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    "SIAMO DAVANTI A UN ECO-MOSTRO DELLA GIUSTIZIA" - DOPO LA CONDANNA A TRE ANNI E MEZZO PER IL DISASTRO AMBIENTALE DELL'ILVA, NICHI VENDOLA SCAPOCCIA: "LA MIA CONCUSSIONE, SICCOME NON È PROVATA, VIENE DEFINITA "IMPLICITA". IL MIO CONCUSSO NEGA DI ESSERE MAI STATO MINACCIATO ED È ALLORA UN FAVOREGGIATORE. IO COME BERLUSCONI? NO, IO MI SONO DIFESO NEL PROCESSO. NON HO INSULTATO I GIUDICI E HO RINUNCIATO A DIFENDERMI NEI TALK O SUI GIORNALI - LA PAROLA 'SEMPLIFICAZIONE' E' UNO SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE, UN MODO PER LIBERARSI DA QUEI VINCOLI NECESSARI CHE TUTELANO LA VITA, I DIRITTI, L'AMBIENTE"


     
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    Riccardo Barenghi per "la Stampa"

     

    Presidente della regione Puglia per dieci anni nonché fondatore e leader di Sel, Sinistra Ecologia e Libertà. Un partito che come dice il suo nome aveva fatto dell' ambiente una delle sue bandiere. E ora si ritrova condannato a tre anni e mezzo per concussione nel disastro ambientale dell' Ilva di Taranto quando era proprietà dei Riva. Da diversi anni Vendola ha lasciato tutti i suoi incarichi politici e si è difeso in tribunale rinunciando anche alla prescrizione per quanto fosse sicuro della sua innocenza.

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    Invece, Vendola, i giudici lo hanno considerato colpevole: la sua reazione?

    «Sono indignato perché siamo dinanzi ad uno scempio, un vero eco-mostro della giustizia penale. La mia concussione, siccome non è in alcun modo provata, viene definita "implicita". Il mio concusso nega di essere mai stato minacciato ed è allora un favoreggiatore. La prova che poi lui, il direttore dell' Arpa, abbia ammorbidito la sua condotta con il siderurgico? Non c' è, c'è invece la prova del contrario. Ed è un dolore grandissimo perché per me era un fatto importante che la giustizia chiedesse conto ad un colosso del capitalismo italiano dei costi umani e ambientali pagati da un'intera città a quel "padrone del vapore"».

     

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    Una reazione comprensibile che tuttavia ricorda quelle degli altri esponenti politici finiti nel mirino dei giudici: a cominciare da Berlusconi...

    «Non direi proprio. Io non mi sono difeso dal processo, mi sono difeso nel processo. Non ho insultato i giudici o urlato contro di loro in un video. Ho rinunciato a difendermi nei talk o sui giornali per rispetto del processo. Ma ora basta. Ora non è più il tempo del silenzio; dico a tutti coloro che si occupano di giustizia: leggete le carte processuali, ascoltate su Radio Radicale (benemerita) la registrazione del dibattimento e ditemi voi in quale baratro sia finita la giustizia in Italia!».

     

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    Però ci sono intercettazioni che secondo i giudici non hanno giocato a suo favore, in particolare quella in cui si complimenta ridendo con Archinnà, responsabile delle relazioni esterne dell' Ilva, per lo «scatto felino» con cui aveva strappato il microfono a un giornalista che faceva domande scomode a uno dei fratelli Riva.

    «In verità di quella intercettazione non mi è stato mai chiesto nulla. Solo per pignoleria vorrei ricordare che il contesto di quella telefonata era da parte mia la richiesta duplice di ritirare 704 licenziamenti e di pagare loro le centraline per i monitoraggi, e da parte dei Riva era rappresentare che i limiti alle emissioni non erano immediatamente in vigore (tema su cui il Tar ha dato ragione ai Riva)».

     

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    La questione dell'Ilva ci racconta di una tragedia umana: centinaia, forse migliaia di persone morte a cause delle emissioni letali di quella fabbrica. In queste ultime settimane i morti sul lavoro sono tornati sulle prime pagine dei giornali, a cominciare dalla tragedia di Luana D'Orazio stritolata da un orditoio: come mai non si riesce ancora a fermare questa strage che da anni conta 3 morti al giorno?

    «Taranto è un polo industriale ciclopico, non solo ospita l'acciaieria più grande d' Europa ma anche impianti di raffinazione del petrolio, cementerie, l'arsenale militare. Ne ha pagato prezzi altissimi, continua a pagarli, tanto più in un' epoca in cui il lavoro e la vita sono variabili dipendenti del primato del profitto».

     

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    Cosa pensa del codice degli appalti: semplificare le procedure è giusto o comporta rischi troppo grandi per la vita dei lavoratori?

    «A volte ho l'impressione che la parole semplificazione sia uno specchietto per le allodole, un modo per liberarsi da quei vincoli necessari che tutelano la vita, i diritti, l' ambiente».

     

    E, allargando il discorso, pensa che il governo Draghi sia la giusta risposta alla pandemia e alla crisi economica e sociale che ha messo l' Italia in ginocchio. O era meglio Conte?

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    «Guardi, oggi ho il cuore troppo appesantito per risponderle. Spero solo che dalla pandemia si possa uscire con un piano radicale di giustizia sociale, di giustizia ambientale e di rilancio del Welfare. Ma non mi pare di vedere molti segnali in questa direzione».

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