà i big. L' Elevato, soprannome che si è dato da solo, forse parlerà alla stampa. Ma Luigi Di Maio continua a esercitare con pugno di ferro la sua leadership.
È ormai circondato dai governisti, ovvero da chi punta a stringere i bulloni dell' esecutivo e dunque l' intesa col Pd. È stato abbandonato da alcuni fedelissimi proprio in nome della continuità giallo-rossa: Riccardo Fraccaro ma soprattutto Alfonso Bonafede. Il ministro della Giustizia ha portato Conte nel Movimento e lo ha detto a "Luigi": se devo scegliere tra te e lui scelgo lui. Bene, così si fa chiarezza, ha commentato il capo politico. Perché se la situazione precipita mai e poi mai, fa sapere Di Maio, lo scettro passerà nelle mani di Conte, il presidente che incarna l'alleanza con i dem: «In panchina i 5 stelle hanno un solo uomo: Di Battista. C'è una crisi? Non reggiamo? Allora tocca ad Alessandro».
luigi di maio giuseppe conte
Il patto di ferro tra i due giovani leader regge. Il resto sta venendo giù. L' altro giorno a Bruxelles David Sassoli ha organizzato una riunione riservata con gli europarlamentari del Pd e dei 5 stelle. Hanno parlato praticamente solo di Italia e del governo di Roma. Sui 14 eletti grillini appena un paio erano dalla parte di Di Maio, disponibili a sacrificare Conte in caso di show down. Gli altri, tutti governisti.
E per loro non vale il discorso della convenienza. Durano altri cinque anni, nessuno li schioda. Di Maio quindi è circondato da coloro che difendono l'alleanza con Zingaretti, la premiership di Conte e non pensano sia una buona idea far saltare il banco a gennaio o a febbraio per tornare a votare. Il sospetto di tanti invece è che Di Maio punti proprio a questo.
DI BATTISTA DI MAIO
Anche ieri, dopo il voto degli attivisti sulle liste alle regionali che sconfessato la sua indicazione, ha colto al balzo la palla. L'altro giorno era stato convocato una specie di congresso, il primo del Movimento, a marzo. Gli Stati generali.
«Adesso vediamo se i tempi saranno più lunghi», è stata la reazione del ministro degli Esteri. Che non vuole far crescere nessuno accanto a lui, che scansa le ombre, che vuole ancora imporre l' agenda. Dove il Pd non è compreso. Ma non erano comprese neanche le liste in Emilia e Calabria. Insomma, la ruota può girare. Lui però ha subito rilanciato: «Andremo da soli. Adesso tutti si assumano le loro responsabilità. Chi non era per correre, come Fico e la Taverna che però sono stati zitti, e chi invece voleva le liste. Ora si mettano a fare campagna elettorale».
giuseppe conte nicola zingaretti 1
Nel Pd sperano ancora. «Non è detto che Di Maio stavolta riesca a spuntarla», dice il vicesegretario Andrea Orlando. Zingaretti invece ci crede poco. Sta fermo, attende gli eventi. Si vede lontano un miglio che con il M5S impazzito è difficile ragionare. «Siamo qui per costruire ponti, non muri», sparge ottimismo Dario Franceschini. Lui è uno dei pilastri su cui si regge questa maggioranza in difficoltà.
Roberto Fico ieri è stato molto chiaro, ha mandato un messaggio a Di Maio: «Il Parlamento deve continuare a lavorare, ha altri tre anni di vita davanti a sé». È il suo modo di stoppare le fughe in avanti. E di bilanciare l' atteggiamento del ministro degli Esteri che non fa mai niente per coprire le falle dell' esecutivo.
andrea orlando
Diciamo che non accende la miccia ma certamente non si adopera per spegnerla. Conte è impegnato nella costruzione della sua leadership in stretto contatto con i ministri e con Grillo. Il tempo stringe. Nei suoi colloqui Di Maio insiste sulla carta di riserva Di Battista. «Un conto è il gradimento al governo, un altro conto è la campagna elettorale dove Alessandro è sicuramente più adatto di Giuseppe».
ALESSANDRO DI BATTISTA
L' argomento ha un suo peso. Può fare breccia anche tra chi ha paura del voto, tende a conservare il posto in Parlamento e giura fedeltà al premier. Se crolla il castello e il Movimento va da solo, allora la forza di Di Battista garantisce un minimo di sopravvivenza, anche se molto lontana dal 32 per cento. La partita comunque ormai si disputa in campo aperto, sotto gli occhi di tutti: alleati, elettori, attivisti e opposizioni. Di Maio gioca su più tavoli. Tranne che su quello di Conte. Davvero non si capisce come possano stare insieme il premier espresso dal Movimento e il suo capo politico apertamente in guerra.