Andrea Schianchi per la Gazzetta dello Sport
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In un' intervista esclusiva al quotidiano online «Parma Today», Roberto D' Aversa rivela di aver contratto il Covid-19 all' inizio di marzo e di averlo saputo soltanto due mesi dopo, alla metà di maggio, quando è stato sottoposto al test sierologico prima di ricominciare l' attività sportiva. «Dopo la partita contro la Spal (disputata al Tardini l' 8 marzo, ndr) ho avuto un po' di febbre. Niente di grave: 37,5 gradi e un forte mal di testa. Altri sintomi non ne ho avuti, né tosse, né bruciore agli occhi. Non avendo fatto i tamponi non potevamo stabilire se avessi avuto il Coronavirus oppure no, la cosa è stata accertata soltanto dai test sierologici effettuati in quest' ultimo periodo».
D' Aversa, rintracciato ieri al telefono, ci spiega che «in realtà non mi sono preoccupato più di tanto, perché di solito, all' inizio della primavera, ho sempre attacchi di febbre, la temperatura mi sale fino a 39-40 gradi. Inoltre la mia famiglia era già a Pescara, perché dopo la chiusura delle scuole mia moglie è partita con i nostri tre figli, e io mi sono fatto i quindici giorni di quarantena in casa a Parma, da solo. Dopo tre giorni la febbre è sparita e io ho cominciato la mia vita da "casalingo": ho cucinato, ho imparato a tagliare le patate e a far andare la lavatrice, ho pulito l' appartamento. E, ovviamente, ho aspettato di avere il via libera per raggiungere la mia famiglia a Pescara».
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D' Aversa ci tiene a sottolineare il comportamento di tutta la squadra che, su suggerimento della società, dopo l' ultima partita ha accettato di rimanere in quarantena volontaria.
«La gestione da parte nostra è stata ottima, perché il dottore ci ha seguito e perché noi siamo stati responsabili nel non mettere a rischio le altre persone. A Parma, per molti giorni, il suono delle sirene delle ambulanze riempiva il silenzio e in quei momenti mi si stringeva il cuore. Logico che abbia pensato a mia moglie, ai miei figli, ai miei genitori che sono anziani e, quindi, più a rischio. Però a Pescara, dov' erano tutti, il virus c' era, ma in misura molto ridotta rispetto al Nord Italia.
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Quando ho potuto riabbracciare la mia famiglia, però, vi confesso che un po' di commozione c' è stata. E non sapevo ancora di avere contratto il virus...».
Quando ha avuto la notizia dai medici, alla metà di maggio, D' Aversa ammette di aver provato un sentimento di rabbia.
Due tamponi negativi e il test sierologico positivo. «Siamo arrivati tutti quanti impreparati di fronte a questa pandemia, ed è anche comprensibile. Dal punto di vista sportivo si è fatta un po' di confusione, come cittadino italiano dico che avrei voluto avere la possibilità di fare un tampone a prescindere dalla categoria alla quale appartenevo.
Credo che a ogni cittadino si debba dare la possibilità di fare un tampone, per capire che cosa ha, o che cosa ha avuto. Io sono rimasto nel dubbio sul fatto che potessi averlo oppure no. Per fortuna siamo stati responsabili, altrimenti avrei potuto mettere in difficoltà altre persone. Fare polemiche adesso è inutile, mi auguro che quanto è successo possa farci migliorare su tanti aspetti: tutti quanti paghiamo le tasse e tutti dobbiamo godere degli stessi diritti a prescindere dal ruolo svolto. Il mondo del calcio, facendo i tamponi ogni quattro giorni, adesso è in piena regola. Incrociamo le dita sperando che tutto vada bene per la ripartenza».
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