Michele Proietti per “Sette - Corriere della Sera”
elisabetta canalis incontro di kickboxing
«Brava, però adesso smetti di combattere, perché così non sei più sexy. Non mi piace vederti fortissima, agguerrita, non ti si addice». A bordo ring, dopo la vittoria di kickboxing alla reggia di Venaria Reale, Elisabetta Canalis, 44 anni il 12 settembre, ha raccolto applausi e commenti. Tutti maschili.
«Neppure una donna a dirmi: mi stai deludendo, stai cambiando troppo, non è questa l’immagine che ho di te», racconta Elisabetta, ex velina, soubrette, attivista per i diritti degli animali e ora a un nuovo giro di boa della sua vita, che l’ha portata a combattere sul ring e a vincere contro un’avversaria di 21 anni.
elisabetta canalis kickboxing
Figlia della buona borghesia di Sassari, ragazza da calendario, fidanzata del bomber, poi del divo, poi moglie di Brian Perri, un chirurgo (come il padre) di Los Angeles di lontane origini italiane, naturalizzata americana, mamma di Skyler Eva, sportiva e sexy, più a suo agio nelle palestre di L.A. che a qualche provino hollywoodiano (come molti avevano pronosticato).
L’ultimo cambio d’abito è il più spiazzante: campionessa di kickboxing. Un pugno assestato all’immaginario di chi l’ha sempre vista come la donna da mettere in vetrina, quella che può parlare di calcio ma non dare calci. Un pugno, soprattutto, ai cliché che la vorrebbero eternamente un morbido sogno maschile.
Una farfalla potente che si libera da un bozzolo patinato, guardata ora con curiosità da alcuni e applaudita da chi da tempo cerca di aprire la “definizione” di femminilità. Non più legata (solo) al potere della bellezza, bensì centrata sulla forza del proprio corpo in connessione con la mente.
elisabetta canalis copertina 7
«Anche io da filosofa quando ho iniziato a combattere sono stata vista come una chimera, a volte un innesto spaventoso: ma prima di mettermi in discussione mi sono ricordata che all’origine del nostro pensiero c’è il corpo. Platone tirava di boxe e nessuno ce lo ha mai raccontato, non ci hanno detto tante cose che potrebbero farci capire molte cose in più», racconta Alessandra Chiricosta, filosofa marzialista e docente in Gender Studies, imprevedibile compagna di viaggio di Elisabetta Canalis in questo racconto che esplora nuove frontiere di forza e bellezza.
Un dialogo tra due donne con due percorsi diversi che si sono ritrovate a un incrocio, quello di una nuova forza, che non significa rinunciare alla femminilità ma potenziarla attraverso un corpo che combatte: Elisabetta Canalis e Alessandra Chiricosta, ospiti domenica 11 settembre al Tempo delle Donne (in Triennale-Milano) per raccontare come si può combattere con il corpo e con il pensiero, iniziano qui su 7 una riflessione su cosa significa rompere gli schemi, anche salendo su un ring.
«E se questo crea disagio a qualcuno è un suo problema», dice Elisabetta problema», dice Elisabetta Canalis. «Ho sempre usato il mio corpo per lavorare, se metto un bikini o una lingerie, sto lavorando, tutto qui. Ma chi mi conosce bene sa che la vera Elisabetta è quella che combatte, che sta sul ring e si sporca. Quella che si infila la t-shirt al rovescio e se ne accorge più tardi».
elisabetta canalis matrimonio con brian perri
Decidere di usare la propria forza, fisica e mentale, è un percorso che richiede una maturazione?
Canalis: «Questa sicurezza l’ho acquisita dopo un po’ di anni, ho deciso di affiancare a una immagine che mi facevo corrispondere anche quella di una Elisabetta più reale. Oggi ho il potere di decidere come voglio essere. Anche io ho a casa un marito che quando tornavo dai test di krav maga (un’arte marziale, ndr ) con i graffi al collo e tremante mi diceva: “Secondo te è bello che veda mia moglie così”?
Io gli rispondevo: “Supportami, tu vai a fare surf e non so neppure se tornerai vivo, perché è pieno di squali. Ho paura, ma mi interessa che tu sia soddisfatto”. Oggi Brian è il mio primo sostenitore, insieme a mia figlia, che quando ho vinto a Torino si è messa a piangere per l’emozione. Non permetto a nessuno di mettersi tra me e questo sport».
alessandra chiricosta filosofa e esperta di arti marziali
Chiricosta: «Dico sempre che mia figlia, oggi dodicenne, ha fatto kung fu intrauterino: quando ero incinta mi allenavo con la sciabola, non ho mai fatto forme così precise come in quel periodo, la pancia mi permetteva di disegnare sciabolate perfette. Oggi le insegno a combattere, perché è una forma di educazione che deve partire dai primissimi anni di vita, lo dico anche nei miei corsi di autocoscienza combattente».
Perché a un certo punto si decide di combattere?
Chiricosta: «Perché è divertente! Non certo per dimostrare qualcosa: deve essere un piacere sano che va contro le narrazioni tossiche».
ELISABETTA CANALIS
Canalis: «Quando sferri un colpo dimentichi il genere, l’età: ci sono solo due forze, due strategie, una contro l’altra. È vero quello che dice Alessandra: combattere è divertente, io torno indietro ai miei 8 anni. Uno dei miei coach spesso mi chiede: perché ridi quando sei sul ring? La risposta è che mi diverto: se prendo un colpo la prima cosa che mi viene è una risata, mi sento buffa».
Chiricosta: «Un mio maestro vietnamita mi diceva: “Una lezione in cui non si è riso almeno una volta è una lezione persa”. Che poi significa conoscersi, riflettere bene su cosa dice di me quel colpo: combattere significa entrare in un gioco di danza con gli altri, capire come sei fatta, canalizzare l’energia... Per quanto mi riguarda ho dovuto rompere un altro importante stereotipo: quello di intellettuale razionale e persona che agisce con il corpo e lo sa fare bene».
ELISABETTA CANALIS KICKBOXING
Cosa vi ha insegnato il combattimento?
Canalis: «Grazie a questo sport sto capendo tanto di me stessa, ho imparato a modulare la mia “cazzimma”, caratteristica di noi sardi: prima quando combattevo ci mettevo stizza, quasi rabbia, poi ho imparato a controllarla e questo mi ha portato a un atteggiamento più equilibrato anche fuori dal ring. Sono più consapevole e controllata, ma in senso positivo, non frenata.
Avere più padronanza del corpo mi ha fatto sentire più sicura anche in alcune situazioni di vita quotidiana: mi spavento molto meno se devo portare in giro il cane la notte o posteggiare in un parcheggio sotterraneo, senza però avere un atteggiamento remissivo. L’importante è azzerare il vittimismo che contribuisce a portare le donne a essere dominate dagli uomini: vorrei evitare quel pregiudizio per il quale le donne sono vittime naturali e predestinate».
ELISABETTA CANALIS KICKBOXING
Chiricosta: «Giusto Elisabetta, anche perché non c’è nulla di più pericoloso in natura di una tigre che ha appena partorito i figli: maternità e istinto di difesa non si contraddicono. Questo non significa non riconoscere quando una donna ha invece subìto violenza, o negarla. Quando organizzo i corsi nei centri antiviolenza faccio sempre un paragone con il fiore di loto: per essere la meraviglia che è deve avere una piccola ferita e pescare nel torbido, perché c’è la possibilità di guarire e trasformare. La risposta deve essere anche culturale, sociale e politica: l’eterna rappresentazione della vittima genera un piagnisteo poco costruttivo».
elisabetta canalis
Quanto questa nuova immagine di donna combattente può mettere a rischio la femminilità e la popolarità?
Canalis: «Per molti uomini è irritante vedere donne che praticano sport maschili. La forza fisica è una parte della costruzione sociale della virilità, per cui gli uomini si sentono sfidati in casa, vedono in pericolo la loro identità: accettarla è uno sforzo incredibile, lo capisco, ma si devono adeguare. Quando ho iniziato il mio percorso credevo non fregasse nulla a nessuno di quello che stavo facendo e non capisco neanche la grande reazione che c’è stata, ma mi fa piacere.
elisabetta canalis
Se ce l’ho fatta io, ce la possono fare altre donne, la mia età non è un limite, non lo sono neppure le mie spalle lussate o i problemi alla schiena. Ma soprattutto non è un limite l’immagine che di me posso restituire. Quando mi dicono “non credi che questo sport così violento e aggressivo finirà per danneggiare la tua immagine”, allora sai che cosa mi scatta dentro? Che lo farò dieci volte di più».
elisabetta canalis
Chiricosta: «Una praticante celebre porta meravigliosamente il messaggio. L’esperienza di Elisabetta ci sta illuminando su un aspetto del combattimento, che è una nuova presentazione di sé stesse alla società, un contributo che smonta il luogo comune. Non ci saranno più in futuro bambine che penseranno di essere escluse da un certo tipo di sport, ad esempio. Ma lo sapete che nella antica Roma esistevano le gladiatrici?».
elisabetta canalis
Pierre de Coubertin, dirigente sportivo, pedagogo e storico francese, fondatore dei Giochi Olimpici moderni, a cui è attribuita la famosa frase “l’importante è partecipare”, pensava che il corpo delle donne sotto sforzo fosse inguardabile e riservava a loro solo il ruolo di cingere con l’alloro il collo dei campioni maschi.
Canalis: «Mi fa tornare in mente un aneddoto del passato, quando Giampiero Mughini, scherzando, diceva che l’unico sport femminile che guardava con piacere era la pallavolo, perché le atlete hanno i pantaloncini corti ...».
elisabetta canalis kickboxing
Chiricosta: «Combattere significa anche questo, essere altro dall’oggetto dello sguardo. Se ti “deifico”, ti tolgo di soggettività, non esisti fuori da me e dalla mia interpretazione. Sono stanca di agire sempre in risposta, io ho un mio progetto forte, che si sviluppa non come reazione».
Canalis: «Non tutte abbiamo la stessa forza. Alcune colleghe mi hanno detto: “Tu parli perché sei sicura di te stessa. Ma noi ancora ci sentiamo condizionate da giudizi maschili che ci dicono non dimagrire, non ingrassare”. Di questo atteggiamento ho compassione, che è un qualcosa che va oltre l’arrabbiarsi».
Combattere significa lottare contro il maschio alfa e i suoi desideri?
elisabetta canalis che fa kickboxing 1
Canalis: «No, piuttosto è l’affermazione di un tipo diverso di virilità che conduce a una consapevolezza, secondo me, liberatoria: che anche gli uomini non devono nascondere le loro insicurezze».
Chiricosta: «Tempo di sciogliere un nodo, non si deve sempre agire nel solco di un femminismo reattivo. Bisogna fare qualcosa che ci piace al di là del dover “dimostrare”. Come combattere».
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