Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
giancarlo dotto
Di questi tempi ho molto tempo per osservare la mia gatta Lulù. Quanta basta per capire che è un piccolo androide. Bella scoperta, direte. La differenza, in questo caso, la fa lo sguardo freddo dell’apatia che segue a ogni stato di reclusione. Non trasfigurata dal narcisismo dei padroni, la bestiola è un software che ripete gesti e movimenti nel tempo e nello spazio.
Anche noi siamo degli androidi, direte o forse no. Ma, per fortuna, attraversati. Pugnalati. Disturbati. Siamo androidi dalla lacrima facile. Bestiole liriche prima ancora che pensanti. L’emotività è il guasto sublime che ci strappa su e giù nell’ottovolante dei buchi neri e delle euforie celesti. Dei pozzi e delle stratosfere.
Da Simon e Garfunkel a Chopin a Renato Zero, la musica è la fionda che ci spedisce in ogni dove. Anche se non sembra, stiamo parlando di Coronavirus. Di Giuseppe Conte, di Papa Francesco, di Matteo Renzi e persino di Damiano Tommasi. E di come affrontarla, l’emergenza, per quello che siamo. Androidi dalla lacrima facile. Lucidamente, virilmente, liricamente.
messi che guevara
Ho la buona sorte di amicizie molto trasversali, parlo con artisti e manovali, medici, intellettuali molto raffinati e callosi contadini, pensionati e casalinghe, vecchi e molto giovani. Basta fare un giro di telefonate per avvertire che, alla maledizione del virus e al collasso dell’economia, si sta aggiungendo la malattia più sinistra, quelle delle anime. “La paura mangia l’anima” raccontava memorabile Fassbinder, altro androide dalla lacrima facile. In questo caso è l’angoscia che ci sta mangiando.
Invisibile anche lei, ma inascoltata. Si gioca qui l’oggi e il domani della nazione. Sulla capacità di raggiungere l’angoscia là dove si annida, nelle angustie e nelle pene della gente segregata e, soprattutto, smarrita. Che non sa trovare le parole per raccontarsi quanto gli accade. Economia e angoscia sono lo stesso nodo. Se il mio amico contadino, un gigante di quasi due metri, mi confessa che ha timore d’investire, piantare, seminare i suoi duecento ettari di campo è perché non ha certezza del futuro. L’angoscia lo divora.
messi
La battaglia delle anime è troppo complessa per essere affidata agli specialisti della salute o della protezione civile, ai burocrati dell’amministrazione. Vi siete chiesti perché le parole che più hanno “toccato” in questi giorni la nostra gente siano arrivate da Edi Rama, premier albanese, ma soprattutto artista, insegnante di letteratura, l’uomo che ha colorato Tirana, la capitale più grigia e mortificata del mondo? In una lingua non sua, Rama ha parlato con l’empatia degli uomini che sanno accordare nella stessa tastiera cuore e cervello.
Come nessuno di quelli che ci governano ha saputo fare sin qui, per non dire delle migliaia di gole accese dall’erezione e dalla fregola di avere la loro miseranda finestrella in un qualunque talk televisivo. La carezza benefica arriva da un ex paese comunista come uno schiaffo ai vertici di una mediocre democrazia che risponde alla sofferenza della sua gente con comunicati stile Pravda. Numeri. Cifre. Statistiche. Bollettini cupi scanditi da facce senza luce.
MOSCARDELLI
Il Papa che benedice la folla assente nella piazza deserta sarà l’immagine del secolo, avrebbe incantato profeti dell’assurdo come Beckett, ma ha comunicato in modo potente un messaggio più di altri: l’apocalisse. Il castigo divino che si abbatte sull’ennesima babele umana, la benedizione dolente del pastore di Dio su una collettività che sta rassegnata sul patibolo con la corda al collo. Sarà vero che ce lo meritiamo il castigo, è senz’altro vero, ma ripetercelo a oltranza non ci aiuterà ad andare oltre. Decisamente più utile ascoltare l’audio di Alessandro Baricco, venti minuti che ci raccontano perché la paura deve essere, oggi come mai, la premessa dell’audacia.
Che, se la paura resta paura, diventa essa stessa la malattia che ti annienta. Bisogna andare nei campi, seminare oltre la logica, piantare oltre l’apparenza, dotarsi di un ottimismo anche simulato se occorre, inventato, perché in fondo questo è il tema indicibile della vita, accogliere la giusta dose di follia che ci consente di vivere come se la vita avesse un senso. Rileggetevi oggi Cervantes e il suo lirico eroe, Don Chisciotte, un altro androide dalla lacrima facile.
nainggolan moscardelli pjanic
Siamo finiti risucchiati in un film, siamo dunque autorizzati a parlare di cinema. Quando, all’atto di diventare completamente pazzo o sano, fate voi, io dico sano, lo stupefacente Joker di Joaquin Phoenix scopre che la commedia è la stessa cosa della tragedia, il suo verso ribaltato, la sua risata smette di essere il tic di un infelice e diventa il gesto consapevole e sfrenato di uno ride della propria sorte. Dico che dobbiamo ridere della nostra angoscia? Lo dico. A patto di capire che siamo da sempre in groppa all’angoscia, senza saperlo, dimenticando di saperlo, anche quando frequentavamo impavidi il nostro luna-park di massa. Patibolo o no, abbiamo bisogno di una sferzata e di una sterzata di vita.
L’associazione sale irresistibile: Joker mi porta al suo opposto, Damiano Tommasi, Ma se non è Joker, è Mercuzio, qualunque stralunato giullare di corte o senza corte, capace di affermare la vita dentro la morte. Siate un po’ buffoni e stranieri a voi stessi, come quando vi guardate allo specchio. Non sembra, ma stiamo parlando anche di pallone. Lo chiamiamo per comodità “calcio”, ma è il piu potente farmaco serotoninico del nostro Paese. Che, conviene ricordarlo, non è la Cina e nemmeno la Corea o il Giappone. Non siamo una collettività che può sopravvivere a lungo alla disciplina delle leggi marziali. A ognuno la sua droga. Tutti si drogano in qualche modo, droghe lecite per lo più. Qualcuno ha misurato l’impennata del consumo di alcolici in questi giorni? Il vero disastro di questo Paese è che finisce in un problema così grande con la classe dirigente più debole di sempre, incapace di una parola empatica se non carismatica.
Moscardelli
Tommasi ha l’unica colpa di trovarsi in una situazione più grande di lui, a capo del sindacato più inutile al mondo, dove gli sembra vero di vivere il suo momento di popolarità (la vanità non risparmia nessuno, nemmeno i “buoni” e i “giusti di cuore”), spendendo il suo dozzinale catechismo da anima bella, spacciandolo come verità assoluta. Gli manca solo il saio del profeta del malaugurio quando, schermandosi dietro gli eventuali ministri dell’eventuale salute (che gag strepitosa chiamarli Speranza!), vaticina la fine di tutto, senza avere nemmeno arrangiato una barchetta alla Noè.
tommasi
Forte del suo abecedario di bravo ragazzo, decorato di tutti i pensieri più onesti e corretti, che separa con l’accetta del pensiero di scarto la vita dalla morte, il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, ma non separa la comunione dalla liberazione. Come certe beghine eternamente genuflesse al concetto che celebra il valore astratto della vita, da salvare comunque. Ma la vita non è solo respirare, non sono solo due polmoni sani o malati, è quello che ci metti dentro, le dosi di bellezza, di dignità, gli abbracci, le carezze, gli sguardi, le giocate di Messi ma anche di Moscardelli, e tutto il resto. Vi siete chiesti e certamente risposti perché oggi come mai prima, al cellulare o via whatsapp, facciamo telefonate che non avremmo mai fatto e ci diciamo cose che non ci saremmo mai detti.
Di tutti i nostri politici, Matteo Renzi ha detto le cose più sensate. Forse le ha dette nei modi e nei tempi sbagliati, ma non sbaglia quando dice che, dopo aver fatto la cosa più ovvia, il distanziamento sociale, oggi bisogna porsi il problema del domani, perché risvegliarsi dall’incubo non sia un incubo peggiore. Riaprire gradualmente, rispettando la logica, la prudenza e tutto quello che stiamo imparando real time, in tempo reale. Nei giorni in cui l’evasione di massa è un diritto oltre che un dovere, il calcio deve rientrare in questo programma di riapertura. Fatelo a maggio, giugno, a porte chiuse, ma fatelo. Lasciate ai calciatori più reticenti l’obiezione di coscienza, ma fatelo. Fateli giocare con la mascherina e i guanti, ma fatelo. Quella degli assembramenti nelle case o fuori dagli stadi è un’obiezione ridicola. C’è abbastanza paura in giro e dove non basta la paura, ben venga il lanciafiamme di De Luca.
fazio tommasi
Siamo pronti a farci un altro mese di clausura, anche due, ma fateci sapere di che vita dobbiamo vivere, fateci capire che avete una prospettiva, se non propria una strategia. Che avete una nozione anche vaga delle nostre anime pezzenti. Che non siamo una massa indistinta da tenere nell'oscurità, appesa al laccio di un’elemosina, un blob informe dalle crepe sempre più grandi. Dove a crepare rischiano di essere quelli, la stragrande maggioranza, lasciati illesi dal virus, i polmoni sani, ma la testa e le tasche malati. Chiudere tutto, va bene, era la soluzione più ovvia, ma non cominciare a immaginare una soluzione diversa è l’idiozia imperdonabile di chi non sa articolare un pensiero complesso a fronte di un problema complesso. Capire che qui si gioca, a porte apertissime, una partita più decisiva, quella di avere gambe e testa per ripartire.
MOSCARDELLI
matteo renzi dritto e rovescio 1