Giancarlo Dotto per la Gazzetta dello Sport
Tutti a dire che il Leo Messi di questi giorni non si era mai visto prima.
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Quello con l'occhio da lupo famelico che si porta dietro il branco e va sotto la sagoma totemica del santone olandese perché sia finalmente chiaro quanto lo detesta. Quello che finalmente apre i suoi pori, le vene e il respiro al mondo di fuori, si prende lo stadio, la folla che canta per lui e la trasforma in energia rabbiosa. Ispirazione pura. Sì, mai visto prima così ispirato. Tutto vero e sarà il caso di approfondire, oltre le bordate di genuflessa retorica sparate nel mucchio lacerando corde vocali proprie e timpani altrui, saccheggiando a mani basse l'arsenale a buon mercato del profano spacciato per sacro.
C'era il Messi di Barcellona. Non una divinità, ma un genio del pallone. Incomparabile. Il più grande di sempre. Ma un genio autistico immerso nella sua beanza, perfettamente in grado di bastare a se stesso con i magistrali conigli che gli uscivano a ripetizione dal cilindro. Impensabili e impensati. Come l'assist contro l'Olanda. Palloni che vanno come se avessero un destino a cui obbedire. Una pulce grandiosa e fragile allo stesso tempo. Protetta nella sua bolla.
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Non aveva bisogno d'altro quel Leo. Si bastava come si basta Dio, ma lui non era e non è Dio. Gli manca quella divina probabilità di non esistere. Lui, per quanto indecifrabile, ha la sua psiche, il suo corpo. Non certo un corpo su cui Cristianamente contare.
C'è poi il Leo Messi sfrattato dalla sua cuccia. Il Messi dello shock. Il Messi parigino.
Abbiamo rischiato di perderlo.
Leo stava comodo in blaugrana.
La comodità ti fa star bene, ma ti uccide. Poteva naufragare, mortificato a ripetizione dai suoi pedanti detrattori, vuoi smaniosi di esistere simulando opinioni quando è chiaro che Messi non è un'opinione, vuoi abbagliati e fuorviati dal luciferino carisma di Maradona. Poteva evaporare e invece no, accade qualcosa.
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Parigi, o cara, si rivela l'utile incidente esistenziale. Il Messi sofferente e sprotetto scopre di sé cose che non sapeva di avere. Il disagio lo costringe a spaccare la bolla autistica e a scoprire il mondo in sé e fuori di sé. Il piacere della sfida. Trova il modo di farsi amare anche a Parigi non perché è stato Messi, ma perché dimostra di esserlo ancora. Nonostante l'insorgente e protervia del talento di quello che è già il dopo di lui e il dopo di Cristiano Ronaldo. Il suo rivendicare il centro della scena con tutta l'urgenza feroce della natura e dei suoi cicli, scambiate per storia. Kylian Mbappé.
Il mondiale in Qatar arriva al momento giusto. Compagni che ne fiutano la mutazione e lo venerano. Non più il genio autistico, ma il leader imperioso che è diventato. E un allenatore, Scaloni, che gli scappano le lacrime ogni volta che pensa: io alleno Leo Messi.
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Sì, Leo Messi ha fatto di questo Mondiale la sua missione. Ha imparato a guardare in faccia il mondo oltre che Van Gaal, gli amici che lo amano e i nemici che lo sminuiscono. Le sue pallide gambette di pulce continuano a disegnare l'impossibile, pronte a trasformarsi quando serve nelle zampe di un ragno, otto ma potrebbero essere sedici, capaci di arrivare ovunque.
Scoprirsi leader a 35 anni, al ciglio del tramonto, di una squadra e di una nazione gli infonde un'euforia speciale. Si vede e si ascolta. L'avete ascoltata la sua orazione ai compagni? Proverà a vincere domenica anche per questo. Spazzare via il palloso ritornello di chi lo accosta, di chi lo nega e lo compara, essendo lui tutto quello che volete, ma certamente unico.
roberto d agostino giancarlo dotto foto di bacco messi roberto d agostino giancarlo dotto tiberio timperi foto di bacco (1) LIONEL MESSI DIEGO ARMANDO MARADONA MESSI LIONEL MESSI DIEGO ARMANDO MARADONA LIONEL MESSI DIEGO ARMANDO MARADONA MESSI MODRIC messi