Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Siamo di fronte a un virus nuovo che stiamo imparando a conoscere real time, in tempo reale, giorno dopo giorno, rispetto al quale sono molti ancora gli aspetti da decifrare.
coronavirus terapia intensiva bergamo
“Primo tra tutti la patogenesi e cioè la natura del danno profondo che il virus induce nei polmoni” dice Francesco Le Foche, medico immunologo, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia del policlinico Umberto I di Roma. È stato lui il primo in Italia a ipotizzare la partita Atalanta-Valencia del l9 febbraio a San Siro come una delle principali concause che hanno fatto da moltiplicatore del contagio di quella che lui ha chiamato da subito l’”anomalia Bergamo”.
La sua tesi, a proposito di Atalanta-Valencia come la bomba biologica che avrebbe scatenato il contagio di Bergamo, ripresa da tutti i media del mondo, è stata rilanciata da autorevoli colleghi ed esperti.
francesco le foche
“Bastava rifarsi alla Storia. L’evento che ha determinato la pestilenza del diciassettesimo secolo, il grandioso festeggiamento che Filippo IV fece in Lombardia per la nascita del figlio Carlo, è l’equivalente, a distanza di secoli, dell’Atalanta-Valencia dei nostri giorni. L’acme della festa coincide con la morte collettiva. Ma c’è un’altra informazione fondamentale che abbiamo trascurato”.
Vale a dire?
“Sia Manzoni che Camus, che a sua volta, nel suo “La Peste” del 1947, si è rifatto molto al Manzoni, raccontano che il paziente da contagio non è stato ospedalizzato, ma trattato fuori le mura. Anche questa lezione è stata ignorata. Noi abbiamo fatto esattamente il contrario. Un grande errore”.
Un grande errore ricoverare i malati di Covid 19 in ospedale?
“Assolutamente. Il paziente va ospedalizzato nella singola malattia ma, nei casi di epidemia, va trattato fuori dall’ambiente ospedaliero. Questo per evitare il sovraffollamento ad alto rischio in un ambiente angusto. Gli scambi umani in ospedale sono favoriti e il numero dei contagi amplificato”.
Che significa ai giorni nostri trattare il paziente da epidemia fuori le mura?
“Significa trattarlo a casa, come stanno facendo in Canada. Medici che vanno a domicilio dei pazienti. Avremmo dovuto approntare un protocollo domiciliare per evitare che le persone affollassero gli ospedali, con tutte le conseguenze del caso. Dentro le mura di un ambiente angusto è come fare l’aerosol del virus. C’è una nebulizzazione del virus”.
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Un errore macroscopico, insomma, ospedalizzare l’epidemia.
“Macroscopico e strategico. I canadesi sono stati più acuti di tutti. Avrebbe voluto adottarlo anche l’Inghilterra questo metodo, ma non è riuscita. Ci sta pensando anche Trump. L’idea è che, se chiudiamo tutto, non moriamo di Coronavirus ma di altro. Salviamo la generazione attuale ma facciamo tabula rasa del resto”.
Il nuovo allarme rosso oggi sta nel numero dei medici che si stanno ammalando di Covid 19.
francesco le foche
“Paradossalmente questa pandemia intraospedaliera potrà determinare gli anticorpi necessari nel personale sanitario e renderli immuni. Probabilmente, quando questo avverrà la pandemia non ci sarà più. Occorre intervenire oggi, subito, per togliere pressione agli ospedali e al personale sanitario. Sono morti quasi cento medici e non so quanti operatori sanitari”.
Cosa si può fare oggi e subito in Italia?
“Oggi è giustissimo mantenere il distanziamento umano. Non si può tornare indietro ma, allo stesso tempo, bisogna sfollare gli ospedali. Che non significa abbandonare a se stessi i pazienti ma consegnarli a una terapia domiciliare. Oggi molti pazienti muoiono a casa, senza che i medici lo sappiano. Morti non registrati, che non rientrano nelle statistiche”.
giancarlo dotto
Abbiamo gli uomini e le risorse per organizzare questa terapia domiciliare? “Va organizzata una medicina del territorio. Tutto l’esercito sanitario oggi è all’interno degli ospedali. Questa strategia non ha portato grandi risultati. Abbiamo perso tante vite. Nelle epidemie c’è sempre una sottovalutazione iniziale, ma oggi abbiamo il massimo della tecnologia. Eppure, siamo ricaduti nell’errore catastrofico di far morire il malato epidemico all’interno degli ospedali”.
Quanto occorre per avviare questa nuova strategia?
“Mi risulta sia già in corso una sperimentazione di questo tipo”.
I termini chiave di questo protocollo domiciliare?
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“Intervenire nella prima settimana è fondamentale con il paziente paucisintomatico, cioè con pochi sintomi, come potrebbe essere per capirci il Borrelli di oggi, con una lieve febbre”.
In pratica?
“Gli fai il tampone finché il danno è scarso. Nei primi tre giorni il danno citopatico è del virus che si lega ai recettori dei polmoni e distrugge le cellule. Nei giorni seguenti, dai quattro ai sette, il sistema immunitario reagisce, lancia allarme. L’esercito immunitario cerca di distruggere il virus che sta all’interno della cellula”.
Un inferno, detto così.
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“A questo punto c’è una sovrapposizione del danno, Il sistema immunitario usa il bazooka per uccidere il virus, ma così uccide anche la cellula, cioè l’abitazione. Se noi lasciamo a casa la persona senza fare nulla nei primi dieci giorni, quando arriviamo è quasi sempre tardi. Ospedalizziamo il paziente, spesso non salvandolo e creiamo un ulteriore contagio. Trattando, invece, il paziente a casa possiamo ridurre di almeno il cinquanta per cento l’accesso agli ospedali, riducendo allo stesso tempo mortalità e contagio”.
Sintetizzando?
“Tre gli snodi fondamentali. 1) le epidemie vanno trattate fuori degli ospedali, come la storia insegna, 2) il paziente va trattato a domicilio 3) trattandolo a domicilio nei primi sette giorni riduci il danno, il contagio e le morti”.
Sulla base delle informazioni attuali che scenario si sente di prefigurare in Italia?
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“Prevedo che intorno alla fine di maggio in Italia il contagio si dovrebbe ridurre e quasi azzerare. Dovremmo riaprire tutto tra la fine di maggio e i primi di giugno. Se riuscissimo ad attuare questo protocollo domiciliare potremmo anticipare i tempi. Quest’epidemia va rappresentata come un gigantesco esperimento socio-sanitario a livello planetario. Uno specchio estremo delle nostre grandezze e delle nostre miserie. Anche in ambito sanitario, vedi chi dà il massimo e chi gira a vuoto, gente affetta da una ipercinesia inconcludente che si nasconde dietro una finta azione”.
Intanto l’angoscia si diffonde tra la gente reclusa a casa.
“La comunicazione è fondamentale. Dobbiamo dare un messaggio propositivo, non diffondere solo numeri come nei bollettini di guerra. Messaggi che suonano di rassegnazione passiva. Dobbiamo dare notizia delle idee che possono migliorare lo status quo. Spiegare che questa brutta faccenda si chiuderà in un arco ragionevole di tempo. Senza illudere, ma senza nemmeno lasciare nell’indeterminatezza. E insistere sugli aspetti positivi. Eravamo entrati in un contesto di fatuità, questo esperimento socio sanitario aiuterà molti di noi a ritrovare valori profondi”.
C’è il bombardamento dei messaggi via whatsapp, anche questo virale.
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“Questa è la vera patologia mediatica: persone che inconsciamente vogliono l’apoptosi, la morte programmata dell’umanità a livello planetario. Gente angosciata che semina angoscia”.
Altri messaggi positivi?
“Va messo in risalto che oggi esiste un test che può valutare con certezza le persone che hanno sviluppato questi anticorpi tipici di chi avuto e superato il Coronavirus. Non sappiamo se ciò le rende immuni, anche se se tutto fa pensare che si va in questa direzione”.
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