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    ARGENTINA ALLO SBANDO: IL RISCHIO DI UN MONDIALE SENZA MESSI - DOPO LA BATOSTA CONTRO IL BRASILE, ULTIMA SPIAGGIA PER L’ALBICELESTE (E PER IL CT BAUZA) CONTRO LA COLOMBIA - HIGUAIN RESTA FUORI - IN VISTA DEI MONDIALI DI RUSSIA 2018 FIFA, SPONSOR E PUTIN TERRORIZZATI DALLA POSSIBILE ELIMINAZIONE DELL’ARGENTINA


     
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    1. ARGENTINA, BAUZA RISCHIA LA PANCHINA. HIGUAIN FUORI, DENTRO PRATTO?

    Da “gazzetta.it”

     

    Sarebbe stata comunque la partita di cartello del 12° turno, lo sarà ancora di più ora, vista la situazione della squadra di Messi. Argentina-Colombia può essere decisiva per il c.t. dell'Albiceleste, ma anche per una parte della rosa. Le prossime gare saranno fra 4 mesi (a fine marzo), a Buenos Aires si comincia a parlare di rinnovamento e nuovo ciclo. Domani si parte con Bolivia-Paraguay e si chiude col lanciatissimo Brasile.

     

     Partita vitale per l’Albiceleste e - secondo rumors insistenti - per la panchina di Bauza. Il tecnico argentino ha ostentato sicurezza in conferenza stampa (“Ho le spalle larghe, ne ho passate di peggio, in Ecuador volevano linciarmi”) e medita tre cambi rispetto al flop di Belo Horizonte: la principale novità dovrebbe essere l’esclusione di Higuain (dentro Pratto), poi Mercado per Zabaleta e Banega per Perez.

     

    Pekerman alle prese con il rebus difesa, dove dovrà fare a meno dei due centrali Oscar Murillo (squalificato) e Mina (infortunato). Probabile il rientro del nerazzurro Jeison Murillo, sicuro quello di Cuadrado, mistero invece attorno a Bacca, che potrebbe sedere ancora in panchina.

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    2. LO SCENARIO DEL MONDIALE SENZA MESSI

    Cosimo Cito per la Repubblica

     

    Trentasei per cento. Secondo i calcoli di un matematico brasiliano, l’Argentina ha poco più di una possibilità su tre di salvarsi e andare al Mondiale. La “maldita eventualidad”, come scrivono i giornali di Baires, non ricorre dal 1970. Ma dopo il netto 0-3 del Mineirão contro il Brasile, il più grande paese produttore ed esportatore di talenti rischia davvero di stare fuori, lui e il suo totem, Leo Messi.

     

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    Può succedere soprattutto perché di questa Argentina il ct Bauza ha capito poco o nulla finora, perché le partite alla fine del girone di qualificazione sudamericano sono 7 e la posizione in classifica adesso è il sesto posto, il primo inutile, finanche per lo spareggio con la vincente del girone oceanico. «Siamo in una situazione di merda» ha detto Messi a fine partita, «però possiamo uscirne con le nostre gambe, siamo padroni del nostro destino » e insomma, gli occhi sono puntati su martedì, quando l’albiceleste affronterà in casa la Colombia.

     

    In caso di ko, apriti cielo. Messi resta il mistero senza fine di questa squadra inaffrontabile sulla carta e invece già battuta da Ecuador e Paraguay, bloccata sul pari da Perù e Venezuela, condannata all’eterna ricerca di se stessa, di una giustificazione plausibile, all’arte del com’è possibile. Avere Messi, Agüero, Higuain, Di Maria, ignorare tra le polemiche Icardi, e non capirci nulla comunque, lasciando che il Brasile disponesse a piacimento del campo, improvvisandosi squadra al di là dei suoi meriti attuali.

     

    Di quella materia evocata da Messi è stata proprio la prestazione della Pulce, ancora una volta imprigionata, come dietro sbarre bianche e celesti. Si veda alla casella trofei vinti con la nazionale maggiore, 0, e i 29 con la maglia del Barça, alla fatica, alla notte di Belo Horizonte, i controlli sbagliati, la mancanza di sintonia col resto. Alla vigilia del Mondiale 2010, l’eventualidad rischiò già di materializzarsi per il numero 10. L’Argentina fu salvata da Martin Palermo in un epico finale di gara contro il Perù.

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    Ha potuto, il calcio, in passato fare a meno di molti suoi grandi alla sua manifestazione più grande, condannati dalla modestia delle loro nazionali (Best, Weah, Giggs, Cantona), o da particolari rivolgimenti storici (Di Stefano). Ma Messi no, Messi non può marcare visita. Col potere che ha il suo nome, col peso dei suoi contratti, degli sponsor che si porta dietro (almeno 30 milioni dalle varie Adidas, Turkish Airlines, Pepsi, tutte aziende, soprattutto la prima, imparentate con la Fifa), del suo essere “il calcio”, essenza ontologica di un gioco globale riconoscibile in quanto “giocato da Messi”.

     

    Già segnato dal ko ai rigori nell’ultima finale di Coppa America contro il Cile, Messi aveva deciso di tirarsi fuori dalla Selección. Il rapido ripensamento e la ragion di stato (o di sponsor) hanno rimesso in pista la Pulce, mai del tutto entrato psicologicamente nella logica della lotta, la cifra naturale in un girone popolato da Uruguay, Ecuador, Paraguay, nazionali più povere tecnicamente ma più adatte ai fuochi del Cono Sur.

     

    Russia 2018 senza Messi avrebbe l’effetto di una finale dei 100 senza Usain Bolt. Un fatto, per altro, già accaduto al Mondiale 2011 di atletica, a Daegu, col giamaicano squalificato per falsa partenza, vittima di un regolamento cervellotico che puniva il primo via anticipato, il primo in assoluto.

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    L’orrore di quella corsia vuota fece tornare sui suoi passi la Iaaf, che cambiò il regolamento. Qui le cose stanno diversamente. Ma come immaginare (e giustificare) l’Argentina a casa e l’Ecuador dentro? E come spiegarlo a Putin, che comprò tutta la confezione immaginando di trovarci dentro tutto il meglio e, sopratuttto, il supremo giocoliere di Rosario?

     

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