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    NADA CELLA, UN MISTERO LUNGO 25 ANNI - DOPO IL DELITTO APPARENTEMENTE SENZA SPIEGAZIONI CI FURONO INDAGINI IN OGNI DIREZIONE, MA IL NOME DI ANNALUCIA CECERE SCOMPARVE REPENTINAMENTE DALLE CARTE - EPPURE IL BOTTONE RITROVATO SUL CORPO DELLA RAGAZZA CORRISPONDEVA A UN SET DI BOTTONI TROVATO A CASA DELLA DONNA, OGGI INDAGATA - GLI INQUIRENTI SI SONO CONVINTI CHE QUESTA APPARENTE RIMOZIONE NON SIA DOVUTA AL CASO, ANCHE PERCHE'...


     
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    Marco Imarisio per il Corriere.it

     

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    Nei primi sette anni, ci furono indagini sul muratore accusato e poi prosciolto, sui contrasti di natura condominiale tra la famiglia di Nada Cella e i vicini di pianerottolo, su un agente di commercio parmense tirato in ballo da due telefonate anonime, e sulle rivelazioni di un ex detenuto del carcere di Chiavari che incolpava un suo ex compagno di cella.

     

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    Venne presa sul serio anche una presunta militante dell’inesistente Fondazione Forze Armate Anarchica convinta che la povera ragazza fosse stata uccisa per avere copiato su un dischetto la contabilità del gruppo. «In seguito ad accertamenti la giovane testimone risulta ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Sestri Levante e seguita anche dai servizi di Salute mentale di altre provincie». Per tacere degli «esiti negativi» delle indagini «ampie e dettagliate» sul commercialista Marco Soracco, dal giorno del delitto e fino a venerdì il principale indiziato.

     

    I bottoni

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    La richiesta d’archiviazione del 25 febbraio 2003 con la quale il pubblico ministero Filippo Gebbia sancisce il fallimento definitivo dell’inchiesta sulla morte di Nada Cella non fa alcuna menzione di Annalucia Cecere e del verbale dei Carabinieri che il 28 maggio 1996, appena ventidue giorni dopo quel delitto senza spiegazioni, sequestrano a casa della donna cinque bottoni «di forma circolare con parte anteriore metallica che reca raffigurata una stella a cinque punte incastonata in un bordo orlato con la dicitura Great Seal of the State of Oklahoma», giudicati «pertinenti al reato per il quale si procede» in quanto uguali al reperto ritrovato sotto al corpo della vittima.

     

    Inoltre, scrivevano gli ufficiali dell’Arma, «l’interessata non forniva giustificate motivazioni circa la provenienza degli stessi, riferendo solamente che erano stati prelevati da una giacca che si era logorata».

     

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    La pista non approfondita

    Ammesso e non concesso che la donna oggi indagata per omicidio aggravato sia davvero colpevole, rimane un mistero come sia stato possibile che essa sia scomparsa in modo così repentino dalle indagini. Che quel verbale di ritrovamento, assieme ad alcune intercettazioni giudicate oggi molto interessanti, addirittura non siano mai arrivati sul tavolo della squadra mobile genovese.

     

    Se lo chiedono anche i magistrati della Procura di Genova, titolari della nuova inchiesta, che nei giorni scorsi hanno sentito i dirigenti Pasquale Zazzaro, all’epoca dei fatti capo del commissariato di Chiavari, e Giuseppe Gonan, nel 1996 capo della squadra omicidi di Genova, con la volontà di capire come mai la pista che portava ad Annalucia Cecere non sia mai stata approfondita a dovere.

     

    Caso, sciatteria o depistaggio?

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    Non ci sono accuse di alcun genere. Ma gli inquirenti di oggi sono convinti che questa apparente rimozione non sia dovuta soltanto al caso o a comprovata sciatteria. A farla breve, ritengono possibile che qualche poliziotto dell’epoca in servizio a Chiavari conoscesse la donna e abbia fatto opera di depistaggio. L’esistenza di una talpa spiegherebbe anche il fatto che in quel lontano maggio del 1996, Annalucia Cecere contattò un avvocato il giorno prima della perquisizione a casa sua. Come se qualcuno «da dentro» l’avesse messa sul chi va là.

     

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    Coincidenze

    Magari è solo una coincidenza. Come può esserlo anche il fatto che lo scorso marzo, subito dopo la riunione in Procura dove si è deciso di unire in un solo fascicolo gli atti riguardanti l’attuale indagata, Antonella Pesce Delfino, l’aspirante criminologa che ha contribuito a riaprire il caso, abbia ricevuto da lei messaggi poco simpatici. Ma due coincidenze, a distanza di 25 anni l’una dall’altra, se non una prova fanno almeno un sospetto.

     

    Simona Lorenzetti per il Corriere.it

     

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    «Io con quella storia non c’entro nulla». Annalucia Cecere, 53 anni, lo ripete da giorni. Lo ha detto al marito Lorenzo Franchino. E ai pm che lo scorso luglio l’hanno convocata in Procura a Genova per sentirla come persona informata, per poi notificarle un avviso di garanzia con l’accusa di omicidio: «Fatemi pure il Dna, fate gli accertamenti che volete, non ho nulla a che vedere con quella ragazza. Non ho niente da nascondere». La ragazza di cui parla si chiamava Nada Cella e aveva 25 anni. Era il 1996 quando il suo corpo venne trovato straziato nello studio del commercialista Marco Soracco, in cui lavorava come segretaria.

     

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    All’epoca Annalucia di anni ne aveva 28 e viveva nella cittadina ligure. Venne sospettata e indagata. Si parlò di gelosia, ma le accuse caddero in pochi giorni. Era comunque una brutta storia da lasciarsi alle spalle. E così un anno dopo il delitto, alla guida della propria Lancia Y, Annalucia si trasferisce nel comune di Boves, in provincia di Cuneo. È un’insegnante e fa qualche supplenza nelle scuole della zona.

     

    Il marito, il figlio

    Poi conosce Lorenzo. Nel ‘99 si sposano, un anno dopo nasce il loro unico figlio. Il marito è un imprenditore, con il fratello gestisce una ditta di trasporto ed escavazione. A Mellana, frazione di Cuneo, costruiscono la loro casa a poche decine di metri da quella dei suoceri. Una villetta su due piani, mattoni rossi, giardino ben curato. Gli anni trascorrono in fretta e il passato sembra sempre più passato. Poi arriva l’estate del 2021 e Annalucia torna a essere la principale sospettata dell’omicidio di Nada.

     

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    «I magistrati le hanno chiesto cose di 25 anni fa, come faceva a ricordare? E il commercialista Soracco lo conosceva di vista, come un po’ tutti a Chiavari. Poi le hanno dato l’avviso di garanzia - racconta il marito -. Da quel momento non abbiamo più saputo nulla e adesso tutto questo: il nome di mia moglie è ovunque. Ditemi se è normale? Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso. Sono il primo a dire che se è colpevole è giusto che vada in galera. Ma lei non ha fatto nulla».

     

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    Sotto i riflettori

    Lorenzo è infastidito. Ad agosto aveva già allontanato alcuni giornalisti e adesso la sua famiglia è di nuovo sotto i riflettori. «Mi aveva parlato di questa storia qualche anno dopo il matrimonio. Me n’ero dimenticato… E ora non mi fa dormire la notte. Anche questa mattina alle 4 ero sveglio». Adesso che tutto è tornato a galla, nel dedalo di viuzze di campagna puntellate di villette serpeggia il chiacchiericcio.

     

    Qualcuno ricorda che qualche anno dopo il suo arrivo a Cuneo, la donna aveva avuto alcuni problemi nella scuola ed era stata allontanata con un provvedimento disciplinare. «Stanno circolando un sacco di bugie. Si è licenziata, dal pubblico non ti mandano mai via», insiste Lorenzo. E Annalucia? «È in casa con il suo barboncino che le fa compagnia. È turbata, ci sta male. Tutto quello di cui si parla adesso era già emerso allora, compresi i due testimoni. Che oggi, però, sono credibili. Non sappiamo che cosa sia cambiato. A chi faccia comodo tutto questo».

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