beppe sala chiara bazoli
DAGOREPORT
Cosa vuol fare Beppe Sala da grande? E’ chiaro il suo obiettivo leggendo l’intervista rilasciata a Francesco Manacorda di “Repubblica” sabato scorso: alla scadenza del suo mandato di sindaco di Milano (2026), è pronto a candidarsi alla guida di un Partito Democratico pluralista, che punti a cementare la sinistra e il centro.
Un ritorno aggiornato al ramoscello d’Ulivo di Prodi (prodotto nel 1995 dalla mente di Nino Andreatta con sostegno del banchiere Giovanni Bazoli, “suocero” di Sala) che sappia compiere il miracolo di raggruppare la cultura socialista-socialdemocratica, quella cattolico-democratica e quella liberal democratica. E Sala, a differenza della multi-gender con tre passaporti Elly Schlein, ha l’ambizione di possedere una leadership capace di calamitare anche il consenso dell’elettorato cattolico e moderato.
GIOVANNI BAZOLI E ROMANO PRODI FOTO LAPRESSE
“Il centrodestra vince”, argomenta Sala, “perché ha un centro che si chiama Forza Italia e il centrosinistra il centro di fatto non ce l’ha o ce l’ha in maniera anomala perché occupato da Renzi e Calenda che, al di là dei loro conflitti, non garantiscono di essere parte costituente della proposta comune”.
Sistemati i prodotti avariati della fu Margherita rutelliana (Italia Viva e Azione), Sala passa all’ala sinistra (ma sarebbe meglio dire populista) dei 5Stelle: “Ci sono modi di dire come “stai sereno” o adesso “campo largo” che ormai portano male. Abbandoniamoli. Non rinuncerei invece a trovare un’intesa con i 5 Stelle. Dopo le Europee Pd e 5 Stelle dovrebbero sedersi insieme e costruire un’intesa programmatica, senza pensare all’ennesima elezione in arrivo, mettendo in fila più le cose che li uniscono rispetto a quelle che li dividono”.
elly schlein - salario minimo - vignetta by osho
Una volta scavallato il voto europeo del 9 giugno, che vede i partiti l’uno contro l’altro per via del sistema proporzionale, finita l’opera di destabilizzazione di Conte per raggranellare punti sul Pd, Sala è consapevole che per i Dem si aprirà il capitolo più urticante, la guida del partito:
“Oggi pare indispensabile per ogni partito avere una leadership incarnata in una persona. Ma così come nella Dc di Moro c’erano anime diverse e anche contraddittorie — ma poi in grado di trovare una mediazione — e nessun leader unico riconosciuto, anche adesso quello spazio può essere occupato con una serie di figure che rappresentano in modo vario le aspettative dei moderati”.
GENTILONI RENZI
Traduzione: la politica, dall’impero romano in poi, ha sempre privilegiato la cultura del dialogo, del compromesso e della trattativa.
A partire dagli anni Ottanta la democratizzazione di massa ha prodotto un nuovo fenomeno: senza un capo carismatico, l’arte del potere è destinata a naufragare.
Ma, nel comtempo, un leader solo al comando fa la stessa fine se non fa costante riferimento alle varie anime del partito attraverso un organo collegiale che una volta si chiamava segreteria. In brece: una leadership per un gruppo dirigente plurale e autorevole che possa fare una riforma vera del partito.
elly schlein stefano bonaccini - manifestazione piazza del popolo
A questo punto, sistemata la teoria, si passa alla prassi e si apre il vaso di Pandora dei toto-nomi: il fallimento di leadership della “fluida” Elly è davanti agli occhi di tutti. Nomina di cui è responsabile il multiforme Dario Franceschini che pensò di poter di continuare a fare il burattinaio del partito attraverso di lei mollando la corrente catto-dem di Base Riformista; ma la signorina bolognese ha ben presto afferrato le forbici e tagliato i fili.
Una volta sola al comando, non poteva non entrare in confusione totale lasciando così campo aperto all'autoritarismo senza limitismo del governo Ducioni.
matteo ricci
Fuori Elly, abbiamo Gentiloni ma è una “saponetta” che scivola tra le mani, passato da cagnolino di Rutelli a peluche di Renzi, privo com’è di personalità e di carisma.
Qualità assenti anche nel Dna dei vari Orlando e Guerini, per non parlare di Bonaccini, che davanti a una telecamera ha lo stesso appeal di una pompa di benzina.
Tra i nuovi arrivati spicca Matteo Ricci, molto apprezzato dal demiurgo Goffredo Bettini. Ma il sindaco di Pesaro, una volta messo nella centrifuga del potere romano, privo di esperienza e “abuso di mondo”, finirebbe stritolato come la Schlein.
ROMANO PRODI BENIAMINO ANDREATTA
Ecco perché, in tale scenario di nani e ballerini, sostenuto dai consigli dei vegliardi Bazoli e Prodi, Beppe Sala potrebbe farcela a raggruppare e guidare le anime diverse e contraddittorie del Partito Democratico.
E nello stesso tempo trovare, essendo un tipino pragmatico, un equilibrio con l’ego espanso di Giuseppe Conte e squadernare così una vera e compatta opposizione al governo Meloni - operazione in cui Elly ha fallito.
(Nell'attesa, la grande sorpresa delle europee potrebbe essere questa: i partiti riconducibili al centrosinistra avranno più voti di quelli del centrodestra. E allora la Ducetta finirebbe preda di nuovi otoliti...).
GENTILONI RUTELLI