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Rita Vecchio per www.leggo.it
Suona come un tuono dal rumore assordante il DPCM che mette alle strette tutto il sistema della ristorazione. Ancora di più, l'eccellenza italiana. Chicco Cerea, tra gli 11 tre stelle del nostro Paese con il ristorante Da Vittorio a Brusaporto (Bergamo), è inerme. «È da mesi ormai che oltre alla preoccupazione per la salute, viviamo con la preoccupazione per l'azienda. Ci adeguiamo ai protocolli, mettiamo in campo tutte le precauzioni, igienizziamo i locali: pranzo o cena, cosa cambia?».
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La ristorazione, soprattutto quella alta, così va al lastrico?
«Bisogna essere coerenti. Se si decide una cosa, o la si fa o no. Solo a pranzo non si riesce a coprire le spese. E senza aiuti veri dallo Stato, non si riesce ad andare avanti. Eppure, noi dell'alta gastronomia, saremmo la ristorazione più sicura».
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Si dovevano prevedere misure differenziate?
«Sicuramente non si può fare di tutta l'erba - di centinaia di migliaia di esercizio pubblici - un fascio. E l'alternativa dell'asporto è più spesa che impresa. E perché, invece, si può andare tutti a sciare in cabinovia? La chiusura che ci chiedono è inaccettabile. Come si pagano le tasse? Noi chiediamo di chiudere, utilizzare il Fis e non pagare le tasse per quest'anno e i mesi da qui in avanti. È insostenibile questa situazione per noi».
Andare al dialogo con il governo?
chicco cerea ospite di emmanuel macron all eliseo
«Si ha il dialogo, ma sempre dopo purtroppo. Non siamo una categoria tenuta in considerazione. Eppure, supportiamo l'agroalimentare e diamo con il nostro lavoro e sacrificio lustro all'Italia nel mondo. Dovrebbero chiudere solo chi non si adegua ai controlli e al protocollo di sicurezza».
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