Maurizio Molinari per “la Stampa”
Al termine di sette anni di scavi con gli strumenti più avanzati dell’archeologia, una task force del Museo Yad VeShem di Gerusalemme ha ritrovato nel sottosuolo della Polonia una delle camere a gas del campo di sterminio di Sobibor, contribuendo a portare alla luce un tassello della Shoah che i nazisti tentarono di occultare distruggendolo e piantandovi sopra nel 1943 un’intera foresta.
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David Silberkland, capo delle ricerche a Sobibor, ha lavorato sulla base dei frammenti di testimonianze dei pochissimi sopravvissuti da uno dei Lager creati dai nazisti con l’unico scopo di mettere a morte il numero più alto di ebrei nei tempi più rapidi possibili. «Sobibor fu costruito nel 1942 dalla Germania nazista per portare a termine la totale eliminazione degli ebrei polacchi e in pochi mesi, assieme agli analoghi Lager di Treblinka e Belzec, sterminò quasi due milioni di ebrei» spiega Marcello Pezzetti, storico della Shoah nonché autore alla fine degli Anni Ottanta della scoperta della prima camera a gas di Auschwitz.
Il fine di Sobibor è unicamente la messa a morte degli ebrei e non c’è dunque un campo di lavoro a fianco della struttura di sterminio, come avviene ad Auschwitz e Majdaniek. Ciò significa che il campo è composto solo di quanto serve a uccidere: la rampa per i treni con i deportati, le camere a gas per uccidere gli ebrei arrivati e le fosse comuni per seppellirli. La durata media di sopravvivenza di un ebreo a Sobibor è stimata in un’ora e mezza.
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Gli unici che riescono a vivere più a lungo - poche settimane - sono i deportati usati dai tedeschi per far funzionare il Lager: svolgono tutti le mansioni che ad Auschwitz spettano ai «Sonderkommando» che fanno funzionare i forni crematori. I ritmi dello sterminio sono forsennati. «Sobibor è il buco nero della storia del mondo» riassume Pezzetti, perché «è qui che si comprende cosa fu davvero lo sterminio degli ebrei».
Inaugurato a maggio del 1942, ha 3 camere a gas che funzionano senza interruzione, i corpi delle vittime vengono sepolti e a giugno il ritmo dei treni è tale da far cedere il terreno sotto la ferrovia. Gli arrivi - la rampa accoglie 11 vagoni piombati - riprendono a pieno regime in ottobre e con l’inizio del 1943 le camere a gas raddoppiano, diventando sei. Nell’ottobre di quell’anno un gruppo di deportati ebrei russi - ex soldati dell’Armata Rossa - decide di tentare la rivolta unendosi ad altri prigionieri.
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I tempi per agire sono molto stretti ma riescono a sorprendere i tedeschi, fuggendo in 300. Solo 50 di loro sopravvivono, diventando gli unici testimoni esistenti del «campo di messa a morte» dove in una manciata di mesi perdono la vita 250 mila ebrei. La reazione dei tedeschi alla rivolta è di distruggere il Lager perché lo sterminio degli ebrei polacchi oramai è compiuto e la pressione dei partigiani cresce: Sobibor viene completamente distrutto - al pari di Belzec e Treblinka - le camere a gas sotterrate e migliaia di corpi riesumati per essere bruciati.
L’intento è cancellare ogni prova: per questo viene anche piantata una foresta di alberi sul terreno colmo di resti umani, con tanto di una falsa fattoria nominata «Sobibor» proprio per rendere non credibili le eventuali testimonianze dei pochissimi scampati. Il ritrovamento della camere a gas costituisce dunque uno dei risultati più importanti di Yad VaShem, il museo-memoriale della Shoah di Gerusalemme.
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«Le abbiamo trovate vicino a un pozzo dove i tedeschi avevano gettato resti umani e oggetti dei deportati, come un anello nuziale con la scritta rituale “At Mekudeshet Li” (Tu mi sei consacrata)», ha raccontato l’archeologo Yoram Haimi, confessando «sorpresa» per «le dimensioni delle camere a gas e il livello di preservazione degli ambienti».