Fabrizio Roncone per “Il Corriere della Sera”
fabio capello
Arriva la notizia che Fabio Capello è stato convocato dal Parlamento russo. Più che un’audizione, un processo. Deve giustificarsi. Deve spiegare cosa è accaduto qui, in Brasile: e poi dovrà anche chiarire quali sono i suoi programmi per il futuro (la Russia, che ospiterà i prossimi Mondiali, non è riuscita a qualificarsi per gli ottavi: 1-1 con la Corea del Sud, sconfitta per 1-0 con il Belgio, altro 1-1 con l’Algeria; 2 punti in totale, e a casa). All’inizio sembra uno scherzo. Sala stampa in agitazione. Cronista prudente di un’agenzia brasiliana: «Sarà il caso di rilanciare?».
FABIO CAPELLO
Sì, è il caso: ecco, c’è la conferma di Igor Ananskikh, responsabile commissione Sport della Duma, camera bassa del Parlamento russo. «Il signor Fabio Capello, allenatore della nostra nazionale, il prossimo 3 ottobre dovrà venire a riferire… ». I toni sono questi. L’eliminazione dai Mondiali è diventata un affare di Stato, anche se per Capello l’accusa è simile a quella rivolta ad altri c.t. che pure hanno fallito (Prandelli, Hodgson, Del Bosque): la squadra ha giocato un pessimo calcio, siamo stati umiliati, è inaccettabile.
FABIO CAPELLO
In verità Capello avrebbe anche qualche giustificazione: la qualità dei giocatori che aveva a disposizione non è minimamente paragonabile a quella dei suoi colleghi, a cominciare dal portiere, Igor Akinfeev, un citofono (niente a che vedere con Buffon, Hart e Casillas). Ma il guaio di Capello è che si è infilato nei guai da solo. È accaduto alla vigilia della partita contro il Belgio, a Rio de Janeiro.
Conferenza stampa. Lui in vezzosa camicia rossa, occhiali firmati, orologio da collezione. Accanto, il capitano della nazionale: Vasily Berezutskij (tipo ossuto, faccia da buttafuori). Domanda di un cronista russo al capitano: «Vasily, come mai, al termine della partita contro la Corea, lei e i suoi compagni non avete salutato il pubblico russo?».
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Vasily ha appena il tempo di schiudere timidamente le labbra. Capello scatta furioso, con un ghigno brutto assai. E urla. Urla come mai gli è capitato prima (eppure ne ha viste e fatte sulla panchina di Milan, Real, Roma, Juve e Inghilterra). «Lei è un bugiardo! Dovete finirla con le falsità!». Il traduttore impiega qualche secondo. In sala stampa scende il silenzio. Cinque giorni dopo, mentre Capello sale sull’aereo diretto a Mosca, il maggior quotidiano sportivo di Russia, Sport-Express , titola: «Dimissioni». Seguono pagine feroci e un articolo sui presunti guadagni del c.t.: 9 milioni di euro all’anno. Così, dopo poche ore, interviene Vladimir Zhirinovsky, leader del partito liberaldemocratico, un nazionalista aggressivo e retorico.
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«Capello andrebbe cacciato a pedate. È un ladro». Il collega di Russia Giusta, Oleg Pakholkov, rassegnato: «Il problema è che dovremo tenercelo fino al termine del prossimo Mondiale, quando gli scadrà il contratto». Dettaglio (che, se confermato, farebbe di Capello un mito tra gli allenatori del pianeta): secondo informazioni raccolte dall’agenzia di stampa Itar-Tass, il suo contratto prevede, in caso di rescissione, il pagamento da parte della federazione russa d’una penale di 25 milioni di dollari (circa 18 milioni di euro, centesimo più, centesimo meno).