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    "IL SIVIGLIA CONTRO MOURINHO: I DUE INVINCIBILI" – DOTTO: "LA SQUADRA CHE VINCE TUTTE LE FINALI DI EUROPA LEAGUE CONTRO L’ALLENATORE CHE VINCE TUTTE LE FINALI: STASERA A BUDAPEST JOSÈ SI GIOCA TUTTO IN NOVANTA MINUTI, FORSE CENTOVENTI, SUL TAVOLO VERDE DELLA PUSKAS ARENA. COMUNQUE FINISCA LA STORIA, CRUDELE E INGIUSTO SAREBBE CLASSIFICARE UN’ESPERIENZA COSÌ COMPLESSA IN BASE A UNA PARTITA, ANCHE SE…"


     
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    Estratto dell'articolo di Giancarlo Dotto per la Gazzetta dello Sport

     

    mourinho mourinho

    Ci siamo. Mentre l’esodo del popolo romanista è in pieno svolgimento tra cielo, fiume e terra, dentro aerei e macchine stipate di ogni cosa, uomini, donne, preghiere, amuleti e sospiri, Josè Mourinho arriva in magnifica solitudine là dove voleva arrivare. La vertigine del giocatore d’azzardo.

     

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    siviglia juventus siviglia juventus

    Josè si gioca tutto in novanta minuti, forse centoventi, sul tavolo verde della Puskas Arena. Il titolo lo consacrerebbe come il più importante allenatore della storia romanista, un gradino sopra lo stesso totemico Barone Liedholm. Una sconfitta lascerebbe lui e la Roma con una manciata di nulla in mano e ridarebbe fiato alle trombe dei detrattori. La scelta di fare della panchina una trincea di guerra, la discutibile gestione della stagione, la scelta fin troppo radicale di rinunciare al campionato per puntare tutto sulla roulette del rosso o nero. L’azzardo assoluto del tutto o niente.

     

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    Josè solo alla meta. Scortato sì dai suoi fedelissimi legionari, dalle migliaia di tifosi adoranti, ma essenzialmente solo nei titoli che fanno la locandina del match. Poche volte in passato una partita così importante è stata presentata come la sfida tra una squadra e un allenatore. Il Siviglia contro Mou. I due invincibili. La squadra che vince tutte le finali di Europa League contro l’allenatore che vince tutte le finali tout court. Stasera alla Puskas Arena l’uomo di Setubal sarà come Atlante. Al suo apice titanico dovrà tenere sulle spalle tutta la volta giallorossa. 

     

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    jose mourinho in roma feyenoord jose mourinho in roma feyenoord

    Mente brillante, pragmatismo feroce, Mou ha capito in fretta che  doveva puntare quest’anno su due uniche, fondamentali risorse, la cieca disponibilità di una sporca dozzina di giocatori (Pellegrini, Mancini, Cristante in testa) e la passione non meno cieca dei tifosi. Ritrovandosi poi un immane Matic, il più forte di sempre, il migliore Smalling di sempre e un abbagliante per quanto intermittente Dybala, Mou si è votato a costruire il suo “mucchio selvaggio”, la versione calcistica di Leonida e del suo pugno di spartani alle Termopili.

     

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    Josè è uno dei due, tre allenatori al mondo (lui, Guardiola, Bielsa, chi altro?) che, con la scusa di un pallone, di una squadra da allenare e di trofei da vincere, scrive la sua storia e quella di chi lo scorta nelle imprese, determina la “narrazione” come amano dire i contemporanei. Mou scrive e aggiorna, ogni santo giorno, il diario romanzesco della sua vita.

     

    Avendo a che fare con una squadra di non eccelso talento, ha genialmente capito che si trattava di esaltarne i limiti e trasformarli in virtù. È stato il tormentone del portoghese: sottolineare di continuo la pochezza della rosa e, però, rimarcarne, il coraggio, l’umiltà, la voglia di essere rosa . Esagerando, ma non troppo, si può dire che persino la disgrazia degli infortuni a ripetizione è servita ad alimentare la lungimirante strategia di Mou, fare della disgrazia la molla della virtù e dell’eroismo.

     

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    Leader imperioso e carismatico, fanatico di se stesso,  Josè ha trasformato i tifosi in una setta di fanatici. Nel ventre caldo della Sud il portoghese si ama, non si discute. Josè era e sarà per sempre l’allenatore perfetto per una piazza idolatrica come quella della Roma, smaniosa e bisognosa tra l’altro di colmare il vuoto lasciato dal Capitano.

     

    Comunque finisca la storia stasera e ovunque finisca Mourinho, crudele e ingiusto sarebbe classificare un’esperienza così complessa in base a una partita, anche se, in fondo, Josè se l’è un po’ voluta. Una cosa si può dire con certezza: nei suoi due anni romani, l’uomo ha subito e inflitto emozioni più che in tutta la sua carriera. C’era tanta muffa quando è arrivato. E poi c’è stato tanto sangue.

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