Michele Mari per la Repubblica
L' illustre oratore osservò compiaciuto il proprio pubblico, bevve con studiata compostezza un sorso d' acqua, diede due colpetti di tosse, e incominciò.
«Allora. Tradizione e innovazione.
Cosa intendiamo con tradizione e cosa con innovazione».
Una pausa, un altro sorso d' acqua.
«Tradizione, lo dice la parola! È ciò che viene detto tra di noi, e che possiamo dirci proprio perché lo conosciamo bene. In questo senso siamo noi, la tradizione, e dunque possiamo farne quello che vogliamo, come tagliare l' erba o non tagliare l' erba, in piena libertà. Così facendo innoviamo, ecco l' altro polo! E innovando tradiamo. Ma poiché tradizione e tradimento sono la stessa parola, come concentrazione o concentramento, siamo sempre lì, con noi stessi. Ognuno di noi» - qui l' oratore prese un tono più confidenziale - «ognuno di noi conosce la vita dei propri genitori, già un po' meno quella dei propri nonni; in ogni caso, dai bisnonni in su è tutta una nebbia. Vi siete mai chiesti perché? Ma perché sarebbe assurdo, sarebbe diseconomico conoscere i fatti di generazione dopo generazione, visto che alla fin fine siamo sempre uguali: siamo sempre stati italiani, abbiamo sempre mangiato il panettone o la pizza, ci siamo sempre chiamati Barlassina o Macaluso, eccetera eccetera.
Sarebbe come pretendere di sapere come si parlava mille anni fa: sai che scoperta! Si parlava italiano come in Francia si parlava francese, fine della storia. Se proprio vogliamo ricavarne una morale» - aggiunse con fare concessivo - «possiamo dire che è lo spazio a fare tutta la differenza, non il tempo. Per questo i più acuti ingegni dei giorni nostri si stanno prodigando per conferire dignità filosofica alla geografia. Prendiamo un caso eclatante: Roma.
A Roma, com' è noto, troviamo gli stili architettonici più diversi: c' è il mattonato non finito, con quelle grandi volte, e ci sono le colonne spezzate; ci sono chiese e chiesone, alcune tondeggianti altre aguzze, altre ancora con la punta a spirale; ci sono palazzi bugnati e quelle bizzarre casette chiamate col buffo nome "coppedè", poi quegli altri edifici tutti bianchi nel quartiere conosciuto come Eur; insomma, un po' di tutto. È evidente che a nessuno interessa stabilire quali cose siano state fatte prima e quali dopo, anche perché sarebbe impossibile: stanno lì tutte insieme, dunque è molto probabile che ci siano sempre state tutte quante, esattamente come i boschi del Trentino hanno la stessa età del Vesuvio. Sono più antiche le biglie o la Playstation?
Il Risiko, o gli scacchi?
Chi può dirlo? E poi, cosa vuol dire "antico"? È solo un modo più elegante per dire "vecchio", ma quando la mia automobile è vecchia la cambio con una nuova, dunque nella sua essenza, direbbe un filosofo, la mia macchina non invecchia mai. In un mondo dove tutto si rinnova tutto rimane giovane, senza vecchiaia e senza morte. Guardare in avanti, ecco il segreto!
» Qui il conferenziere fece una pausa ad effetto, durante la quale, oltre a bere, osservò la reazione del pubblico alle sue parole. Stava per riprendere il discorso quando dal fondo si levò un braccio.
«Sì?» domandò l' oratore.
«Vorrei fare una domanda»: la voce, o piuttosto la vocina, veniva da un ragazzo.
«Ma prego, ma prego, siamo qui per questo!
» «Volevo sapere lei prima ha usato l' espressione "fine della storia", ecco volevo sapere cos' è la storia». Un brusio divertito percorse la sala; con gesto magnanimo l' oratore impose il silenzio.
«La storia, mio caro giovanotto, è un racconto: non mi dica di non aver mai chiesto a sua mamma di raccontarle una storia!» (risatine).
«Le storie sono tutte inventate, per questo ci piacciono. Voglio pensare a una balena bianca, cattivissima? La immagino, ed è fatta. A un uomo che diventa uno scarafaggio? Fatto. All' Italia che invade gli altri paesi finché in tutto il mondo si parla italiano?
Mica male eh? O la Germania? Se la storia è abbastanza lunga, abbiamo il romanzo storico, donde l' aggettivo storicistico: da non confondersi con storiografico, che viene invece da storiografia, parola con cui si intende la scrittura delle storie».
«Mi scusi», lo interruppe un anziano signore in prima fila, «ma se non la scrivo, una storia? Se la racconto a voce, o se la penso soltanto?».
«Esimio, stiamo parlando di qualcosa che di per sé non esiste, e che vale solo per la forma che le diamo inventandola: come l' arte».
Qui l' oratore si fermò per qualche istante, impressionato dalla solennità che il discorso stava prendendo; ma subito si riprese.
«Torniamo per un attimo a Roma, per la precisione sul Campidoglio: c' è una statua equestre lì, molto apprezzata per la sua grazia e maestà, ma forse che ci interessa qualcosa sapere chi rappresenta?
Certo che no! A parte che anche volendo non potremmo saperlo, sarebbe come pretendere di sapere il nome di tutti e sette quei nanerottoli che abbelliscono i nostri giardini!» (risate).
«L' unica cosa che sappiamo di loro», concluse sbrigativamente, «è che un tempo stavano sulle spalle di qualche gigante, o almeno così ho sentito dire».